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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero - Il Foglio Rassegna Stampa
13.02.2009 Julius Evola era un intellettuale antisemita
Ma Marcello Veneziani e Lucetta Scaraffia fanno finta di non saperlo e lo celebrano

Testata:Libero - Il Foglio
Autore: Marcello Veneziani - Lucetta Scaraffia
Titolo: «Il dadaista pagano cavalca ancora la tigre - La maschera e il volto di Evola»

Riportiamo l'articolo "Il dadaista pagano cavalca ancora la tigre" di Marcello Veneziani pubblicato su LIBERO di oggi, 13/02/2009. E' un articolo celebrativo su Julius Evola, visto come grade filosofo e intellettuale. Secondo Veneziani non era antisemita e razzista. Un completo falso storico, dato che lo stesso Evola rivendicava chiaramente il suo razzismo e il suo antisemitismo, differenziandoli da quelli nazisti in quanto "spirituali" e non "biologici". Distinzioni irrilevanti di fronte alla sua innegabile responsabilità nella diffusione dell'odio e del disprezzo per gli ebrei.
Di seguito pubblichiamo dal FOGLIO del 7 febbraio 2009  l'articolo  " La maschera e il volto di Evola "di Lucetta Scaraffia,  che lo stesso Veneziani cita nel suo pezzo. Anche Scaraffia presenta Evola  come un grande intellettuale...a differenza di Veneziani, non nega il suo antisemitismo  e adotta una tattica migliore: non lo menziona nemmeno!
Ecco i due articoli:

LIBERO - Marcello Veneziani : " Il dadaista pagano cavalca ancora la tigre "

Il mistero di Julius Evola. È l’ultimo autore maledetto, che è proibito citare e deplorevole leggere, su cui si sospendono i convegni di studio per ragioni di ordine pubblico (come è accaduto di recente a Buccinasco), evitato nelle bibliografie e nei media se non per insultarlo. Nei suoi arditi recuperi, perfino Adelphi si è arrestata davanti al suo nome. Eppure da svariati decenni, ininterrottamente, escono e riescono libri di lui e su di lui. E a parte qualche miserabile volume giudiziario per acquisire benemerenze presso il politically correct da spendere in carriera, si tratta di libri che ne riconoscono la statura, il valore, l’importanza.
Le Edizioni Mediterranee sfornano le sue Opere Complete, che sono tante; l’ultima riedita è Maschera e Volto dello Spiritualismo contemporaneo del 1932, con un saggio introduttivo di Hans Thomas Hakl. La Fondazione Evola, di cui è segretario Gianfranco De Turris, che ne cura anche l’edizione delle opere, pubblica i suoi quaderni. Le Edizioni di Ar e vari circoli evoliani pubblicano altri scritti minori di lui o saggi su di lui. E Controcorrente ha pubblicato un gran bel libro, Il Maestro della Tradizione. Dialoghi su Julius Evola, a cura di Marco Jacona (pp. 426, euro 30) con un sorprendente parterre di una cinquantina di autori che analizzano, raccontano, affrontano l’uomo e l’opera (tra le poche interviste di scarso rilievo mi spiace segnalare la mia, affrettata e marginale, ma pensavo che finisse in qualche pubblicazione clandestina). Di questa Evola-reinassance ha ben scritto sul Foglio Lucetta Scaraffia e immagino quante deplorazioni e diffide avrà raccolto dai circoli letterari.
Evola è stato un personaggio unico e un autore originale nel panorama italiano: giovanissimo pittore dadaista e scrittore d’arte, poi filosofo tra Nietzsche e l’idealismo; quindi pensatore della Tradizione, divulgatore di filoni sapienziali e tradizioni orientali e precristiane; scopritore e traduttore di autori mitteleuropei, osservatore critico della realtà contemporanea.

