Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Elezioni israeliane: a chi sarà affidato il governo? Rassegna di quotidiani
Testata:Corriere della Sera - Il Riformista - l'Unità - Il Foglio - La Repubblica Autore: Francesco Battistini - Peppino Caldarola - Davide Frattini - Umberto De Giovannangeli - Alix Van Buren - Anna Momigliano Titolo: «Elezioni in israele»
Ecco come i quotidiani di oggi, 13/02/2009, riportano le notizie relative all'incertezza sul futuro governo israeliano e sull'identità del futuro premier. Di seguito la cronaca di Francesco Battistini sul CORRIERE della SERA, i commenti di Peppino Caldarola sul RIFORMISTA, di Davide Frattini sul CORRIERE della SERA, di Umberto De Giovannangeli sull'UNITA', un articolo del FOGLIO, l'analisi di Francesco Battistini sul ruolo di Avigdor Lieberman, le interviste di Davide Frattini a Abraham Diskinsul CORRIERE della SERA, di Alix Van Buren a Yossi Beilin su REPUBBLICA, di Anna Momigliano a Tom Segev sul RIFORMISTA. Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Netanyahu verso l'incarico - governo di unità nazionale"
GERUSALEMME — Le buone notizie sono che dalle serre di Gaza escono le prime merci, garofani rossi per San Valentino, destinazione Olanda. Poi che sulle schede elettorali decine di soldati israeliani non hanno votato per un partito, ma pensato al loro compagno rapito da quasi mille giorni e scritto: «Gilad Shalit, fino a quando?», «Gilad Shalit, ritorna ». E infine che in tarda serata al Cairo, dopo un mese di trattative, è arrivato il sì di Hamas al piano egiziano per una tregua con Israele. Le cattive notizie sono che gli ultimi scrutini non sbloccano l'impasse del voto politico. E che i risultati non si sa se sono rose, se fioriranno, né quando. Quasi nulla cambia nei numeri, dice la commissione elettorale: Tzipi Livni resta la più votata col suo Kadima centrista, ma nelle retrovie della destra a guadagnare dai suffragi ritardatari sono gli ultraortodossi ashkenaziti dell'Unione ebraica per la Torah, che rafforzano il blocco intorno alla destra Likud di Bibi Netanyahu. Le consultazioni formali di Shimon Peres cominciano lunedì. «Tzipi ha vinto una battaglia, ma perderà la guerra», scrivono molti commentatori. «Ha vinto, sì — nota perfido Haaretz — ma solo contro la sinistra». La signora è sempre prima, ma un'alleanza di centrosinistra avrebbe solo 55 dei 61 seggi necessari, e comunque fra laburisti, Meretz, comunisti e arabi non c'è un solo partito che ancora le abbia garantito pubblico sostegno. Difficile, con questi numeri, che il capo dello Stato possa dare a lei l'incarico di governo. Chi deve scegliere, in realtà è Netanyahu: offrire al Kadima una decina fra le poltrone più importanti — Esteri a Tzipi, Difesa a Shaul Mofaz — eliminando il ricatto dei micropartiti e puntando sui 15 seggi della rivelazione Avigdor Lieberman, da sistemare alle Finanze o all'Interno? Oppure credere in un blocco di destra? «Non siamo disposti a governare con gente dell'estrema destra », fa sapere Meir Sheetrit dal Kadima, dove non è chiaro se l'estremo comprenda anche Lieberman. Anche per Bibi, però, la scelta non è facile: i religiosi ashkenaziti e i sefarditi di Shas (11 seggi) si sono uniti contro il laico Lieberman, per paura che ritocchi alcune leggi dell'ortodossia di Stato. Se Israel Beitenu va al governo, non è affatto sicuro che ci vadano i rabbini. E così, rispunta l'idea d'una maggioranza d'unità nazionale: con Bibi premier e Tzipi costretta a baciare il rospo Lieberman. Ci sono sei settimane, per fare un governo. Con centomila voti «bruciati» su una decina di partitini rimasti fuori, al di sotto del 2 per cento. E con una Casa Bianca che ha bisogno d'un interlocutore, per il processo di pace. Abu Mazen, nel suo tour europeo, dice a Brown, Sarkozy e Berlusconi che un Netanyahu premier, magari con Lieberman nella squadra, «va isolato dall'Europa esattamente come s'è fatto a Gaza per il governo di Hamas ». Il parallelo è ardito, ma il presidente palestinese è categorico: niente sconti a chi non s'impegni sulla soluzione dei due Stati, sul processo di Annapolis, sullo stop agl'insediamenti. Se son spine, pungeranno.
Il RIFORMISTA - Peppino Caldarola : " Kadima può essere tradotto in italiano?"
