E' stata aperta un'inchiesta sul comportamento dell'esercito israeliano a Gaza in seguito alla testimonianza di alcuni soldati reduci dall'operazione Piombo Fuso. Lo ha riferito ieri il quotidiano israeliano Haaretz e oggi la notizia è sui quotidiani italiani.
Da parte nostra, concordiamo con quanto affermato dal ministro della Difesa Ehud Barak: l'esercito israeliano è davvero "il più etico del mondo". Il fatto che l'inchiesta sia stata aperta senza esitazioni, poi, dimostra il buon funzionamento della democrazia israeliana, che non ha paura di scoprire la verità, nemmeno se è scomoda.
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 20/03/2009, a pag. 17, la cronaca di Aldo Baquis dal titolo " Orrori dell’esercito israeliano: 'Bello a Gaza, si spara a tutti' " e segnaliamo gli articoli di REPUBBLICA, e MESSAGGERO.
Riportiamo, inoltre, dall'OPINIONE, l'articolo di Michael Sfaradi dal titolo " Moshe Katzav sotto processo come un comune cittadino ".
La STAMPA - Aldo Baquis : " Orrori dell’esercito israeliano: 'Bello a Gaza, si spara a tutti' "
Il titolo, scorretto, è fuorviante per il lettore perchè gli fa credere, a torto, che tutti i soldati di Tsahal durante l'operazione Piombo Fuso, abbiano sparato per divertimento indiscriminatamente, senza distinguere tra terroristi e civili.
Un banale malinteso. Un ufficiale che ordina ad una donna palestinese di piegare a destra quando esce dalla sua casa. La donna, che è con due bambini, non lo capisce e piega a sinistra. Su un tetto vicino c’è appostato un soldato con un mitra pesante. Ha ordine di sparare su chiunque venga da una direzione determinata. Avrebbe dovuto essere avvertito che la donna con i bambini si è sbagliata. Invece non lo è stato. Allora lui obbedisce agli ordini. Magari ha puntato alle gambe della donna. Ma in definitiva sul terreno restano i cadaveri della donna, e dei bambini. «Dal suo punto di vista, ha fatto il suo lavoro. Non so come dirvelo... la atmosfera fra quelli con cui ho parlato è che la vita dei palestinesi, diciamo, era molto, molto, molto meno importante di quella dei nostri soldati».
È la testimonianza di Ram (la sua identità completa non è nota), un reduce della operazione «Piombo Fuso» a Gaza, che ieri ha dominato le pagine di Haaretz e Maariv, e le trasmissioni radio-televisive. Il mese scorso Ram ed altri suoi commilitoni hanno parlato delle proprie esperienze di guerra a Gaza nel «Centro Rabin» del seminario Oranim (Galilea) dove si preparano le nuove leve dell'esercito israeliano. In prevalenza sono iscritti a quei corsi membri di kibbutz, cioè socialisti. Il direttore Dany Zamir è un ufficiale di riserva, politicamente di sinistra. Ascoltati gli interventi di Ram e dei suoi compagni, ha inoltrato un documento dettagliato al Capo di stato maggiore, gen. Gaby Ashkenazy, il quale ieri ha ordinato un’inchiesta.
I racconti dei soldati sono in parte «per sentito dire». E' possibile che non conoscessero il quadro completo della situazione sul terreno e delle informazioni di intelligence. Ma descrivono un esercito in cui soldati non esitano ad abbandonarsi a vandalismi gratuiti nelle case palestinesi occupate per ragioni tattiche, ad esempio «scaraventando dalle finestre il frigorifero, i mobili, le stoviglie» per fare spazio ai militari. Ci sono anche casi opposti. Come racconta Yossi, il suo ufficiale ordinò che la casa palestinese occupata fosse poi «sciacquata, riordinata, con le coperte ben ripiegate e riposte negli armadi». «Non credo che l'esercito siriano, o quello afghano, sciacquerebbero la casa del nemico», dice Yossi. Ma tutto dipende dall'ufficiale sul posto, e il suo faceva eccezione. Nel seminario Oranim diversi soldati hanno avuto piuttosto l'impressione che per loro a Gaza tutto fosse lecito.
Aviv: «Ecco quello che è bello a Gaza... Vedi un tizio sull’asse, passa il sentiero, non deve avere armi, tu non devi identificarlo in maniera particolare, puoi semplicemente sparargli». «C’erano un sacco di allarmi - ammette Aviv - potevano esserci kamikaze, ma io avevo la impressione di aver con me persone assetate di sangue». Benyamin racconta al contrario di aver avuto ordine di impedire che i palestinesi si avvicinassero al confine. Si imbatte così in una figura «sospetta»: è un agricoltore di 70 anni, con un cassa di pomodori. «Nessuno di noi voleva un agricoltore sulla coscienza. Abbiamo fatto dietro-front. Se qualcuno pensa che abbiamo messo a repentaglio la sicurezza di Israele, ce lo faccia sapere».
La guerra a Gaza, dicono, è stata tutto sommato «noiosa». I miliziani di Hamas erano scappati, si nascondevano nei bunker. Il tempo passava lentamente, senza episodi di rilievo. Quando da un minareto qualcuno ha finalmente sparato su di loro c'è stata gioia, «perché abbiamo potuto inaugurare il nuovo mitragliatore». «Il Rabbinato - ricorda Ram, che serviva con soldati iscritti in istituti religiosi - ci “bombardava” con testi sacri, abbiamo ricevuto una tonnellata di Salmi. Fra di noi molti avevano la sensazione di combattere una guerra di religione». «La cosa più sgradevole - dice Ghilad - è espellere una famiglia dalla sua casa. Non augurerei a nessuno di prendere una nonna di 90 anni e sbatterla fuori».