Magia e alpinismo

E non ho citato le sue incursioni nella magia, i suoi scritti sull’alpinismo, le sue esperienze di animatore culturale di riviste (a volte chiuse dal regime) e le sue opere famigerate sul razzismo spirituale, che lo resero detestabile sia ai nazisti che agli antirazzisti.
Sul piano della cultura politica, Evola fu amato da un segmento giovanile, inquieto e colto della destra radicale; ma la lettura di Evola non portò all’estremismo come si sostiene, semmai al rifiuto della politica, alla lontananza aristocratica e siderale. Evola fu il primo autore che da destra criticò il fascismo totalitario e populista, ne condannò i lati tribunizi e il “socialismo nazionale”. E a Hitler preferiva i circoli aristocratici della Konservative revolution.
Nella destra nostalgica fu il primo caso di revisionismo ideologico. Di Evola mi innamorai da ragazzo, mi laureai con una tesi sconveniente su di lui filosofo, e poi ho scritto non poco su di lui, anche criticamente. Evola mi allontanò dalla politica e mi vaccinò dal fascismo emozionale, mi avvicinò all’idea di Tradizione, mi aprì scenari culturali ed epocali che erano preclusi alle vie ufficiali della cultura. Credo che il fascino persistente di Evola sia proprio quello: il suo radicale, aristocratico isolamento, la sua apertura a saperi esoterici, la sua visione spirituale e trascendente ma senza il conforto di una fede religiosa. E l’aura misteriosa che lo circonda, l’alone magico e fascinatore di una figura e di una biografia fuori dal comune. Che per alcuni detrattori si colorò anche di jettatura...
Ma aggiungo una notazione che vi sembrerà paradossale: Evola è stato, da filosofo, il teorico che forse più ha interpretato i fondali della società contemporanea: il suo Individuo Assoluto è in fondo la gigantografia della condizione contemporanea, dei giovani soprattutto.
La solitudine, l’anarchia e l’autarchia di fondo del suo pensiero sono insieme la più forte rappresentazione dell’individuo occidentale d’oggi e insieme la più grande smentita del suo stesso tradizionalismo. Anche i ragazzi incomunicanti e solitari, barricati in un altro Mondo onirico e irreale, come Second Life, sono piccoli individui assoluti connessi a virtuali tradizioni. Evola immaginò una Tradizione invisibile, disincarnata, destoricizzata, lontana dalle tradizioni viventi, cattolica inclusa; una Tradizione acefala, ho scritto altrove, per citare Bataille, un altro nicciano trasgressivo. Evola arriva alla Tradizione dopo aver scritto da filosofo che all’origine di tutto c’è la libertà. Assoluta Libertà, come pensava Stirner, l’anarchico.

Tradizione senza Dio

E approda alla Tradizione dopo aver espresso l’aspirazione dell’uomo alla Potenza; ma non più la volontà di potenza di Nietzsche, ancora legata alla terra e alla vita, ma una potenza che evoca i cieli e l’assoluto. E arriva a immaginare una Tradizione senza Dio, senza Patria e senza Famiglia. La sua è una Trascendenza senza riferimento teologico; la sua fedeltà è a un’Idea e non a una Terra, un popolo o una storia; e la sua scelta, anche biografica, è l’Individuo differenziato, solo, senza alcun legame familiare o affettivo. Affascina questo pensatore della Tradizione così astrale, così lontano da ogni tradizione (come fu propugnatore della razza lontano da ogni razzismo); non legato ad alcuna accademia, alcuna chiesa, alcuna loggia o circolo culturale. Ma paralitico per un misterioso incidente a Vienna, vissuto nel dopoguerra in una soffitta romana, oggetto di un discreto ma incessante culto, dopo una giovinezza esoterica e mondana. Emarginato, allora come oggi; ma letto di nascosto da tanti. Quanti pensatori del Novecento assai più celebrati di lui sono oggi scomparsi o solo citati; lui è ancora letto.
Alla lunga, il dottor Occultis ha trionfato sugli occultatori.

