Riportiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 23/03/2009, a pag. 13, la cronaca di Alberto Stabile dal titolo " Netanyahu: 'Sarò partner di pace' ma non parla mai di Stato palestinese " e dal MANIFESTO, a pag. 1-12, l'articolo di Maurizio Matteuzzi dal titolo " Il realismo della foglia di fico ". Ecco gli articoli :
La REPUBBLICA - Alberto Stabile : " Netanyahu: 'Sarò partner di pace' ma non parla mai di Stato palestinese "
Stabile critica Netanyahu perchè : " Non lo dice, Benyamiun Netanyahu, che anche lui, come Obama, o come Tzipi Livni, vuole una soluzione del conflitto basata sulla soluzione dei «due Stati per due popoli» perché non lo pensa, non ci crede, come ormai tutta o quasi la destra israeliana, ed ha altre priorità. La pace economica, il miglioramento delle condizioni di vita dei palestinesi, che finirebbe con il depotenziare il conflitto, questa è la sua priorità.". Come se fosse negativo cercare di migliorare le condizioni di vita dei palestinesi, raggiungere una pace economica con loro. Comunque il fatto che Netanyahu non si sia pronunciato a favore dello Stato palestinese, non implica, contrariamente a quanto crede Stabile, che farà di tutto per scongiurarne la nascita. Stabile è in malafede, e crede di leggere nella mente di Netanyahu, tanto da riportare anche ciò che non ha mai dichiarato (e cioè che sarebbe contrario alla nascita dello Stato palestinese).
Ecco l'articolo :
GERUSALEMME - Obama non ha nascosto la propria inquietudine: «Con Netanyahu la pace non sarà più facile, ma resta necessaria». E il premier incaricato risponde subito al presidente americano: «Il mio governo riaprirà il negoziato di pace», guardandosi tuttavia dal dire che l´obbiettivo è la nascita di uno Stato palestinese.
Non lo dice, Benyamiun Netanyahu, che anche lui, come Obama, o come Tzipi Livni, vuole una soluzione del conflitto basata sulla soluzione dei «due Stati per due popoli» perché non lo pensa, non ci crede, come ormai tutta o quasi la destra israeliana, ed ha altre priorità. La pace economica, il miglioramento delle condizioni di vita dei palestinesi, che finirebbe con il depotenziare il conflitto, questa è la sua priorità. E spiega ad un´assemblea di uomini d´affari che «una forte economia palestinese» rappresenta «un forte fondamento per la pace». Altro che riconoscimento dei diritti nazionali, compromesso sui confini, divisione di Gerusalemme, diritto al ritorno, «i palestinesi devono capire che hanno nel nostro governo un partner per la pace e per un rapido sviluppo economico». Quindi, avendo chiarito il suo concetto di pace, conclude: «Questo significa che si negozierà la pace con l´Autorità palestinese». La quale non sembra però entusiasta della svolta. Un portavoce del presidente Abbas, Nabil Abu Rudeinah, replica che «il futuro governo israeliano deve impegnarsi in maniera esplicita e senza ambiguità nella soluzione dei due Stati».
Dunque, da un lato c´è un´Amministrazione americana che non ha soltanto ribadito, ma ha dimostrato di volersi impegnare a fondo nella ricerca di una soluzione del conflitto basata sulla formula dei «due stati»; dall´altro, un governo israeliano in fieri, ma ormai in procinto di essere varato, dovrebbe succedere martedì della prossima settimana, che preferisce parlare d´altro.
Molti si chiedono se l´ingresso del partito laburista di Ehud Barak nel governo di destra Netanyahu-Lieberman, avrà l´effetto di spostare la rotta del nuovo esecutivo, dove nutrita è la presenza di nazionalisti e religiosi, in direzione del processo di pace. Quelli che ritengono di sì, citano a questo proposito la clausola dell´accordo stretto tra Barak e Netanyahu dove si dice che il nuovo governo rispetterà tutti gli accordi internazionali finora firmati da Israele, inclusi dunque, quelli coi palestinesi. Ma come mai né Barak, né Netanyahu, né altro esponente della maggioranza hanno riaffermato la volontà di proseguire il negoziato avviato nel novembre del 2007 ad Annapolis?
L´impressione è che non sarà Barak, che del processo di Annapolis fu soltanto spettatore, a tirare per la giacca Netanyahu, il quale dovrà stare molto attento a non deludere le aspettative dei partner alla sua destra, a cominciare dal leader ultra-nazionalista Lieberman. Ieri la Radio militare ha rivelato l´esistenza di un accordo segreto tra Netanyahu e Lieberman per espandere l´insediamento di Maale Adumim. Un vecchio progetto che gli Stati Uniti avevano bloccato.
Il MANIFESTO - Maurizio Matteuzzi : " Il realismo della foglia di fico "
Matteuzzi scrive : "Stando alle prime avvisaglie Netanyahu, il premier designato e muscolare, con il suo corredo di ultrà di destra laica – Lieberman, per di più agli esteri – e di destra religiosa – come i super-ortodossi dello Shas –, nonostante la buona volontà e lo zelo di governi e giornali d’America e d’Europa, sarebbe andato incontro a serie difficoltà a presentarsi sulla scena internazionale ancora come la vittima sacrificale e il bersaglio fisso del «terrorismo islamico» (Hamas e l’Iran) e dei ricorrenti rigurgiti anti-israeliani/ anti-sionisti (ergo anti-semiti) dell’Occidente. ".
