L'Iran mente sulla quantità di uranio che produce.
Di seguito la cronaca di Maurizio Molinari sulla STAMPA di oggi, 21/02/2009 e una breve dal MANIFESTO.
Riprendiamo anche un articolo dalla prima pagina del FOGLIO su Yahya Rahim Safavi, l'uomo che la Guida suprema della Repubblica islamica, l'ayatollah Khamenei, potrebbe sostenere, contro Ahmadinejad e Khatami, nelle imminenti elezioni presidenziali.
Ecco gli articoli:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Entro un anno Teheran avrà l'atomica "
L’Iran possiede una quantità sufficiente di uranio arricchito per realizzare un ordigno atomico e potrebbero bastargli pochi mesi per diventare una potenza nucleare. A svelarlo è l’ultimo rapporto dell’Agenzia atomica dell’Onu (Aiea), datato 19 febbraio, i cui ispettori hanno appurato che Teheran ha prodotto un terzo di uranio arricchito in più rispetto a quanto finora ha dichiarato. In particolare ne sono stati rinvenuti nella centrale di Natanz 209 kg dei quali si ignorava l’esistenza e che portano ora il totale della produzione accertata a 1010 kg ovvero oltre la soglia della «nuclear breakout capability», la capacità potenziale di costruire un ordigno nucleare.
Sebbene lo stesso rapporto Onu attesti che «restano degli ostacoli pratici alla produzione della bomba», perché manca ancora il potenziamento militare, e che l’Iran avrebbe «rallentato la produzione di uranio arricchito», quanto avvenuto comporta il «superamento della linea rossa», come osserva David Albright, ex ispettore Onu oggi presidente dell’Istituto per la scienza e la sicurezza internazionale di Washington, confessando di essere stato «accecato» dal rapporto dell’Aiea, consultabile online. «Grazie all’uranio arricchito accumulato possono realizzare una bomba atomica di circa 20-25 kg» spiega Albright, secondo il quale «il potenziamento finale dell’uranio arricchito non avverrà certo a Natanz ma in un impianto segreto del quale la comunità internazionale non è a conoscenza».
All’interrogativo su quanto tempo può servire a Teheran per disporre fisicamente della bomba, Albright risponde: «Alcuni mesi dal momento in cui inizieranno a potenziare militarmente l’uranio arricchito, potrebbe avvenire entro un anno». L’Aiea sospetta che l’impianto per costruire la bomba possa essere il nuovo reattore ad acqua pesante in via di costruzione ad Arak, dove fino a questo momento gli ispettori Onu non sono potuti entrare. Il processo di potenziamento militare dell’uranio arricchito comporta il trasferimento delle sostanze finora accumulate fuori dalla centrale di Natanz, che è sotto stretta sorveglianza dell’Onu, ma non si può escludere che la Repubblica islamica «abbia altri centri di produzione» osserva Albright sottolineando che «da tempo le autorità iraniane hanno cessato di dichiarare all’Onu quante centrifughe possiedono» oltre le 5600 di Natanz.
Resta da capire come sia stato possibile per gli ispettori Onu ignorare che la produzione iraniana fosse di circa un terzo superiore a quella ufficialmente dichiarata. La scoperta chiama dunque in causa i metodi di accertamento delle Nazioni Unite e pone dubbi dell’efficacia dei controlli che dipendono dall’egiziano Mohammed El Baradei, direttore dell’Aiea, oltre a confermare la volontà di Teheran di non svelare le reali dimensioni del programma.
La reazione dell’amministrazione Obama alle rivelazioni dell’Aiea è stata segnata dalla volontà di non forzare i toni. «Il rapporto testimonia che l’Iran ha perso una nuova opportunità di collaborare con la comunità internazionale» ha detto Robert Gibbs, portavoce di Obama. Il ministro della Difesa, Robert Gates, da parte sua ha precisato di «non aver ancora letto il rapporto» sottolineando che il riarmo di Teheran, confermato dal recente lancio di un satellite nello spazio, «dimostra la non volontà di rispettare le risoluzioni dell’Onu». A spiegare tale approccio è stato il vicepresidente Joe Biden che, presenziando all’insediamento del capo della Cia Leon Panetta, ha detto: «Questo governo cercherà contatti diplomatici con l’Iran». La cautela di Washington lascia dunque che l’amministrazione Obama non ha ancora terminato la «revisione della politica iraniana» e prende tempo per evitare di compiere passi che possano pregiudicare future strategie. Ma per Albright potrebbe non esservi troppo tempo a disposizione: «Israele considera l’Iran dotato di una capacità nucleare come una minaccia esistenziale».
Il MANIFESTO - L'articolo " Quanto uranio arricchito ha l’Iran? L’ultimo allarme rimbalza sui media ", a pag. 11, di Marina Forti, minimizza i rischi della corsa al nucleare dell'Iran e le menzogne del regime degli ayatollah sulla quantità di uranio prodotta. Vi si legge : " Per la verità, è una soglia virtuale. Alti funzionari dell’Onu (citati sempre dal Financial Times) sottolineano che per trasformare quell’uranio a basso arricchimento in materiale fissile («bombabile», buono per fare una bomba) l’Iran dovrebbe riconfigurare il suo impianto di Natanz per adattarlo a produrre uranio ad alto arricchimento (un aggiustamento molto visibile, cioè non sfuggirebbe agli ispettori dell’Aiea) oppure dovrebbe trasferire il materiale in eventuali impianti segreti, ma non c’è prova che tali siti segreti esistano, e difficilmente quel materiale potrebbe essere trasferito senza che gli ispettori lo notino. ". Insomma, l'Iran, che è già riuscito a nascondere agli ispettori dell'Aiea di avere più uranio di quanto ne avesse dichiarato, non è pericoloso perchè non gli riuscirebbe di ingannare di nuovo l'Aiea e produrre una bomba atomica. Inutile dire che l'articolo non menziona nemmeno il fatto che un Iran in possesso della bomba atomica sarebbe un pericolo per l'esistenza di Israele...