Il FOGLIO - Lucetta Scaraffia : " La maschera e il volto di Evola "

Cavalcare la tigre”, titolo di un suo libro del 1961, è la frase che meglio descrive il rapporto che Julius Evola ha avuto con la modernità. Un titolo audace, che contempla sia la contrapposizione che la condivisione con il mondo moderno, e quindi proprio quella che è stata l’esperienza di questo controverso intellettuale italiano: nato a Roma nel 1898 da una nobile famiglia siciliana, Evola coltiva la filosofia, soprattutto la lettura di Nietzsche e Weininger, e combatte come ufficiale di artiglieria nella Prima guerra mondiale. Ma, negli anni giovanili, è soprattutto un artista che condivide le avventure non solo dell’avanguardia italiana, come Boccioni, Marinetti e Balla, ma anche del movimento Dada di origine francese. Dipinge, espone, elabora testi teorici sull’arte contemporanea partecipandone dal di dentro anche come poeta. Ma la filosofia, intesa come riflessione sul tempo che gli è toccato vivere, è sempre al centro dei suoi interessi e delle sue vastissime curiosità: nella sua ricerca di nuove vie di elevazione individuale – “oggi la religione positiva è venuta meno alla sua funzione più alta, se è apparsa offrire ben poco a coloro che, più di una fede e di addormentamento moralistico borghese e sociale dell’animale umano, cercavano, sia pure oscuramente, una esperienza spirituale liberatrice” – si imbatte nelle dottrine di realizzazione estremo-orientali, studia il Tao-te-ching e i testi Tantra, sui quali scrive – primo italiano – un’opera importante (“L’uomo come potenza”, che poi diventerà “Lo yoga della potenza”). La sua insaziabile ricerca di vie di evoluzione interiore lo porta anche ad occuparsi di magia, ad avvicinare personaggi appartenenti a sfere teosofiche e antroposofiche, allora molto di moda, ma anche ad avvicinarsi al fascismo e poi al nazismo. Nella molteplicità delle esperienze, emerge la sua visione del mondo: antimoderna, antimaterialista, antiprogressista. La sua opera più importante e famosa è infatti “Rivolta contro il mondo moderno” (1934), molto apprezzata da Gottfried Benn, che ne curò la traduzione in tedesco. Alterna operazioni culturali interessanti, facendo conoscere in Italia Spengler, Guénon e Bachofen, a – per noi inquietanti – studi sulle razze, tema a cui dedica tre libri molto apprezzati da Mussolini. Proprio per questo suo teorizzare il razzismo, e per le sue frequentazioni naziste, Evola è stato a lungo – dopo il 1946 e fino alla morte nel 1974 – considerato un autore maledetto. Oggi la sua opera pittorica è stata rivalutata, tanto che lo si può ammirare alla Galleria di Arte moderna di Roma, e una recente ristampa di una delle sue opere più significative, “Maschera e Volto dello spiritualismo contemporaneo” (con un saggio introduttivo di H.T.Hakl, Mediterranee, 2008) insieme con l’uscita di un’antologia di interviste su di lui raccolte da Marco Iacona, ripropongono il suo pensiero come quello di un grande critico della modernità del Novecento, forse il più importante critico “radicale” della modernità della cultura italiana. Evola è moderno nel suo cercare una via spirituale che lo riscatti dal materialismo progressista del suo tempo al di fuori delle religioni tradizionali dell’occidente, anzi, per gran parte della sua vita, in forte polemica con queste. La sua ricerca è affine a quella dei teosofi, degli spiritisti e dei seguaci di nuove religioni luciferine, di coloro soprattutto che, anche grazie alla maggiore accessibilità dei paesi orientali, cercano la verità alle radici delle grandi tradizioni indoeuropee, ma si distingue da costoro per rigore, per spessore della ricerca, per il rifiuto di accontentarsi di verità a buon mercato. Un rigore che è all’origine del saggio ristampato, “Maschera e volto”, nel quale Evola esordisce riconoscendo l’insoddisfazione spirituale dell’uomo moderno, al quale non possono bastare materialismo e razionalismo, ma che non può più credere alle religioni