Il film The Reader è stato accusato di essere troppo condiscendente verso le responsabilità dei tedeschi sulla Shoah. L'articolo " Kate segreta e scandalosa " di Lietta Tornabuoni sulla STAMPA di oggi, 20/02/2009, respinge questa critica e, anzi, accusa le associazioni ebraiche americane di fare "polemiche a vanvera", e persino di ingiusta stigmatizzazione dei nazisti ( " Una parte finale confusa e triste completa il film molto interessante, che ha suscitato le solite polemiche a vanvera delle associazioni ebraiche americane, secondo le quali chiunque abbia avuto a che fare con i nazisti è un mostro "). A noi non sembra che porre la questione del rischio di presentare in una luce favorevole i criminali nazisti sia fare" polemiche a vanvera ". La questione della memoria della Shoah non può essere liquidata come un fastidioso dettaglio.
Diverso è l'approccio dell'articolo di Maurizio Porro "La bella Winslet e il potere della parola " sul CORRIERE della SERA, nel quale la polemica non viene nemmeno menzionata. Ecco i due articoli:
La STAMPA - Lietta Tornabuoni : " Kate segreta e scandalosa "
Un bel film, con Kate Winslet meravigliosa protagonista, su sesso, segreti, Storia e l’ignoranza come origine dell’errore. Ideato da Anthony Minghella e Sydney Pollack morti durante il lavoro, tratto dal romanzo A voce alta del tedesco Bernhard Schlink tradotto in 40 lingue e pubblicato in Italia da Garzanti, sceneggiato da David Hare, The Reader (Il lettore) comincia in Germania subito dopo la II Guerra Mondiale, con una travolgente passione carnale. Diventano amanti (voraci, appassionati, mai sazi) una donna matura e un ragazzo sedicenne, il cui legame si fa anche più stretto quando lui si accorge di quanto a lei piaccia sentirlo leggere ad alta voce: le legge l’Odissea, La signora col cagnolino di Cechov, Le avventure di Huckleberry Finn di Twain. Poi lei scompare repentinamente, senza una parola.
Il ragazzo la rivede qualche anno dopo. Studente universitario di Legge, viene portato con altri dal professor Ganz ad assistere a un processo per crimini nazisti: è un processo ispirato a quelli di Francoforte (1963-1965) in cui venivano giudicati impiegati di livello medio-basso dei lager di Auschwitz-Birkenau. E la donna è lì, imputata in un gruppo di kapò. Risponde con naturale atonia alle domande dei magistrati: sì, cercava lavoro, ha sentito che c’erano posti da sorvegliante... sì, per forza una parte delle prigioniere doveva essere accompagnata a morire altrimenti non ci sarebbe stato posto per le nuove arrivate... Sarà molto più penoso per lei confessare la colpa che ritiene più grave: non sa leggere né scrivere, è analfabeta.
Una parte finale confusa e triste completa il film molto interessante, che ha suscitato le solite polemiche a vanvera delle associazioni ebraiche americane, secondo le quali chiunque abbia avuto a che fare con i nazisti è un mostro. Ma il film imputa questa colpa anche all’ignoranza, all’inconsapevolezza, alla mancanza di informazione su quanto è avvenuto e avviene intorno a sé, senza mostrare alcuna indulgenza verso la protagonista. Il film è bello e Kate Winslet non potrebbe essere più brava: The Reader, insieme con Revolutionary Road, ne fanno l’attrice dell’anno, degna di tutti gli Oscar possibili.
CORRIERE della SERA - Maurizio Porro : " La bella Winslet e il potere della parola "
Il libro continua ad essere al centro dell'indagine del cinema: da un lato
Inkheart ne promuove la folgorazione fantasy, dall'altro il sofferto The Reader
dimostra dopo Revolutionary Road
quanto Kate Winslet sia ormai in grado di esprimere gli autentici, sottili, ambigui sentimenti che compongono il Dna psicologico di un personaggio difficile. Come Hanna, la bella sconosciuta che soccorre un ragazzo nella Germania del dopoguerra e vive con lui un'intensa relazione erotica ricevendone in cambio un'educazione letteraria. Perché il biondo Michael, che studierà legge a Heidelberg, e vive la sua «infanzia di un capo», le legge poesie e romanzi classici e moderni amplificando il potere della parola. La donna, in realtà analfabeta, scompare poi dalla vita del ragazzo, che ha anticorpi sociali per difendersi: è stato un virus, come la scarlattina. Ma quando la rivedrà in tribunale anni dopo, accusata come kapò di un lager nazista, si muove qualcosa, ma non anticipiamo come, quando e perché.
L'ignoranza anche letterale di fronte all'Olocausto e al rimorso collettivo, accendono il film di un'ignota forza di denuncia che trapassa fisicamente nella partecipata regìa di Stephen Daldry ( The Hours, Billy Elliott) e nella magnifica sceneggiatura del drammaturgo inglese David Hare, un dèmi Pinter (echi del Servo), basata sul romanzo «A voce alta» di Schlink. Giocato abilmente su diversi piani temporali e narrativi, con furberia, il racconto ha una prima parte viva ed eccitata, sulla scia del Torless di Musil; poi si banalizza nel finale in aula da «vincitore e vinta», mantenendo però una forte, classica, autentica vitalità narrativa.
La morale è che un libro è salvavita: uno slogan, la vendetta postuma del Farenheit 451. Con l'esercizio intellettuale si mescolano nella storia, come nelle migliori occasioni, il senso di colpa e il gusto di una acerba sensualità che vive negli occhi del bravo David Kross molto più di quanto se ne ricordino poi quelli di Ralph Fiennes che lo aspetta quando sarà grande.
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