Kadima può parlare italiano? Nessuno, prima del voto, scommetteva sul successo di Tzipi Livni e del suo partito. Nato da poco, con il leader storico e fondatore, Ariel Sharon, addormentato dal coma, un premier, Olmert, azzoppato da una brutta storia di corruzione, due guerre sulle spalle, di cui una, quella libanese finita male, con il fenomeno Lieberman calato come una minaccia su tutti e due i grandi partiti, con l'accanita resistenza del Labour, per Kadima sembrava aprirsi uno scenario di sconfitta. Anche per questo l'osservatore italiano guardava con curiosità al partito gemello del Pd. È andata meglio in Israele che in Italia. Ma è azzardato paragonare Pd e Kadima? Le differenze sono sostanziose. Qui viviamo in pace, Israele è un Paese minacciato. Qui il Pd nasce dalla fusione tra un partito di centro, la Margherita, e uno di sinistra, i Ds, lì Kadima nasce da una frattura del Likud che ha attratto una componente proveniente dal Labour e guidata dall'attuale presidente della Repubblica, Shimon Peres. Lì non si interrogano se aderire o meno all'Internazionale socialista, qui il tema è bruciante. Lì Kadima è assediato da una trentina di partitini, qui si è fatta piazza pulita dei "piccoli". Insomma siamo visibilmente di fronte a realtà non confrontabili se non su un punto, peraltro decisivo. Kadima e Pd nascono per dare una svolta al vecchio sistema politico e per avviare un nuovo corso. Vediamo quali sono i punti di forza di Kadima che possono essere tradotti in italiano. Kadima ha preso con prepotenza il centro della scena politica. Ha sottratto al Likud la possibilità di presentarsi come un partito di centro-destra costringendolo a presentarsi come un limpido partito di destra. Così facendo Kadima ha costretto Bibi Netanyahu a subire la concorrenza sia del partito estremista di Lieberman sia di partiti religiosi come Shas. La ricetta Kadima ha, quindi, come primo ingrediente un dato che non piace a molti fondatori del Pd. Kadima è un partito di centro. Guarda a sinistra ma è di centro. Con questo posizionamento Kadima riesce a raccogliere ancora una volta voti di destra rispettando la regola che qualunque stratega elettorale conosce, cioè vinci se convinci gli indecisi e rubi qualche consenso all'altra parte. Un altro segreto di Kadima sta nell'aperta concorrenza con la destra. Kadima è stata fino in fondo l'anti-Netanyahu. Anche molti miei amici israeliani che votavano per il Labour o per il Meretz sono stati spinti a votare Kadima pur di impedire l'ascesa al potere del capo del Likud. L'anti-Bibi come l'antiberlusconismo? No, il voto per Kadima è stato il meno girotondino possibile perchè il voto a Kadima va non solo a un partito del tutto opposto ai radical ma soprattutto Kadima non ha mai nascosto, in caso di parità elettorale, l'ipotesi, che oggi è la più probabile, di una grande coalizione con l'avversario. Kadima è stata, quindi, la scelta di chi non voleva Netanyhau ma che accettava l'ipotesi di una coalizione con lui. La sconfitta laburista ad opera di Kadima coglie anche un fenomeno politico-culturale profondo che in Israele riguarda anche la tradizione profonda del sionismo. Siamo di fronte a una nuova lacerazione nel rapporto fra sionismo e socialismo e non a caso la vittoria relativa spetta alla figlia di due seguaci del sionismo riformatore di Jabotinskij. Tradotto in italiano questo vuol dire che il nuovo partito ha elaborato una fuoriuscita vera dalla cultura di una delle due componenti che hanno partecipato alla fondazione. Per essere ancora più espliciti, è come se il passaggio dal Pci-Pds-Ds al Pd fosse avvenuto non per dura necessità ma davvero per una svolta politico-culturale profonda che avesse messo in discussione le proprie radici. È la stessa differenza che passa tra revisionismo e svoltismo. Il terzo segreto di Kadima è stata la leadership. Una donna e che donna! Tzipi Livni ha raggiunto il risultato fallito da Ségoléne Royal perché è una leader vera, che viene da una svolta vera, che ha saputo dare forza e serenità alla propria proposta politica battendo la campagna elettorale maschilista di Netanyhau. Ma soprattutto Tzipi Livni è una leader nuova, deve rispondere della propria storia e non di quella altrui a cui non ha partecipato. La sua forza rispetto a Bibi Netanyahu è esattamente là dove i suoi critici collocavano la sua debolezza: cioè la sua giovinezza politica, la sua relativa inesperienza. Con la leadership di Tzipi Livni Kadima mostra di essere un partito veramente nuovo. Se ci si pensa, ci ha messo più tempo Barack Obama a diventare, nel volgere di pochi anni, leader del suo campo, di quanto ce ne abbia messo Tzipora a diventare l'astro nascente e poi la guida del proprio partito. Questo elenco di somiglianze e di differenze fra Pd e Kadima serve a dire una sola cosa. Forse c'è una prospettiva per formazioni politiche di centro-sinistra che ribaltino il vecchio schema destra-sinistra. Bisogna crederci ma soprattutto esser coerenti con le premesse. Nell'epoca storica in cui la sinistra sta morendo, c'è un'altra via per non lasciare il governo alla destra.
CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Salvate Zahava - la sinistra alla resa dei conti "
TEL AVIV — La conga ballata da Shulamit Aloni per festeggiare i dodici deputati, all'esordio di Meretz nel 1992, si sta trasformando nel ballo della sedia. I seggi sono precipitati a tre, minimo storico e massimo risentimento degli attivisti. Che accusano il leader Haim Oron di aver sbagliato strategia, a partire dalla fusione con Nuovo Movimento. Il partito degli scrittori — appoggiato in coro da Amos Oz, Abraham Yehoshua, David Grossman — non ha funzionato. Ha perso elettori a sinistra, tra i giovani di Tel Aviv e tra le donne. «La comunit à gay — scrive Nahum Barnea su Yedioth Ahronoth — ha scelto Tzipi Livni e non Nathan Horowitz. Cantanti come Ivri Lieder hanno fatto coming out per lei». Nel 2002, Uzi Even di Meretz era diventato il primo deputato apertamente omosessuale nella storia di Israele. Attorno alla poltrona di Horowitz, si è aperta una faida interna. Ex volto del telegiornale, è entrato alla Knesset con l'ultimo posto disponibile e ha lasciato fuori Zahava Gal-On, una delle parlamentari più note nel Paese. «Per fare spazio ai candidati di Nuovo Movimento, le donne e gli arabi sono stati relegati troppo in basso nella lista. La scelta ci ha danneggiato», commenta Musi Raz (anche lui non ce l'ha fatta). Gal-On ha portato avanti le battaglie contro il traffico di prostitute, per i diritti degli immigrati stranieri e si è opposta al sostegno dato dal partito all'operazione militare nella Striscia di Gaza. Replica Haim Oron: «Al contrario, abbiamo perso voti perché non abbiamo appoggiato il conflitto fino in fondo. Abbiamo detto quello che pensavamo: l'attacco era giustificato, andava fermato dopo le prime quarantotto ore». I veterani adesso chiedono che Oron od Horowitz si facciano da parte per permettere a Zahava di sedersi in parlamento. «Qualcuno deve pagare, visto che ci siamo sparati nel piede da soli», commenta un militante. Anche le organizzazioni per i diritti delle donne invocano la loro paladina. «Dov'erano quando c'era da votare? — commenta Oron —. Hanno scelto di appoggiare Livni e noi siamo stati penalizzati». Il sì a tempo determinato alla guerra è stato attaccato dal quotidiano Haaretz, che pure ammette «metà dei nostri lettori sono elettori di Meretz». Scrive Akiva Eldar: «Con questa sconfitta la formazione paga il conto finale della seconda intifada, quando ha fatto parte del governo di Ehud Barak. Come i laburisti, i suoi sostenitori si sono convinti che non fosse più possibile dialogare con i palestinesi». Altri analisti attribuiscono il declino al periodo sotto la guida di Yossi Beilin, che si è ritirato dalla politica nel novembre del 2008. Il negoziatore di Oslo ha rafforzato l'immagine pacifista, ma ha allontanato altri sostenitori, quelli che sceglievano Meretz per le cause sociali, come la battaglia per abbassare i prezzi degli appartamenti a Tel Aviv. «Sono stati commessi degli errori — ammette Shulamit Aloni, tra le fondatrici —. Bisognava rimanere tranquilli e non farsi prendere dal panico per l'avanzata del Likud. Così abbiamo aiutato Livni». A Meretz non è bastata la campagna Internet in stile Barack Obama, importata dagli Stati Uniti. Due strateghi del neo-presidente, David Fenton e Tom Mazzei, erano venuti a spiegare come far fruttare il meccanismo dei blog e dei network sociali come Facebook. La riscossa — dicono gi attivisti — può arrivare solo da una fusione con i laburisti. «La società israeliana si sta spostando a destra — commenta l'ex deputato Avshalom Vilan — e c'è bisogno di una forza alternativa più grande, che ricominci dall'opposizione».
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Viaggio tra le rovine della sinistra israeliana - 'Siamo senza identità ' "
Tramortita dal voto «utile». Orfana di identità. In deficit di leadership. Socialmente «spiantata». Ha provato a risollevarsi dimostrando di essere più affidabile, almeno il suo capo, nel condurre una guerra. Ma sul quel terreno, i falchi della destra l’hanno battuta. Viaggio tra le macerie della sinistra israeliana, devastata dal voto del 10 febbraio. Il tracollo. Viaggio tra militanti delusi, dirigenti in fuga, sedi vuote. Viaggio tra giovani attivisti che chiedono una svolta radicale e un recupero di quei principi, quel rigore, quella coerenza che furono a fondamento del pionierismo sionista. Per capire il disastro elettorale del Labour è cosa utile visitare i sobborghi di Tel Aviv, popolati da una umanità sofferente, senza protezione e garanzie sociali. I deboli tra i deboli hanno voltato le spalle alla sinistra. «Ho perso il lavoro, l’assistenza, ora rischio di essere buttato fuori di casa, io, mia moglie e i miei tre bambini. A offrirmi un aiuto è stata gente del Likud non l’Histadrut (l’organizzazione sindacale legata al Labour, ndr.), racconta Avigdor Verter, 35 anni, da due senza lavoro. Le ragioni dei