rivelate per poi passare ad esaminare, in modo lucido e critico, le “nuove spiritualità” che tentano di riempire questo vuoto. In queste nuove vie, individuate nello spiritismo e nell’esoterismo – “si è pronti a reintrodurre (lo spiritualismo) dappertutto, eccetto che nell’ordine divino, ove esso risiede realmente” – egli coglie il materialismo appena mascherato, la persistenza in una cieca fede nel progresso, e quindi l’impossibilità di trovarvi un sostegno reale, che vada al di là di una generica solidarietà emotiva di gruppo. Mentre invece, scrive “ogni misura positiva per la vera spiritualità, per l’uomo deve essere la coscienza chiara, attiva e distinta”. Proprio per il basso livello della ricerca spirituale del suo tempo, Evola era convinto di vivere nel Kali-yuga, cioè nella fase più bassa e oscura delle ere del mondo. Il saggio è uscito in prima edizione nel 1932: basta fare una breve ricognizione mentale a quello che è oggi lo stato della ricerca “spirituale” al di fuori delle grandi religioni, come la New Age – una forma decaduta della teosofia – e il dilagare di stati di ebbrezza provocati da droghe e/o da musiche che portano l’individuo al di fuori di se stesso, per rendersi conto che la situazione è ancora peggiorata. Egli mette in guardia soprattutto da quello che considera il più grave pericolo incombente, quello di un indiscriminato accesso a influenze negative e pericolose: “Tali persone credono che qualunque cosa trascendente il mondo a cui sono abituate costituisca per ciò stesso alcunché di superiore, uno stato più alto. Nel punto in cui in loro agisce il bisogno di ‘altro’, l’impulso all’evasione, esse imboccano ogni via, e non si accorgono quanto spesso esse così entrino nell’orbita di forze che non sono al disopra, ma al disotto dell’uomo come personalità”. Questo chiaro richiamo ai pericoli di una ripresa pericolosa del satanismo – fenomeno che oggi si realizza sotto i nostri occhi attoniti – costituisce forse l’ammonimento più interessante e importante del suo discorso. Egli associa infatti l’uso delle droghe e di certi tipi di musica, finalizzati ad ottenere forme di “invasamento collettivo”, alla possibilità “di possibili involontarie evocazioni di forze “infere” che possono portare ad assurde azioni criminali”. E pensa anche ad una possibile ripresa del “satanismo” inteso come “potere competente per le cose di questo mondo”, associato ad un banale paganesimo. Questo stesso pericolo di liberazione di forze istintive che dovrebbero essere tenute invece sotto controllo, Evola lo vede nella pratica psicanalitica. L’esistenza di zone di subconscio che abitualmente cadono al di fuori della coscienza, infatti, era ben nota alle antiche dottrine tradizionali, che non avevano però la tendenza a concepirle come un’entità distinta “tanto da creare un vero e proprio dualismo dell’essere umano”. Secondo le teorie tradizionali, infatti, le due parti vanno rinsaldate per ridestare lo stato originario di un tipo umano superiore, mentre, al contrario, le scuole psicanalitiche moderne, scrive, “vanno invece solo ad esasperare la frattura e ad invertire i rapporti gerarchici fra i due principi”. Cioè, in sostanza, “la posizione del freudismo è il disconoscimento, nell’uomo, della presenza e del potere di qualsiasi centro spirituale sovrano, insomma dell’Io in quanto tale. Di fronte all’inconscio, l’Io viene desautorato.” La psicanalisi, quindi, viene considerata da Evola un segno dei tempi, in quanto può essere vista come la controparte del mito darwiniano: “Manifesta infatti la stessa tendenza, la stessa gioia inconscia di poter ridurre il superiore all’inferiore, l’umano all’animale e al primitivo-selvaggio, che si palesa nella cosidetta teoria dell’“evoluzione”. Si vede chiaramente, quindi, come Evola individui il pericolo insito nella moderna ricerca di spiritualità in un gioco incosciente con il sovrannaturale: “L’evocazione del sovrannaturale è temibile. Essa opera distruttivamente. E l’oggetto