Il FOGLIO - " Si chiama Safavi la riserva elettorale di Khamenei ed è un pasdran diplomatico affarista "
Roma. L’ayatollah Ali Khamenei è inquieto. Washington bussa alla porta e lui non si fida. Pensa che chiunque creda che Barack Obama cambierà, nella sostanza, la politica estera americana sia naif. Ma mentre invoca l’odio degli iraniani, la Guida suprema è consapevole che gli usurati slogan rivoluzionari non sono una risposta alle sfide internazionali né un collante nazionale. Con il prezzo del petrolio a 37 dollari il barile le promesse impossibili di Mahmoud Ahmadinejad sono un testamento di inaffidabilità. L’inflazione galoppa, le fabbriche chiudono e, secondo l’economista Said Leilaz, i disoccupati l’anno prossimo saranno un milione in più (tre milioni in tutto). L’uomo che doveva dividere con tutti gli iraniani i proventi del petrolio ha fallito e il kingmaker Khamenei deve pensare a un piano B. Puntare su un Ahmadinejad bis di fatto commissariato in economia è una possibilità. Girare la medaglia e mostrare alla comunità internazionale il volto sorridente di Mohammed Khatami è un’altra. Ma tra sconfessare Ahmadinejad e cedere a Khatami c’è un’altra ipotesi da accarezzare: un terzo uomo, che potrebbe rispondere al nome di Yahya Rahim Safavi. La risoluzione 1.737 del Consiglio di sicurezza lo individua tra coloro che “contribuirono materialmente al programma missilistico iraniano”. Nelle foto che ritraggono l’ayatollah Khamenei, Safavi appare spesso sullo sfondo, seduto a gambe incrociate, lo sguardo devotamente volto verso il suolo e la divisa da generale. Safavi è stato per dieci anni, dal 1997 al 2007, il capo delle Guardie rivoluzionarie. Prima di allora si è distinto sul campo di battaglia nella guerra Iran-Iraq. Tra i pasdaran ha fama di duro, ma essere considerato soltanto “un soldato buono a sparare” è sempre stato il suo cruccio e infatti ama essere chiamato “sayyed” per evocare la discendenza da Hossein Ibn Ali, terzo imam dello sciismo, o “dottore” per vantare il dottorato in geografia, conseguito presso l’università delle Guardie rivoluzionarie. E’ un fedelissimo dell’ayatollah Khamenei: raccontano che fu ferito quando, nel settembre 2007, gli fu imposto di rassegnare il suo incarico in favore del rivale generale Jafari. Secondo alcune voci Safavi saltò “perché era un fan troppo accanito del presidente Ahmadinejad”. Secondo altre fu sostituito perché era troppo falco o, al contrario, troppo moderato. Quale che fosse il motivo reale, Safavi si è presto potuto consolare. Khamenei lo ha nominato suo consigliere militare e nell’ottobre 2008 questo ruolo si è arricchito di “poteri esecutivi”. “Il leader della rivoluzione – ha annunciato Safavi – mi ha affidato la delega di undici compiti”. Compiti che lo rendono uno dei personaggi più influenti del regime in ambito strategico e militare. Secondo il giornalista iraniano Amir Taheri, Safavi potrebbe rappresentare un salto di qualità per i pasdaran, non soltanto un quadro al potere, ma un vero e proprio leader. Intanto assieme al nuovo status di Safavi sono arrivati un sito web personale e un tour per le province iraniane allo scopo di “organizzare gruppi di sostegno politico”. Sostegno a chi? Safavi ha finalmente l’opportunità di soddisfare la sua ambizione e l’ammirazione per Ahmadinejad forse è già evaporata. Come il presidente, Safavi può contare sull’appoggio dei pasdaran e dei falchi dell’establishment khomeinista. Ma al contrario di Ahmadinejad sta tessendo rapporti anche con quel mondo del business che ha sempre osteggiato il presidente. In questi mesi ha fatto pesare il suo ascendente sui settori della nomenklatura legati agli affari delle Guardie rivoluzionarie e, attraverso i buoni uffici di familiari espatriati, ha iniziato a far conoscere il suo nome a importanti funzionari europei. Di pari passo con il suo potere è cresciuta la sua diplomazia. Lo stesso Safavi che assicurava che “la Casa Bianca dovrebbe sapere che l’Iran non si piegherà ad alcuna pressione politica o economica” e che “qualsiasi nave ostile che attraverserà il Golfo Persico è a portata dei missili dei pasdaran” di questi tempi si mostra prudente, non esclude il dialogo e saluta con favore l’apertura di Barack Obama. “Safavi non ha cambiato pelle, non è un campione di fair play – dice al Foglio un alleato di Khatami – Si è dato una calmata perché gliel’ha chiesto Khamenei”. Quando a governare erano i “riformisti” aveva idee chiare su come trattare i suoi avversari. “Troveremo i controrivoluzionari ovunque si trovino, taglieremo loro le mani, la lingua e la testa. Non possiamo tollerarli, mettono a repentaglio la nostra sicurezza. Noi non sopportiamo questa pretesa libertà e tutti i liberali. E se gli studenti si ostinano a gridare libertà, risponderemo con la spada ”. Forse Khamenei ha trovato un degno sostituto di Ahmadinejad.
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