più deboli non hanno trovato spazio nella campagna elettorale del Labour, tutta giocata sulle capacità di condottiero militare del «soldato più decorato d’Israele»: Ehud Barak. Il Labour ha perso nei suoi insediamenti tradizionali. Tra i giovani. Nel ceto medio delle professioni. Tra i lavoratori dei servizi. Nei kibbutz che furono un pilastro sociale su cui i pionieri sionisti fondarono lo Stato d’Israele. Devi salire nel nord d’Israele e visitare il kibbutz Metzer per comprendere cosa significhi, in termini di perdita di consenso, lacerare una storia, violare una identità. Metzer, il «kibbutz pacifista». Una comune fondata nel 1953 da un pugno di attivisti d’origine sudamericana dell’Hashomer Hatzair, movimento della sinistra pacifista che crede nel dialogo. La gente di Metzer non si riconosce più nel Labour e neanche nel Meretz, la sinistra sionista. «Ho visto in televisione Barak gloriarsi per i successi militari a Gaza. Quei “successi” erano centinaia di bambini uccisi nei bombardamenti. Come potevo votare uno così», si lascia andare Lily Ravid, 28 anni e un passato di attivista in «Peace Now», il movimento per la pace israeliano. «Io ho votato Kadima. Perché a guidarlo è una donna e perché era l’unico modo per fermare Bibi» (Benjamin Netanyahu, il leader del Likud, ndr.), s’inserisce Emy Kupfer, un’amica di Lily. «I dirigenti laburisti non hanno saputo parlare ai giovani. Sono sembrati vecchi, indecisi, sulla difensiva rispetto ai vari Netanyahu, Lieberman», aggiunge Roni Singer, 21 anni, studente all’Università Bar-Illan di Tel Aviv. Nei kibbutz, un tempo imprendibili bastioni elettorali laburisti, Kadima ha conquistato il 31,1% dei voti, scavalcando il Labour (30,6%). Il disastro è ancora più marcato nei moshav – i villaggi collettivi suburbani, popolati dalla media borghesia acculturata -: qui il Kadima di Tzipi Livni ottiene il 28,8% dei voti contro il 16,5% del Labour di Ehud Barak. Identità cercasi. Torniamo a Tel Aviv per incontrare due personalità controcorrente che hanno fatto la storia dell’Israele del dialogo. La sinistra sionista? «Schiacciata in mezzo ai binari fra il treno di Tzipi e il treno di Bibi». Prova a esorcizzare lo shock con una battuta Yossi Sarid, uno dei fondatori del Meretz, più volte ministro, ora tra gli scrittori più letti d’Israele. Ma la battuta non cancella il bisogno di autocritica per una batosta di portata storica subita alle elezioni del 10 febbraio. Suggellato dal tracollo a 13 seggi dei laburisti, eredi di una tradizione ideologica che, da David Ben Gurion in poi, aveva tenuto per decenni banco sulla scena politica dello Stato ebraico. E completata dal declino del Meretz a quota tre: due in meno delle briciole che aveva raccolto nel 2006, prima della fusione col «movimento degli scrittori» Grossman, Oz e Yehoshua. Sarid non vede attenuanti e non ne cerca. Guardando ai elettorali, concorda con gli analisti che spiegano il rovescio con un travaso di voti da entrambe le forze tradizionali della sinistra (o di centro-sinistra) verso Kadima, il partito centrista della Livni, in funzione di contenimento del Likud di Netanyahu e delle formazioni di destra radicale. Uno spostamento che ha consentito in effetti a Kadima di reggere e tenere la maggioranza relativa, ma senza impedire una globale avanzata delle destre. E - nota Sarid - al prezzo d'una decimazione dello schieramento progressista. Il suo giudizio sugli umori prevalenti nel Paese è del resto liquidatorio. E non riconosce sfumature. Sinistra muta. «Siamo stati investiti da un'ondata nazionalista e fascista», sentenzia, deplorando che «in campagna elettorale la sinistra non abbia saputo farsi sentire, né distinguersi». «Non lo hanno fatto i laburisti - gli fa eco Shulamit Aloni, più volte ministra, fondatrice del Meretz - associandosi a una guerra, quella dell’operazione Piombo Fuso nella Striscia di Gaza, che ha alimentato un odio irrazionale verso gli arabi e ha portato voti solo al signor Lieberman, un anti-democratico della peggior specie, il quale pretende di negare la cittadinanza a chi non è fedele allo Stato». Ma «non lo ha fatto - riprende Sarid - nemmeno il Meretz, incapace di far pesare al dunque i suoi temi forti: i diritti dell'uomo e del cittadino, la difesa della natura, l'istruzione». L’ultimo passaggio è in una sede periferica del Labour. Qui incontriamo Yoni e Yael, 19 e 18 anni, attivisti del movimento giovanile laburista. «È stata una brutta botta – dice Yoni – che deve farci riflettere su cosa significhi negare i principi, i valori, che sono stati alla base della nostra storia». «Sì – aggiunge decisa Yael – è come se ci fossimo vergognati di noi stessi, della nostra identità, delle battaglie che avevamo condotto per la pace, i diritti dei più deboli, la giustizia sociale». «E invece è da qui – conclude Yoni – che dobbiamo ripartire. Orgogliosi di ciò che siamo». Tra le macerie della sinistra germogliano dei fiori.
