Sulla visita di Hillary Clinton a Gerusalemme pubblichiamo la cronaca di Michele Giorgio dal MANIFESTO di oggi, 014/03/2009, a pag.11. Dal CORRIERE della SERA, la cronaca di Francesco Battistini e l'intervista ad Amos Oz di Lorenzo Cremonesi. I nostri commenti prima degli articoli.
Il Manifesto- Michele Giorgio: " Clinton, due stati, ma non vede le colonie ".
Non ci sarebbe alcun motivo per riprendere il pezzo di Giorgio, se non fosse un esempio illuminante di come il quotidiano comunista sia l'esatta fotocopia di un foglio iraniano direto Ahmadinejad. Leggere per credere. Falsità sul "raddoppio delle colonie", delusione persino sull'apertura americana alla Siria, vista come un tentativo di isolare l'Iran, stizza per vedere come, anche con Obama, la < fondamentale alleanza > con Israele verrà mantenuta, persino le opinioni di un analista del Centro Besa - un think thank dalle posizioni politiche all'opposto del giornale comunista - vengono presentate come se fossero critiche nel senso voluto da Giorgio ! Di positivo c'è il fatto che se Giorgio si rattrista allora vuol dire che la situazione non è poi così critica. Ecco l'articolo:
Coloro che credevano di poter registrare novità di rilievo nelle posizioni degli Stati Uniti sul conflitto israelo-palestinese, hanno capito ieri dalle parole del Segretario di stato Hillary Clinton che l’Amministrazione Obama porterà avanti nella regione una linea di sostanziale continuità con la politica di George W. Bush. Nessun forzatura. Stretta alleanza con Israele, come prima. La priorità rimane assegnata al nucleare iraniano. Qualcosa di nuovo semmai è emerso ancora sul fronte dei rapporti tra Washington e Damasco. Dopo il breve colloquio di lunedì tra Clinton e il ministro degli esteri siriano Walid Moalem, ieri il Segretario di stato ha annunciato che arriveranno a Damasco due inviati americani Jeffrey Feltman, assistente delDipartimento di stato per il Medio Oriente, e Daniel Shapiro, esperto del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca. L’apertura alla Siria comunque si inquadra nel tentativo di Washington di isolare Teheran, provando a separarla dal suo principale alleato nella regione. Israele e Stati Uniti manterranno sempre la loro «fondamentale » alleanza, anche se vi potranno essere divergenze, ad esempio con il premier incaricato Benyamin Netanyahu (Likud), contrario alla soluzione dei due Stati (Israele e Palestina) che Washington intenderebbe perseguire. «Gli Stati Uniti hanno sempre sostenuto e lavorato con il governo e il popolo d’Israele e continueranno a farlo...Aspettiamo ora di lavorare con il nuovo governo», ha detto Clinton rispondendo alla domanda se vi saranno problemi con un esecutivo che non sostenga una soluzione basata su due Stati. Per l’analista Eytan Gilboa, del centro Besa di studi strategici, il segretario di stato non ha portato alcuna novità. «Clinton ha parlato di Stato palestinese indipendente ma questa era la posizione di George Bush – ha detto Gilboa al manifesto –: l’Amministrazione Obama in nessun caso cercherà lo scontro, anche con un governo israeliano schierato contro la creazione dello Stato di Palestina». Netanyahu da parte sua, incontrando ieri sera Clinton, ha astutamente evitato di proclamarsi contrario al proseguimento del negoziato con i palestinesi. Al contrario si è mostrato flessibile, moderato e ha detto di aver trovato un «terreno comune» con il Segretario di stato. D’altronde mentre Clinton parla di Stato di Palestina, invece non apre bocca sulla decisione delle autorità israeliane di raddoppiare la presenza dei coloni in Cisgiordania nonostante gli insediamenti ebraici - costruiti in violazione delle leggi internazionali - siano l’ostacolo principale sulla strada di uno Stato palestinese sovrano. Proprio ieri la stampa israeliana ha riferito di un piano del ministero dell’edilizia per la costruzione di 73.000 unità abitative in grado di accogliere fino a 280.000 abitanti nelle colonie della Cisgiordania). «Non dobbiamo attenderci novità sulla