Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Wilders e Rushdie: due casi di censura Il Regno Unito e l'Iran contro i critici dell'Islam
Testata:Il Foglio - La Stampa Autore: Richard Newbury Titolo: «Lo spettro di Wilders s'aggira per l'Europa Bandito ovunque, ora è interdetto anche a Londra, patria degli islamisti - Rushdie e la fatwa Il fallimento liberal»
Caso Wilders: riportiamo sull'argomento un editoriale dal FOGLIO di oggi, 13/02/2009. Ricordiamo ai lettori che a Wilders, regista del film Fitna, è stato vietato di recarsi in Inghilterra per paura di disordini con la comunità islamica. Riportiamo anche un articolo che non riguarda il regista olandese, ma una vicenda nella quale è ugualmente centrale l'intolleranza del fondamentalismo islamico. Si tratta dell'articolo di Richard Newbury, "Rushdie e la fatwa Il fallimento liberal" pubblicato dalla STAMPA di oggi, nel quale si racconta la vicenda dello scrittore Salman Rushdie, costretto a vivere blindato dal 1989 per via della fatwa lanciatagli dall'Ayatollah Khomeini. Il governo britannico non ha emesso una fatwa contro Geert Wilders, ma gli ha proibito di mettere piede in Gran Bretagna perchè considera il film Fitna antiislamico. Ci chiediamo quale sarà il prossimo passo, sulla via della limitazione della libertà di espressione, per non ferire la "sensibilità" dei fondamentalisti. Sempre su FITNA si veda la "Catolina da Eurabia" di Ugo Volli su IC di oggi in altra pagina.
Ecco gli articoli:
Il FOGLIO : " Lo spettro di Wilders s'aggira per l'Europa Bandito ovunque, ora è interdetto anche a Londra, patria degli islamisti "
Una delle ultime minacce diceva: “Oh infedele! Non pensare di essere al sicuro. Il tuo sangue scorrerà sulle strade olandesi”. Geert Wilders, che ieri è stato fermato dalla polizia doganale inglese all’aeroporto di Heathrow, è l’uomo più braccato d’Europa. Politico liberale e regista del controverso “Fitna”, Wilders oggi è l’uomo più esecrato del continente: bandito dal Parlamento europeo che si rifiuta di proiettarne la pellicola sull’islam come fece per Theo van Gogh, sotto inchiesta per istigazione all’odio in Olanda e ora interdetto dall’Inghilterra. Mentre islamisti come Tariq Ramadan hanno cattedre a Oxford e consulenze a Downing Street. Non è mai il colmo per quest’Europa pusillanime di fronte all’arcipelago islamista cresciuto in seno alle sue comunità musulmane Ha ragione Pierluigi Battista quando sul Corriere della Sera parla di “tolleranza sospesa”. Gli imam di Finsbury Park a Londra possono incitare alla morte di “ebrei e crociati” vivendo a spese del contribuente britannico. Mentre Wilders, che ha la vocazione e la caratura del libertario estremo, è ribattezzato “l’uomo invisibile”, perché non può annunciare i propri comizi, perché deve uscire dal retro del cinema, perché non può rendere nota la lista dei collaboratori e soprattutto perché ha fondato un “Partito della libertà” ma è l’uomo meno libero d’Olanda. E ora è anche l’ostaggio indesiderato di un continente sfibrato, che ha smesso di considerare non negoziabili le sue libertà conquistate nel sangue e gettandole in pasto a una schiera di negazionisti teocratici.
La STAMPA - Richard Newbury : " Rushdie e la fatwa - il fallimento liberal"
Il 14 febbraio 1989 attraversavo Cambridge in bicicletta per incontrare un vecchio compagno del corso di Storia che presentava il suo ultimo, acclamato, romanzo. L’autore non arrivò mai. Più tardi scoprimmo che era stato portato via dai servizi di sicurezza e cambiava casa ogni tre giorni. Avrebbe passato quasi un decennio in quel limbo letale. Una volta scampò a un’esplosione che spazzò via due piani dell’hotel dove alloggiava. Non altrettanto fortunati furono i suoi traduttori giapponese e italiano e il suo editore norvegese. Il libro, naturalmente, era I versi satanici. La fatwa era quella dell’Ayatollah Khomeini. La sua legalità, anche nell’Islam, era discutibile, ma i suoi effetti politici, culturali e religiosi erano fuori discussione. Politicamente la fatwa metteva in ombra la recente sconfitta militare dell’Iran nella guerra contro l’Iraq e seppelliva la notizia della grande vittoria dei rivali sunniti dell’Arabia Saudita, appoggiati dagli Stati Uniti, in seguito al ritiro dell’Unione Sovietica dall’Afghanistan il 15 febbraio di quell’anno. Lo scopo della fatwa era fare di Khomeini il leader di un fronte unito sunniti-sciiti contro l’Occidente. Il valore basilare dell’Occidente, la libertà di parola, era posto in opposizione al credo fondamentale dell’Islam in base al quale era blasfemo «insultare» il Corano o il Profeta. Negli affari interni dei musulmani la fatwa rappresentava una vittoria per la Controriforma islamica contro i giovani riformisti «secolari» con i quali Rushdie simpatizzava e dai quali era idolatrato. «Era un tentativo serio di scrivere su religione e rivelazione dal punto di vista laico», diceva Rushdie prima della pubblicazione dei Versi, benché pensasse che «sarebbe assurdo ritenere che un libro possa causare rivolte. È una strana visione del mondo». Che Rushdie potesse essere polemico nel suo avvolgente realismo magico