Il FOGLIO : " Leggete il programma di Yvette, è un laico molto pragmatico "
Gerusalemme. Avigdor Lieberman, che ha nelle mani i numeri per decidere chi sarà re in Israele tra Benjamin Netanyahu e Tzipi Livni, non è nuovo in politica, nonostante sia considerato la sorpresa di queste elezioni. I suoi sostenitori descrivono il leader di Yisrael Beitenu, moldavo di nascita, come un “duro”. I suoi detrattori pensano sia un razzista. Ha fatto campagna portando in giro per il paese uno slogan neppure troppo velatamente anti arabo: “Nessuna cittadinanza senza lealtà”. Il suo programma vuole che le minoranze d’Israele firmino un giuramento di fedeltà alla nazione. Non si oppone alla soluzione a due stati, ma ne propone una controversa variante che ha fatto sollevare gli arabi e molti elettori israeliani anche di destra: uno scambio di territori con trasferimento di popolazione per mantenere Israele stato ebraico. Ha chiesto la pena di morte per i deputati arabo-israeliani che incontrano membri del movimento islamista Hamas. Si è opposto senza mezzi termini al ritiro dalla Striscia di Gaza nel 2005. Al principale alleato regionale di Israele, il rais egiziano Hosni Mubarak, ha detto di “andare all’inferno”. E’ stato paragonato dalla stampa internazionale a Jörg Haider o a Jean-Marie Le Pen e i titoli dei giornali nei giorni immediatamente prima del voto, in Israele e soprattutto all’estero, hanno dichiarato la preoccupazione per l’ascesa di un politico della destra radicale, capace di mettere definitivamente fine al processo di pace. Ha anche problemi con la giustizia (un’accusa per riciclaggio). Ora, grazie all’appoggio dell’elettorato russo ma anche di gran parte della destra che un tempo avrebbe votato Likud, Lieberman ha conquistato 16 seggi alla Knesset, il Parlamento israeliano, scalzando i laburisti di Avoda, crollati al quarto posto nella lista nazionale. Lo corteggia Tzipi Livni, lo cerca Netanyahu, i due candidati auto-proclamatisi vincitori di elezioni ancora incerte. E mentre lui apre le porte al dialogo anche con Kadima, facendo intravedere la possibilità di sedere in coalizione con un partito che parla di concessioni territoriali ai palestinesi, c’è chi non esclude che la politica di tutti i giorni possa domare il radicalismo del moldavo, ricordano il resto del programma elettorale di Yisrael Beitenu, quello che ha interessato di meno i mass media avidi di titoli: Lieberman fa imbestialire la destra nazionalista e religiosa perché vuole la separazione tra sinagoga e stato; perché chiede la fine del monopolio ultra ortodosso sulle questioni religiose; perché propone l’introduzione del matrimonio civile. Piace perché parla di una riforma elettorale capace di portare il governo del paese a una maggiore stabilità. Per il professor Shmuel Sandler, dell’università Bar-Ilan,Lieberman “è un politico furbo che sa come sfruttare le paure e le emozioni dell’elettorato e tramutarle in voti. Parte della leadership politica arabo israeliana sostiene Hamas ed era contro l’ultima operazione a Gaza. E lui ha fatto leva su questo per guadagnare voti. Tuttavia, è un pragmatico e può sedere in una colazione che parla di negoziati con i palestinesi. Sarebbe pronto ad andare con Livni. E’ uno stratega”. “Un partito utile, pragmatico, non c’è da preoccuparsi” – aveva detto al Foglio il candidato di Yisrael Beitenu Danny Ayalon, ambasciatore a Washington. Oggi il giovane movimento Yisrael Beitenu è il terzo partito israeliano, ma il suo leader non è una matricola. “Ha una lunga carriera politica alle spalle – spiega Zeev Hanin – esperto di partiti politici nati dall’immigrazione – è stato dal 1996 al 1997 il direttore generale dell’ufficio dell’allora premier Netanyahu dimostrandosi sempre pragmatico, alla ricerca del compromesso”. La sua retorica, spiega Hanin, è sicuramente radicale: “Una tattica elettorale per nascondere posizioni più moderate mantenendo l’appoggio di un vasto elettorato di destra: appartenenza, identità, lealtà al paese, sono parole che la maggioranza degli israeliani oggi è pronta a comprare e la sua posizione anti Hamas, non scordiamocelo, è tacitamente avallata perfino da alcuni regimi arabi moderati”.
Da pagina 5 del CORRIERE della SERA un articolo di Francesco Battistini sul ruolo di Avigdor Lieberman. A noi sembra difficile formarsi un giudizio equilibrato su Lieberman e sul suo elettorato basandosi sui giudizi di editorialisti della stampa araba, di esponenti dell'estrema sinistra israeliana come Uri Avnery, o di coloni come Dani Dayan, e sugli umori della strada di Ramla. L'articolo pertanto, ci appare sostanzialmente parziale e fuorviante.
Segnaliamo che sul CORRIERE.IT un sondaggio chiede ai lettori se Tzipi livni deve allearsi con il "razzista" Lieberman, considerando implicitamente questa definizione, tutta da dimostrare, come un dato acquisito.
La deriva di Battistini verso gli stereotipi antisraeliani, d'altro canto, appare sempre più marcata. Sul CORRIERE della SERA MAGAZINE del 12/02/2009 ha scritto "A 51 anni, due figli, uno riservista che ha partecipato al massacro di Gaza, Tzipi Livni non è tipa da imbarazzarsi". A Gaza, occore ricordare, non vi è stato alcun massacro, ma un'operazione militare difensiva contro il terrorismo di Hamas.
