Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Gilad Shalit è vivo Lo dimostrerebbe un video nella mani di Hamas
Testata: Corriere della Sera Data: 10 marzo 2009 Pagina: 15 Autore: Francesco Battistini Titolo: «' C'è il video, Shalit è vivo ' Ma la prova resta in Siria»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/03/2009, a pag. 15, la cronaca di Francesco Battistini dal titolo " ' C'è il video, Shalit è vivo ' Ma la prova resta in Siria " sul video con Gilad Shalit, prigioniero di Hamas da quasi mille giorni. Ecco l'articolo:
GERUSALEMME — C'è posta, ma non per loro. Noam e Aviva Shalit, che da una vita aspettano il figlio e da tre giorni stanno con la tenda piantata davanti a casa Olmert, sanno che il loro Gilad ha scritto una lettera. Che compare in un video. Che dice di star bene, tutto sommato. Che domanda se per caso si sono tutti dimenticati di lui. Sanno che la busta e la cassetta le avrebbe portate fuori Gaza il numero due di Hamas filiale siriana, Mussa Abu Marzuk: l'uomo che una settimana fa, dopo vent'anni d'assenza, a sorpresa è potuto tornare nella Striscia col permesso degli egiziani, nella voluta distrazione degl'israeliani. Sanno che Marzuk ha ricevuto la prova che Gilad è vivo, ma l'ha consegnata al suo capo di Damasco, Khaled Meshal. E che questi non la mostrerà a nessuno, nemmeno ai genitori, finché non s'arriverà all'accordo per scambiare i prigionieri: Shalit libero, in cambio di centinaia di palestinesi detenuti. Saranno mille giorni, il 21 marzo. Maledetta primavera. La faccia di Gilad ormai è sugli sticker di migliaia d'auto, su lenzuola appese a mille balconi. Gli hanno dato la cittadinanza francese, dedicato canzoni, pubblicato (anche in italiano) le favole che scriveva adolescente. «Temo che questa sia l'ultima chance», dice Noam sul marciapiede di via Gaza, l'indirizzo del premier che ora il sindaco di Gerusalemme vorrebbe cambiare in via Sderot, come la città bersagliata dai razzi di Hamas. «Abbiamo fatto il possibile, non ci resta altro. Stiamo qui con la tenda, aspettiamo finché Gilad non torna a casa. Olmert ha una promessa da mantenere, prima d'andarsene. Non c'importa che adesso non ci sia un governo. Hanno avuto abbastanza anni, mesi, settimane, per chiudere questa storia». Sfilano centinaia di persone. Portano bigliettini, dolci e regalini di Purim, il carnevale ebraico. Chi abbraccia: «Siamo con voi». Chi critica: «Fate il gioco di Hamas». Arrivano a solidarizzare i genitori di soldati ancora più sfortunati: Shlomo Goldwasser, papà di Udi, dopo due anni restituito morto dagli Hezbollah; Zvi Regev, che vide il suo Eldad sparire in Libano; Ora Lauper-Mintz, la mamma del desaparecido Raz: «So come dormite, lavorate, aspettate. Non vi conosco, ma so tutto di voi». A metà pomeriggio, un invito da casa Olmert. Aliza, la moglie del premier, vuole incontrare i coniugi Shalit: «Ci andiamo, ovvio. Anche se non ha notizie da darci ». È dalla Siria che arrivano, le notizie. Perché è lì che decidono. Bashar Assad, il presidente, domani sarà in Arabia a parlare del piano saudita. Ne approfitta per rilanciare un enigmatico segnale. Una pace con Israele è possibile, dice, «può anche aprire un'ambasciata israeliana a Damasco»: ma «c'è differenza tra accordo di pace e pace in sé. L'accordo è un pezzo di carta che non significa l'avvio di scambi commerciali, la normalità delle relazioni, confini o altro». Perché il nodo è la questione palestinese, «non avrebbe valore un accordo che non tenesse conto del mezzo milione di palestinesi che vivono in Siria », e quindi «è interesse del negoziatore palestinese coordinarsi con quello siriano». Parole lampanti: senza Siria non si tratta. E nemmeno senza Hamas. E al Cairo possono mediare quanto vogliono: il prezzo di Shalit, se ci sarà, lo vogliono incassare a Damasco.
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