preferito della sua distruzione è l’Io.” Davanti alla pericolosità di questi nemici vediamo che il filosofo, certo anche per effetto dell’influenza di Guénon, recupera interesse per il cattolicesimo che fino a quel momento, così come il cristianesimo in generale, aveva disprezzato. Nonostante continui a considerare sbagliato il rifiuto di ogni posizione gnostica da parte della chiesa, egli rivendica il valore del cristianesimo in quanto erede – come le altre grandi religioni – della grande Tradizione. E questo aspetto è fondamentale dal momento che, per Evola, “esiste una sola via per la difesa della personalità e questa è la ripresa della visione tradizionale del mondo e della vita, unita ad una interna ‘rivolta contro il mondo moderno’”. Secondo lui, quindi “il cattolicesimo rappresenta una difesa dell’uomo occidentale”, e in particolare soprattutto quello che chiama il “tradizionalismo integrale”, che ne mette in luce “l’arcaicità e la perennità”. Anche se quindi “è problematico che malgrado tutto la chiesa, “corpo mistico del Cristo”, sia la portatrice e l’amministratrice di una vera potenza sovrannaturale oggettivamente agente attraverso riti e sacramenti” egli riconosce, però, “che il cattolicesimo contiene, malgrado tutto, tracce di una sapienza” che può far evolvere spiritualmente l’uomo. Sono interessanti spunti di riflessione, che suggeriscono la lettura di questo saggio, nonostante le fastidiose allusioni razziste, contro ebrei e “negri”, che lo costellano. E che Evola abbia qualcosa di interessante da dire anche oggi, lo pensano anche i 40 intellettuali intervistati da Iacona, che si interessano a Evola sia nel suo complesso di figura intellettuale, che per alcuni aspetti del suo pensiero o della sua produzione artistica. Come Marcello Veneziani, che ricorda come nel ’68 ci fu un tentativo di impadronirsi del suo pensiero anti-borghese, una fascinazione per il suo nichilismo attivo, per la sua filosofia dell’individuo assoluto. C’è chi, proprio per la critica alla modernità, lo accosta a Pasolini, come Nicola Toraldo Serra; chi, oltre che a Nietzsche, lo avvicina a Colli, nel suo intendere la filosofia come uno strumento riconnettivo e propedeutico alla sapienza (Giovanni Sessa); chi, come Claudio Bonvecchio, sottolinea il suo paganesimo anti-cristiano, la sua convinzione che il cristianesimo vada distrutto perché ha cancellato gerarchia e aristocrazia per sostituirvi la schiavitù dei sentimenti, il timore verso la trascendenza. Proprio su questo tema, invece, Adolfo Moranti ricostruisce l’evoluzione del pensiero evoliano, rievocando il suo interesse per il cristianesimo medievale, gerarchico e virile. Una tensione alla ricerca di un’élite che per lui significava sempre una gerarchia etica, ma rigorosamente maschile: per Evola, gli uomini non possono appartenere a questa élite se non separandosi dal femminile. Si comprende bene, quindi, come, fra i 40 intellettuali scelti per parlare di lui, ci sia una sola donna, Annalisa Terranova. Per Alain de Benoist, all’individualismo egualitario Evola contrappone una versione aristocratica dell’individualismo, l’idea di un uomo portatore di sovranità assoluta, di libertà assoluta, di potere assoluto. Stefano Zecchi ha scritto che “Cavalcare la tigre” può essere considerato un manuale di sopravvivenza per l’uomo contemporaneo, e apprezza il fatto che sia stato concepito quando la modernità era più trionfante, nel momento in cui esprimersi contro di essa era più o meno che un’eresia. Marino Freschi sottolinea l’affinità con Jünger nella capacità di resistenza al moderno, nella consapevolezza che “tutto ciò poteva avvenire non con la nostalgia verso il passato, ma con un oltrepassamento del presente”. Tutti quanti, in fondo, concordi nel dire che la critica alla modernità che nasce da destra – come quella di Evola – oggi ha più cose da dirci sulla società in cui viviamo di quella che viene dalla sinistra.

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