Ecco il testo dal CORRIERE "Baciare il «razzista» Lieberman? Il grande dilemma della Livni "
RAMLA (Israele) — Quando c'è mercato, gli ambulanti di Ramla ruotano come in una coalizione di governo: oggi qui gli arabi, lì gli ebrei. Quando vanno a scuola, i bambini arabi di Ramla usano lo scuolabus e le classi dei piccoli ebrei. Quand'è il venerdì della preghiera, vicino alla moschea chiudono anche i negozianti con la kippah, e quand'è shabat molte botteghe arabe stanno a serranda bassa. I 60mila abitanti di Ramla sono abituati così. Nel mezzo d'Israele, prototipo d'ogni indagine di mercato: mischiati quanto basta, tolleranti quanto serve. Qui è nato Abu Jihad, l'alter ego di Arafat, padre storico del Fatah. «Ma si stava in pace, finché non è arrivato Lieberman », dice Moussa Abu Ghanem, droghiere sotto la Torre Bianca: «La gente in questi anni è vissuta sempre vicina e serena ». A Ramla, invece, l'estrema destra d'Israel Beitenu ha fatto il botto. E chi sopportava gli arabi senza problemi, senza farsi gli stessi problemi ora parla come Yossi Barditzky, che ha un banchetto al suk: «È arrivato l'uomo che aspettavamo. Per rimettere gli arabi al loro posto. Non è solo gente che non sostiene lo Stato d'Israele: lo boicottano. Hai visto le manifestazioni che facevano per Gaza?». O lo ami o lo odi. O lo accetti o lo cacci. «Ich liebe Lieberman ». «Lieberman il dobermann ». La quieta Ramla è la cartolina d'un Paese inquieto. Con la stessa domanda che si pone un Tom Segev: può Avigdor «Yvette» Lieberman governare? E può Kadima baciare il rospo, allearsi con una destra simile? «Certo che può», dice Gideon Eshet, notista politico: «Yvette ha già governato, con Sharon e con Olmert. Non è uno che viene dal nulla. Quand'era nel Likud, fu lui a scoprire Tzipi Livni e a segnalarla a Netanyahu. A destra hanno i numeri? Lasciate che provino a governare». La faccenda forse è più grave, ma non necessariamente più seria, e le improvvise aperture della Livni fanno sorridere: «In un solo giorno — scrive Nahum Barnea —, da razzista pericoloso per la democrazia, Lieberman è diventato un leader determinante. E i rabbini? Lunedì lo chiamavano diavolo, adesso lo vedono come un partner. Perché dovremmo lagnarci dei politici, se perfino le maledizioni dei rabbini durano meno d'una settimana?». C'è chi la prende meno leggera. «La nostra bandiera nera sventola e spaventa il mondo », scrive Nadav Eyal. «Qualcosa di pericoloso sta accadendo — dice Motta Kremnitzer, columnist di Maariv —. La linea che oggi divide israeliani e palestinesi, con Yvette divide israeliani "fedeli" e israeliani "infedeli". L'effetto s'è già visto, prima delle elezioni, quando Kadima, Likud e laburisti hanno provato a proibire due liste arabe. Solo la Corte suprema ci ha salvato dal suicidio politico». Per Yonatan Gefen, intellettuale che in una lettera aperta chiede alla Livni d'andare all'opposizione, «non governare con questi», l'estrema destra arabofoba è contronatura. E su Al Quds, il giornale degli arabi, «uno così al governo non farà tornare a casa nemmeno un profugo del 1948. Se un partito dicesse contro gli ebrei le stesse cose che lui dice contro di noi, l'accusa sarebbe una sola: antisemitismo». Alle parole non corrispondono le azioni, però. Non una protesta di piazza, contro Lieberman. Al massimo qualche sfottò della satira tv (scenetta sulle consultazioni: un finto Netanyahu gli propone una poltrona sgradita, lui risponde sparandogli alle gambe). Per Yvette hanno votato in massa Sderot e Ahkelon, le città sotto i razzi di Hamas, ma anche l'imparziale minoranza drusa: «È senza dubbio un fascista— dice Uri Avineri, storico attivista di Peace Now —. Violento nelle parole, idolatrato, xenofobo, convinto della superiorità ebraica. Ma questo non significa che lo siano anche i suoi elettori. Due terzi sono russi che vogliono importare modelli di vita russa: dalle unioni civili ebraiche, proibite dai rabbini, alla libertà di mangiare carne di maiale. Non è di questi che deve avere paura Kadima, nelle sue trattative. Casomai dell'altro terzo. E di tutti i coloni, i militari che entrano alla Knesset». Non ci sta Dani Dayan, capo dei coloni di Giudea e Samaria: «Non è solo un voto "russo" o etnico. È un voto contro i ritiri, contro le restituzioni delle terre. Di questo, la Livni e Netanyahu devono tenere conto. Negli ultimi anni, ci dicevano che il consenso era per due popoli e due Stati, che la destra non poteva governare da sola. Invece, la sinistra ideologica è crollata. E costruire insediamenti non è più una vergogna. Lieberman è la vittoria su questa falsa retorica ». O per spiegarla con Atta Wahidi, 55 anni, commerciante arabo di Ramla: «È la vittoria dell'israeliano tipo». Ovvero? «L'unico leader che dice quello che gli altri leader hanno paura di dire».
CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Ma Tzipi non ha scelta: se va all'opposizione scompare "
TEL AVIV — È convinto: «Shimon Peres proverà a spingere Benjamin Netanyahu e Tzipi Livni verso un governo di unità nazionale. Rotazione, due anni a testa, come fece lui con Yitzhak Shamir». È convinto: «Bibi non accetterà mai di passare un periodo alle dipendenze di Tzipi ». Abraham Diskin insegna Scienze Politiche all'università ebraica di Gerusalemme. Di mestiere disegna scenari elettorali e immagina coalizioni. «Quelle realistiche », precisa. E pensa che un'accoppiata Livni-Lieberman, senza Likud, non sia possibile. «Forse possono allearsi per far cadere un esecutivo, non per farne nascere uno». Meeir Sheetrit, ministro di Kadima, promette che il partito di centro non entrerà in una coalizione di estrema destra. «Belle parole, ma sa che non gli conviene. Livni rischia di scomparire come leader politico, deve ancora farsi conoscere e dimostrare agli israeliani di che cosa sia capace. Se sceglie l'opposizione, corre anche il rischio che alcuni deputati di Kadima tornino al Likud. Transfughi che avevano lasciato la destra per seguire Ariel Sharon». E se il ministro degli Esteri proclamasse: vado al governo per moderarne le posizioni e continuare i negoziati con i palestinesi? «In quel caso deve chiedere due dei quattro ministeri più importanti e anche il potere di veto. È nel suo interesse continuare a promuovere le sue posizioni e la sua strategia con la comunità internazionale. Non è possibile, se Israele viene rappresentata nel mondo da un governo di pura destra. Con ventotto deputati (contro ventisette del Likud) Livni può far pesare di valere quasi metà della coalizione ». Ari Shavit scrive su Haaretz: «Livni ha mangiato voti solo a sinistra, non è riuscita a toglierne alla destra». «Il tema della sicurezza ha dominato la campagna elettorale. Gli israeliani sentono una minaccia esistenziale, sul piano personale e su quello nazionale. La strategia di Kadima è sembrata fallire. La sinistra ha scelto Tzipi perché era convinta di poter fermare Bibi. I ventidue giorni di conflitto a Gaza hanno spostato il Paese verso destra, come sempre succede nei periodi di guerra. Con Netanyahu che provava a muoversi verso il cento, Lieberman ha rappresentato l'unica forza di destra che sia laica, l'unica alternativa ai partiti ultraortodossi». Abu Mazen ha detto ai leader europei: dovete boicottare un governo con Lieberman, come avete fatto con quello palestinese, quando il partner era Hamas. «A me Lieberman non piace, però non credo si possano fare paragoni. Nel programma di Yisrael Beiteinu, nessuno propone di distruggere un altro Paese, il manifesto di Hamas invece sì. Ma temo che in Europa il presidente palestinese possa trovare consensi su questo».
La REPUBBLICA - Alix Van Buren : " Chiunque vada al governo sarà Obama a tracciare la rotta "
«Non fate pronostici affrettati. Le elezioni che contano non sono quelle in Israele: sono quelle del 4 novembre in America. Sarà infatti Barack Obama a tracciare la rotta del governo israeliano. E poi, vi prego, voi europei smettete di parlare di naufragio della sinistra. Non è così: i voti del Labor e di Meretz sono soltanto trasmigrati nelle file di Kadima per scongiurare la catastrofe». Yossi Beilin, il demiurgo degli accordi di Oslo e dell´Iniziativa di Ginevra, ex ministro del Labor, ex presidente di Meretz, non ci sta a farsi relegare fra i vinti. A 51 anni, l´ex blazer boy, uno dei "ragazzi in giacca e cravatta" impegnati a negoziare la pace, vede un quadro fluido. Ministro Beilin, secondo lei coi vostri voti a Kadima avete evitato la capovolta a destra d´Israele? «Ascolti, la sinistra è viva e vegeta e pronta a menar colpi dall´opposizione. Chi dice il contrario, sbaglia: il Labor e Meretz hanno obbedito al motto "salvare Tzipi (Livni) per affossare Bibi (Netanyahu)". Era già successo, alla destra, nel 2006: gli elettori del Likud avevano votato Kadima lasciando Netanyahu nelle secche dei 12 seggi. Oggi, delusi dalle aperture "a sinistra" di Olmert, sono tornati all´ovile. Chi avesse decretato la fine del Likud avrebbe detto sciocchezze. La politica da noi si muove come le maree. Ma la forza d´attrazione è quella di Washington». Quale potere può esercitare il presidente Obama? «Se punterà i piedi per ottenere la pace in Medio Oriente, allora chiunque sia il primo ministro, e sarà Netanyahu, dovrà adeguarsi». Vuol dire che Netanyahu cambierà pelle? «Pur di ingraziarsi Washington, incarnerà l´uomo della pace. Almeno in apparenza». Ma nella realtà, come si comporterà? «Lui è campione nel mescolare le carte, nel tergiversare. S´è già visto nei Novanta con Clinton: ha firmato l´accordo di Wye River con i palestinesi, poi non l´ha applicato. Adesso formerà un esecutivo con la Livni, e così decreterà la condanna di Kadima». Che cosa deve concedere la Livni per restare al potere? «Deve rinunciare al processo di pace, a congelare gli insediamenti. Così perderà i voti della sinistra, che l´hanno tenuta a galla». E l´opposizione? che cosa farà? «L´unica cosa possibile in questo momento storico: fare l´opposizione, appunto, con forza e tenacia». Lei, Beilin, dopo il "grande rifiuto" di presentarsi nelle liste elettorali, tornerà in trincea? «Io scenderò di nuovo nel campo della pace. Andrò alla Casa Bianca, come presidente dell´Iniziativa di Ginevra, a presentare con una delegazione palestinese un librone di 600 pagine con la soluzione a tutte le questioni del negoziato israelo-palestinese. Dopo otto anni di Bush, lì c´è qualcuno pronto ad ascoltarci».