questione palestinese – ha aggiunto Gilboa – come Bush anche Obama respinge la possibilità dell’avvio del dialogo con Hamas, farà di tutto per rafforzare Abu Mazen e l’Anp e non imporrà le sue scelte a Israele». Gilboa è certo che l’attenzione della nuova AmministrazioneUsa, in politica estera, continuerà a concentrarsi sull’Iran. «Israele farà di tutto per convincere Obama che senza l’interruzione del programma atomico di Teheran e la fine del sostegno (iraniano) aHezbollah e Hamas, sarà impossibile raggiungere un accordo tra israeliani e palestinesi». Washington procederà con estrema cautela verso un possibile dialogo con l’Iran e dovrebbe mostrarsi interessata al documento che i leader israeliani, secondo il quotidiano Ha’aretz, faranno avere ad Obama attraverso il Segretario di stato. Il documento, spiega il giornale, sottolinea «l’importanza di stabilire limiti rigidi al dialogo per evitare che l’Iran cerchi di guadagnare tempo allo scopo di far progredire il suo programma nucleare». L’Anp di Abu Mazen ha accolto con cauta soddisfazione le dichiarazioni della Clinton sullo Stato di Palestina. Il negoziatore Saeb Erekat ha commentato che i palestinesi negozieranno con qualsiasi governo israeliano favorevole alla soluzione dei due Stati e assicurato che un futuro esecutivo di unità nazionale, con la partecipazione Hamas, dovrà accettare gli accordi già firmati con Israele e il proseguimento delle trattative. Una bocciatura senza appello alla prima missione in Medio Oriente di Hillary Clinton è giunta da Hamas. «La visita è stata deludente - ha attaccato un parlamentare, Mushir Masri - dimostra che non ci sarà alcuna nuova politica degli Stati Uniti nella regione». Masri ha ribadito che Hamas non accetterà mai le condizioni poste dal Quartetto (Usa, Russia, Onu e Ue) per poter dialogare con il suo movimento: riconoscimento di Israele e degli accordi sottoscritti dall’Anp e rinuncia alla lotta armata.
Corriere della Sera- Francesco Battistini: " Hillary annuncia la svolta, due inviati a Damasco"
GERUSALEMME — Folgorata, forse no: non è nel personaggio. Però è sulla via di Damasco che Hillary Clinton ha deciso di muovere le sue prime pedine. La fugace stretta di mano col ministro siriano e la rinuncia a un faccia a faccia sul Mar Rosso, lunedì, non erano un segnale di gelo: piuttosto, il segno convenuto che si può fare. Per la prima volta in quattro anni, dall'assassinio del presidente libanese Hariri e dalle accuse ai siriani d'esserne i mandanti, oggi arrivano a Damasco due inviati Usa: Jeffrey D. Feltman, ex ambasciatore a Beirut, il più alto diplomatico che si occupi dell'area, e Daniel Shapiro, l'uomo che in estate accompagnò l'allora candidato Obama nel suo tour mediorientale. Dal 2005, i due Paesi non hanno rapporti diplomatici, anche se l'ambasciatore siriano a Washington, Imad Mustafa, è stato ricevuto un mese fa al Dipartimento di Stato. «Saranno colloqui preliminari — dice Hillary —. Non abbiamo modo di prevedere il futuro. E dobbiamo pur percepire qualche beneficio per noi e i nostri alleati. Ma penso sia un lodevole sforzo, cominciare con questi colloqui».
Qualcosa di più che semplici chiacchiere. La segretaria di Stato Usa dà l'annuncio mentre è con la ministra israeliana Tzipi Livni, e la scelta di parlarne da qui probabilmente non è casuale: ieri mattina la stampa di Gerusalemme rivelava che Bashar Assad, presidente siriano, ha incontrato alcuni diplomatici occidentali dicendo di voler «firmare un accordo di pace» con il premier israeliano incaricato, Bibi Netanyahu, oltre che migliorare le relazioni con gli Usa. Ora, la mossa di Hillary sembra mettere in lieve difficoltà proprio Bibi, che ebbe più d'un imbarazzo coi siriani, fu criticato dall'allora presidente Clinton, e anche ora non considera una priorità il dossier Damasco. Ma il leader del Likud non si fa trovare spiazzato e quando incontra l'inviata di Obama si mostra raggiante: «Abbiamo trovato un linguaggio comune, l'obbiettivo è un pensiero creativo per uscire dal labirinto».