Contrariamente a quanto vorrebbe farci credere Matteuzzi, Israele è minacciato quotidianamente dai terroristi di Hamas ( I quali hanno dichiarato più volte che, per loro, un premier vale l'altro ), da Hezbollah e dall'Iran. Non è una copertura inventata e diffusa da governi e giornali statunitensi ed europei. La presenza di Barak al governo non serve a permettere a Israele e a Netanyahu di mantere una " facciata " da agnello sacrificale (come scrive Matteuzzi ). Non è chiaro in base a quali principi e a quali dichiarazioni di Barak, Lieberman e Netanyahu Matteuzzi scriva : " Nessuno dei due (anzi dei tre) vuole essere la levatrice di uno staterello palestinese ". Come al solito Israele viene considerata la prima responsabile dell'inesistenza dello Stato palestinese, mentre i veri responsabili (Paesi arabi e islamici, dirigenti palestinesi oltranzisti e terroristi) non vengono mai identificati.
Ecco l'articolo :
Ehud Barak, il compagno Barak, emblematico esponente della sinistra di governo e di lotta israeliana, ce l’ha fatta. Forse. Forse riuscirà a conservare ilministero della difesa nel prossimo governo Netanyahu-Lieberman: il governo più di (estrema) destra nella storia dello stato ebraico. Da far apparire un moderato il vecchio Jabotinsky per non parlare di Begin, Shamir e Sharon, le altre stelle del pantheon della destra israeliana. Nel tentativo di riconquistare (come al solito) con la guerra consensi che il Labour, il partito fondatore dello stato di Israele, da 30 anni è andato irrimediabilmente perdendo, in dicembre Barak lanciò il sanguinario attacco per «legittima difesa » contro Gaza. Una «legittima difesa», secondo gli israeliani e i loro estimatori, che l’Onu, Amnesty e (ieri) Human Rights Watch chiamano sempre più all’unisono «crimini di guerra». 1350 palestinesi uccisi, quasi la metà civili e quasi il 25% bambini, l’8% donne, come testimoniano le spiritose t-shirts esibite dai soldati di Tsahal («l’esercito più morale del mondo »): «tiri un colpo e ne ammazzi due» sul disegno di una donna palestinese incinta, «meglio se avessero usato il preservativo» sul profilo del bambino palestinese ucciso. Spaccando in due i resti del Partito laburista, già castigato duramente nelle elezioni di febbraio, Barak è riuscito a strappare l’assenso di 680 delegati contro 500 e di 6-7 deputati su 13 all’entrata nel governo di ultra- destra Netanyahu-Lieberman. Per «moderarlo » e spingerlo verso il centro, ça va sans dire. In cambio di 5 poltrone daministro – fra cui la difesa che già occupava con il centro-destra di Olmert-Livni –, Barak ha acconsentito di fare la foglia di fico e dare la copertura internazionale «di sinistra». Stando alle prime avvisaglie Netanyahu, il premier designato e muscolare, con il suo corredo di ultrà di destra laica – Lieberman, per di più agli esteri – e di destra religiosa – come i super-ortodossi dello Shas –, nonostante la buona volontà e lo zelo di governi e giornali d’America e d’Europa, sarebbe andato incontro a serie difficoltà a presentarsi sulla scena internazionale ancora come la vittima sacrificale e il bersaglio fisso del «terrorismo islamico» (Hamas e l’Iran) e dei ricorrenti rigurgiti anti-israeliani/ anti-sionisti (ergo anti-semiti) dell’Occidente. L’operazione Piombo fuso, sul piano militare, non è stata uno smacco così vistoso come fu quello del 2006 in Libano ma non è stata un successo e si è rivelata (si sta rivelando) una catastrofe sia sul piano politico sia su quello dell’immagine. Obama, con le sue exit strategies dall’Iraq e dall’Afghanistan, i suoi accenni d’apertura all’Iran e alla Siria (poi a Hamas?), forse non è così completamente malleabile da parte degli israeliani – il governo e la lobby – come i suoi predecessori. Una foglia di fico «di sinistra» al falco Netanyahu e al razzista Lieberman può tornare utile.Nessuno dei due (anzi dei tre) vuole essere la levatrice di uno staterello palestinese, neanche nel format bantustan. Nessuno dei due (anzi dei tre) parla di un processo di pace che non sia una tragica burla, anche se ieri, un giorno dopo l’accordo con «la sinistra», Netanyahu ha concesso di voler continuare i negoziati con l’Autorità palestinese dell’evanescente Abu Mazen (chi l’ha visto?). Sarà Netanyahu a trascinare Barak (sempre più) a destra o sarà Barak a trascinare Netanyahu (e Lieberman) al centro? La risposta più probabile sta nel profilo personale e politico dei tre protagonisti di una storia che fa di Israele una pericolosa bomba a tempo e caccia il paese fondato sulmito del sionismo socialisteggiante in un vicolo cieco.
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