Il RIFORMISTA - Anna Momigliano : " Tel Aviv? Sembra di essere in Italia. Si va verso il governo di unità nazionale "
«Sa cosa diciamo qui da noi? Che sembra quasi di essere in Italia» Mentre a Gerusalemme politologi e gente comune si esercitano con gli algoritmi nel tentativo capire quale coalizione verrà fuori da queste elezioni senza vincitore, lo storico israeliano Tom Segev guarda a Roma, tra il serio e il faceto: «Voi italiani dovreste capire come ci si sente in questi casi, da voi capita quasi sempre no?» dice al Riformista. E ancora: «Se siamo arrivati a questo punto è perché la gente ha perso fiducia nella politica. Di certo il comportamento di Ehud Olmert e di altri politici corrotti ha aiutato questo clima di anti-politica. Un po' come in Italia, no?». Chi sarà il nuovo primo ministro? Che tipo di coalizione guiderà? Tutte le possibilità al momento sono ancora aperte. Anche se Haaretz dava in vantaggio il leader del partito conservatore: «Con ogni probabilità Netanyahu sarà primo ministro. L'asse di questo governo è chiaramente Likud-Yisrael Beiteinu» scriveva ieri Ari Shavit. Sempre secondo il quotidiano progressista, Netanyahu mira a formare una grande coalizione con Yisrael Beitenu e Kadima: ai primi offrirebbe il Ministero delle Finanze (presumibilmente allo stesso Avigdor Lieberman), ai secondi i portafogli degli Esteri (a Tzipi Livni) e della Difesa, al numero due del partito Shaul Mofaz, già ministro della Difesa nel primo governo Netanyahu. Lieberman si è limitato a dire di «avere già scelto» chi sostenere per la poltrona di premier, senza però rivelare altro. Ma per il momento gli unici a tentare veramente di escludere gli ultra-nazionalisti di Yisrael Beitenu sono i partiti religiosi, che insieme valgono 16 seggi, stanno cercando di convincere Kadima e Likud a formare una coalizione senza Yisrael Beitenu, che di seggi ne ha 15 e i cui progetti di riforme laiche indebolirebbero il potere dei rabbini. L'unica speranza per arginare gli ultra-nazionalisti sta nei rabbini ultra-conservatori. Non è un po' strano? Strano è piuttosto che un sistema democratico come quello israeliano stia dando legittimità a uno come Lieberman. Detto questo, Shas e gli altri partiti religiosi possono dire quello che vogliono. Tanto non otterranno nulla, Lieberman è troppo forte e non ha bisogno di loro. Allora anche lei prevede una coalizione di destra? È troppo presto per dirlo. Un accordo "cinquanta e cinquanta" tra Netanyahu e Livni è ancora possibile. Non vedo ostacoli insormontabili: bisogna ricordare che Kadima è nata da una costola del Likud. È tutta una questione di opportunità politiche e di problemi personali, non ci sono sostanziali differenze ideologiche. Ma come? Kadima è nata per portare avanti lo smantellamento delle colonie, Netanyahu invece si oppone a un ritiro dalla West Bank. Sono solo parole. Non mi sembra che Tzipi Livni sia così decisa a ritirarsi dalla Cisgiordania, almeno in tempi brevi. Per tutto il periodo in cui è stata al governo su questo fronte non è successo nulla. Posso sbagliarmi, ma credo non accadrà nulla neppure nei prossimi anni. Il ritiro dalla West Bank non è una questione che richiede scelte immediate, perché adesso la situazione con i palestinesi è troppo complicata. C'è chi parla di una fusione tra laburisti e Kadima. Potrebbe essere, almeno a breve termine. Potrebbero formare un gruppo parlamentare o qualcosa del genere. Tutti i giochi sono aperti. È davvero la fine della sinistra israeliana? Forse, ma non ne sarei così sicuro. Dopotutto molti elettori di sinistra hanno votato Kadima, cannibalizzando Meretz e Labour nel nome del voto utile. Ma non è detto che ripeteranno questa scelta in futuro. Di una cosa sono certo: Barak e gli altri parlamentari appena eletti con il Labour non sono che l'ombra dei laburisti del passato.
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