Pensiero creativo. Due parole che si riferiscono all'ipotesi dei due Stati, l'israeliano e il palestinese affiancati. Netanyahu è notoriamente contrario, ma Hillary è venuta a Gerusalemme a ribadire in un arzigogolo che «l'inevitabilità di lavorare per una soluzione di due Stati è ineludibile». E l'Iran? La Clinton tranquillizza: non c'è fretta. Israele invece è d'accordo ad aprire subito un dialogo, purché a scadenza: «Con la scusa dei colloqui — dice Ehud Barak, ministro della Difesa —, il rischio è che Teheran sfrutti il tempo per costruirsi l'atomica».
Corriere della Sera- Lorenzo Cremonesi: " Con la Siria la pace è a portata di mano "
Cremonesi intervista Amos Oz, magnifico narratore ma sfortunato analista politico. Deluso dalla sua discesa elettorale, lo scrittore prene al solito lucciole per lanterne, scambia Bush con Ahmadinejad, e si commuove di fronte alle prospettive di pace. Era il programma elettorale di Meretz, che gli israeliani hanno respinto, ma che a Cremonesi, colomba quando si tratta di Israele, fa sempre effetto. Ecco l'articolo:
ARAD — «Ottimo che la nuova amministrazione americana dialoghi con la Siria. In questo momento vedo molte più possibilità di pace tra Gerusalemme e Damasco, che non con i palestinesi. Ma la situazione è fluida. Barack Obama mi fa ben sperare. E potremmo scoprire che la prossima coalizione di centro-destra guidata da Benjamin Netanyahu è più aperta alla nascita di uno Stato palestinese di quanto si potesse pensare». Amos Oz è seduto su di un piccolo divano nello studio spartano della sua villetta alle porte del deserto del Negev. In un angolo della libreria alle sue spalle sono visibili alcune copie delle 641 edizioni in 37 lingue diverse dei suoi 26 libri. E sta uscendo in ebraico una nuova raccolta di 8 racconti brevi. Scrittore di fama internazionale, intellettuale impegnato della sinistra israeliana che non esita però a criticare aspramente anche i suoi compagni di strada: in quasi quattro ore lui parla un po' di tutto.
Dunque con Damasco si potrebbe riprendere il dialogo interrotto nel Duemila con il fallimento dei contatti tra Barak e Assad?
«Assolutamente sì. La pace potrebbe essere ad un tiro di schioppo. Allora si paralizzò sulla questione dell'accesso siriano alle acque del lago di Tiberiade. Io non voglio entrare in dettagli tecnici, che non conosco. Ma mi sembra che Netanyahu sia pronto a cedere il Golan».
Non teme l'intervento dell'Iran e la possibilità di un blitz israeliano contro le sue installazioni atomiche?
«Il Pakistan è un Paese molto ma molto più pericoloso dell'Iran. Ne ho davvero paura. Rischia di implodere. Temo i suoi fanatici islamici, i talebani, Al Qaeda, temo che possano impadronirsi dell'atomica. Con l'Iran è diverso, guardo con grande interesse alla sua classe media che mi dicono avere una radicata e diffusa cultura laica assieme all'abitudine di criticare apertamente il governo. Non penso affatto che Israele debba attaccare l'Iran per fermare l'atomica. Sarebbe un esercizio inutile. Tra 10 o 15 anni anche Paesi come lo Yemen o il Sudan saranno in grado di possedere l'atomica, se la vorranno».
Il suo giudizio su Obama?
«Quattro settimane fa ha dichiarato che avrebbe affrontato il nodo israelo- palestinese in modo aggressivo. Ben venga, speriamo che lo faccia. L'elemento che più mi ha sorpreso nella sua elezione è che sia un intellettuale. Forse gli americani sono stati sviati dal fatto che fosse nero e non si sono accorti che lui è un vero intellettuale. Obama coglie la complessità articolata del mondo e la rispetta. Tutto il contrario di George Bush, che si presentava come un conservatore, ma in realtà era un crociato, un radicale, un seguace della Jihad, della guerra santa».
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