era noto in Iran fin da quando il suo racconto La vergogna, un attacco al Pakistan sunnita, aveva vinto un prestigioso premio iraniano. Ciò che offendeva gli ayatollah proveniva dagli studi di Rushdie a Cambridge per la tesi di Storia su Maometto, l’ascesa dell’Islam e il Califfato. Dopo la fatwa di Khomeini, temendo «conseguenze», nessuna università britannica ha più studiato l’Islam come fenomeno storico. Nel 2008 i corsi di storia più importanti vertevano su temi intrisi di mea culpa: T. E. Lawrence e Gertrude Bell - La Gran Bretagna e gli arabi 1914-1922. Un altro corso importante, che mostra il cambiamento di clima post-fatwa, è: L’ascesa del mondo segreto: governi e ambienti dell’intelligence dal 1900. Salman ha sfruttato i suoi studi sulle radici giudaiche, cristiane e persino sul politeismo matriarcale che hanno dato vita all’Islam. Gli storici «versi satanici» non erano altro che il nome dato a queste parti del Corano, ben presto cassate. Come può il linguaggio umano dare voce alla divinità nella linea che separa il liberalismo e il fondamentalismo nella teologia? E’ la parola di Dio o quella degli uomini che hanno incontrato Dio? Se qualcuno avesse voluto disturbare Rushdie mentre scriveva i Versi satanici sarebbe dovuto andare sotto casa sua in Brick Lane, nell’East End di Londra, dove l’attuale moschea mostra la vibrante diversità religiosa del quartiere. Dal 1880 a circa una generazione fa lo stesso luogo di culto era occupato da una sinagoga dove pregavano gli scampati ai pogrom in Russia e Polonia. Prima ancora c’era una chiesa dei protestanti francesi, 300 mila dei quali cercarono asilo in altri Paesi dopo che Luigi XIV aveva operato una «pulizia confessionale» nella Francia del 1695. I primi due gruppi, e sempre più anche il terzo, si sono ora integrati fin negli strati più alti dell’Establishment. Però, ancora la settimana scorsa un sondaggio rivelava che il 40 per cento dei musulmani non vuole l’integrazione. Le speranze coraggiose di Brick Lane sono diventate Londonistan. La domanda che dobbiamo porci è questa: perché oggi «musulmano radicale» indica un fondamentalista islamico mentre vent’anni fa significava un militante laico musulmano? Trovo convincente lo scrittore britannico musulmano Kenan Malik (Dalla fatwa al Jihad: il caso Rushdie e la sua eredità, Atlantic Books, 2009) quando dice che i miti del nuovo liberalismo occidentale hanno sacrificato la libertà di parola nel rispondere al caso Rushdie. La battaglia per leggere un Rushdie ancora in vita è stata vinta, ma adesso che è considerato moralmente inaccettabile offendere altre culture, la battaglia per la libertà di parola è persa. Oggi questa società sembra in disaccordo con George Orwell: «Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire quello che la gente non vuole sentirsi dire». E con John Milton: «Chi distrugge un buon libro distrugge la ragione stessa». La «ritirata preventiva» dei liberal, guidata dal «pensiero unico del multi-culturalismo» ha visto cancellare nel 2008 da un teatro londinese la Lisistrata di Aristofane ambientata nel Paradiso islamico. Sempre a Londra, al Barbican, il capolavoro cinquecentesco di Christopher Marlowe, Tamerlano il grande, è stato pesantemente censurato per non suscitare scandalo tra i musulmani. Nell’anniversario della pubblicazione dei Versi satanici, il piccolo editore londinese Gibson Square è stato colpito da una bomba incendiaria per aver pubblicato - dopo che la spaventatissima Random House ci aveva rinunciato - l’anodino romanzo I gioielli di Medina, che parla della moglie più giovane di Maometto. Per Kenan Malik i giovani musulmani già perfettamente integrati sono stati arruolati nella campagna anti Rushdie perché i governi nazionali e locali hanno cercato contatti politici con i fratelli maggiori reazionari delle moschee piuttosto che con i giovani laici delusi, da una parte, dalla sinistra laica, e dall’altra dall’istituzionalizzazione stessa del multi-culturalismo. Il consiglio delle moschee di Bradford City, il primo a organizzare falò pubblici dei Versi satanici nel 1998, è stato istituito dal consiglio comunale di Bradford City che sosteneva: «ogni settore di una città multi-razziale e multi-culturale ha eguale diritto di mantenere identità, lingua, religione e costumi che le sono propri». Il «pentolone» multi-culturale non si sta più mescolando, ma sta bollendo, specie dopo la disintegrazione della Sinistra negli Anni Ottanta, l’abbandono delle politiche universali in favore del particolarismo etnico, il passaggio dalle politiche ideologiche a quelle identitarie che hanno spinto i giovani asiatici verso la visione islamica del mondo. La lezione del caso Rushdie non ancora imparata è che i liberal creano da soli i propri mostri, non diversi da quelli del realismo magico di Rushdie. È stata la paura dei liberal di offendere che ha contribuito a creare una cultura dove la gente si offende così facilmente. Le telecamere di sorveglianza o le leggi anti terrorismo non restringono la nostra libertà quanto l’autocensura che ci autoinfliggiamo.
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