Secondo il gen. (riserva) Yiftah Ron-Tal i racconti di questi soldati sono «molto atipici» e forse imprecisi, non essendo sempre di prima mano. «Va ricordato che Hamas si è fatto scudo di civili, che dietro ad una finestra dove compariva una donna con un bambino a volte spuntava la canna di un fucile». La magistratura militare ha comunque preso sul serio queste deposizioni e vuole andare fino in fondo. Nei siti internet le esternazioni dei soldati sono invece oggetto di critiche furiose: con un nemico barbaro e crudele come Hamas, dicono in tanti, Tsahal «si è comportato davvero con i guanti». Altri ancora insinuano un dubbio: che Haaretz abbia ricevuto importanti finanziamenti dall'Europa «per denigrare, come è peraltro solito, lo Stato di Israele».
La REPUBBLICA - il titolo della cronaca di Alberto Stabile ( "Gaza, così sparavamo sui civili ") è scorretto: il bersaglio delle operazioni israeliane erano i terroristi di Hamas, non i civili. Ma leggendo il titolo sembra l'opposto e cioè che quella di colpire i civili fosse un'azione premeditata e una condotta generalizzata.
Nell'articolo si legge : " Racconti duri, pesanti come macigni, capaci creare molto imbarazzo ai vertici delle forze armate. Al punto che il procuratore militare, quasi a voler bilanciare l´inevitabile scalpore con un gesto rassicurante, ha deciso di rendere pubblica la decisione di aprire un´inchiesta.". L'inchiesta è pubblica ed è stata aperta non per bilanciare " l'inevitabile scalpore ", ma per far luce sui fatti. Le inchieste, in una democrazia funzionante, si aprono quando si scoprono o si sospettano delle irregolarità, non per placare le proteste degli oppositori e dei critici.
Il MESSAGGERO - La cronaca di Eric Salerno dal titolo " Soldati israeliani ammettono: 'Abusi contro civili palestinesi' " descrive meticolosamente gli abusi che sarebbero stati commessi dai soldati israeliani. Non commenta in nessun modo il fatto che si stia svolgendo un'inchiesta. A Salerno interessa solo l'occasione di poter screditare Israele, non la realtà della democrazia israeliana.
L'OPINIONE - Michael Sfaradi : " Moshe Katzav sotto processo come un comune cittadino "
Nell'articolo viene dato un altro esempio del buon funzionamento della democrazia israeliana. L'ex presidente di Israele, Moshe Katzav, è sotto processo per violenza sessuale, malversazione, negligenza ed anche ricatti e persecuzione, mobbing e stalking. Costretto alle dimissioni in seguito alle accuse ricevute, ora sta subendo un regolare processo e, se verrà riconosciuto colpevole, sconterà una pena in carcere. In Israele nessuno è al di sopra della legge, nemmeno i soldati di Tsahal e il presidente. Ecco l'articolo:
Per tutte le democrazie, anche le più consolidate, è sempre molto difficile mettere alti esponenti politici sotto accusa, anche quando ci sono testimonianze dettagliate sul loro modo di operare al di sopra della legge. Quando ci si riesce, e i casi sono veramente pochi, ci si accontenta generalmente delle semplici dimissioni dall'incarico e di un periodo di "purgatorio politico", dopo di che, a distanza di qualche anno quando le loro malefatte sono passate nel "dimenticatoio", gli stessi riappaiono in pubblico "vergini". Israele però, con buona pace dei suoi detrattori, sta dimostrando ancora una volta di essere una vera democrazia che ha molto da insegnare in materia di diritti e doveri di ogni cittadino, dove nessuno è al di sopra della legge, neanche il presidente della Repubblica in carica. Come certamente ricorderete Moshe Katzav, fu costretto alle dimissioni dalla più alta carica dello Stato da una denuncia sporta contro di lui da una donna che lavorava al ministero del turismo. La denuncia è relativa al periodo in cui Katzav era ministro del turismo e la donna era una delle segretarie del Ministro. Le accuse sono di: violenza sessuale, malversazione, negligenza ed anche ricatti e persecuzione, mobbing e stalking". Le indagini sono andate avanti per alcuni anni, ed hanno guardato a fondo nel privato dell'accusante e dell'accusato. Sono state sentite diverse persone che potevano essere a conoscenza dei fatti e tutte le dichiarazioni sono state attentamente confrontate. Per accuse di reati di questa portata era assolutamente necessario indagare in modo che nulla fosse lasciato al caso, ed a lavoro finito la polizia ha chiuso le indagini ed inviato le conclusioni al procuratore generale dello Stato, il Giudice Mazur, che ha deciso per il rinvio a giudizio. A breve si aprirà il processo, sotto certi aspetti unico, dove l'ex primo cittadino si dovrà difendere davanti alla nazione e nel caso in cui venga riconosciuto colpevole avrà un lungo periodo da passare nelle patrie galere.
L'unico precedente di questo tipo è di qualche anno fa quando l'allora Ministro degli Interni Arie Derri fu condannato per corruzione e scontò quattro anni in carcere prima di essere mandato agli domiciliari.
In tutta questa storia, comunque vada a finire, la politica non fa certamente una bella figura ma l'uguaglianza fra i cittadini, la credibilità della magistratura che amministra la giustizia nella nazione e la democrazia nella sua essenza più vera ne escono vincitori.
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