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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa -Il Giornale - Corriere della Sera - L'Unità Rassegna Stampa
12.02.2009 Elezioni israeliane: interviste
Interviste di Francesca Paci, Rolla Scolari, Davide Frattini e Umberto De Giovannangeli

Testata:La Stampa -Il Giornale - Corriere della Sera - L'Unità
Autore: Francesca Paci - Rolla Scolari - Davide Frattini - Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Questo voto è un macigno sulla pace - Destra favorita, alla fine troverà l'accordo - Il crollo del Labour, fine dell'utopia - Il risultato alle urne allontana la pace con i palestinesi»

Dai quotidiani di oggi, 12/02/2009, pubblichiamo le interviste di Francesca Paci a Marwan Barghouti, di Rolla Scolari al politologo Arye Carmon, di Davide Frattini a Eitan Haber, capo dello staff di Yitzhak Rabin,  e di Umberto De Giovannangeli a Zeev Sternhell, docente di Scienze Politiche all’Università ebraica di Gerusalemme.

Marwan Barghouti, fondatore del "Palestionian National Initiative", partito concorrente di quello di Abu Mazen e che ottenne il19% dei voti nelle elezioni del 2005, ha rilasciato alcune dichiarazioni a Francesca Paci che l'ha intervistato per la STAMPA. Una sua dichiarazione viene ripresa nel titolo " Questo voto è un macigno sulla pace, è una società malata di guerra". Barghouti, scrive la Paci, è "uno degli uomini più amati dalla sinistra europea", e si capisce bene il perchè. Lasciamo perdere le analisi sbagliate del dopo voto, non è vero che la Knesset è per l'80% " in mano alla destra", nè che il voto sia stato " contro la pace e la soluzione due popoli due stati". I laburisti, poi, sono "diventati un partito di destra", mentre secondo lui Livni e Netanyahu hanno "un programma identico". Non stupisce che, con simili ragionamenti, sostenga che  la "guerra è stata voluta per alimentare l'odio" (ovviamente di Israele verso i palestinesi), per cui deduce che Israele è " una società malata di guerra", mentre spera nei giovani palestinesi che "lotteranno contro l'Apartheid". Questo è il leader "moderato" che si propone di lottare contro Abu Mazen, senza alcuna critica da muovere contro Hamas, e per il quale non esiste nessuno in Israele con cui dialogare. Non si capisce bene se lo stato palestinese gli stia a cuore, anche perchè, su Hamas che governa a Gaza, non si esprime. Sarà Hamas a prendere il potere anche in Cisgiordania ? Come vede Barghouti il futuro stato palestinese ? una fotocopia di Gaza ? Non è dato sapere, lui è soltanto preoccupato del fatto che Israele è " una società malata di guerra ", una menzogna miserabile, visto che dal 1948 ad oggi Israele non ha fatto altro che difendersi a causa delle guerre scatenate dagli arabi per distruggerla. Mustafà Barghouti, diciamolo tranquillamente, non è che l'ennesima controfigura di Arafat. A differenza del defunto capataz, non si traveste da guerrigliero, sa che ha da guadagnare a vestirsi all'occidentale, gli sarà più facile ingannare l'opinione pubblica occidentale, visto che divisa e keffia hanno fatto il loro tempo. Ma la testa, quel modo di ragionare, restano gli stessi di Arafat. E' con leader di questo stampo che Israele deve confrontarsi, personaggi che invece di guardare con disgusto alla loro società governata con metodi dittatoriali, continuano ad attaccare la democrazia israeliana dalla quale avrebbero solo da imparare.

La STAMPA
- Francesca Paci : " Questo voto è un macigno sulla pace", pagina 6: 

L’esito del voto israeliano segna la fine di qualsiasi processo di pace». Mustafà Barghouti ha seguito la lunga notte elettorale dagli Stati Uniti: il trionfo della destra, dice, «dimostra l’involuzione della società israeliana». Cinquantatré anni, medico, segretario del progressista Palestinian national iniziative (Mubadara), Barghouti è uno dei politici palestinesi più amati dalla sinistra europea. Nel 2002 si schierò senza riserve contro la deriva militarista della seconda intifada e tre anni dopo sfidò alle urne l’attuale presidente Abu Mazen ottenendo il 20 per cento dei consensi.
Che giorno è per i palestinesi il day after delle elezioni israeliane?
«La società israeliana si è spostata radicalmente a destra trasformandosi in uno Stato apartheid. Da una parte il fatto che l’80 per cento del Parlamento sia nelle mani della destra indica quando Israele abbia virato verso il razzismo, dall’altra il grande consenso di Lieberman tra i giovani sbarra la strada a ogni prospettiva futura di dialogo. Si tratta di un voto contro la pace e la soluzione due popoli due stati».
Il presidente Abu Mazen ha fatto sapere d’essere pronto a dialogare comunque, anche con il Likud.
«Quello che dice Abu Mazen non conta granché, ripete sempre la stessa cosa. Le elezioni israeliane sono la prova del suo fallimento. Che risultato ha ottenuto dopo Annapolis? L’oppressione è aumentata, gli insediamenti ebraici nella nostra terra sono aumentati: la popolarità di Abu Mazen tra i palestinesi è scesa al 13 per cento e quanto più persevera nell’errore peggio sarà. È il momento di cambiare strada: l’unica opzione è l’unità nazionale e la resistenza che, mi auguro, sarà non violenta».
L’unità nazionale significa mettere insieme Fatah, i duri di Hamas, la società palestinese. Pensa che la frattura tra i palestinesi sia sanabile?
«Non abbiamo scelta. Con Lieberman in Parlamento, Israele non ci concederà niente. Dobbiamo raggiungere l’unità nazionale».
Come legge il crollo laburista, il peggiore in sessant’anni?
«La mutazione genetica del Labour in un partito di destra è completa: non si differenzia più da Kadima e non ha ragione di esistere. Avete notato in che modo Barak critica Lieberman? Mai sfidandolo sulla pace, ma tentando di dimostrare che è più duro».
Tzipi Livni ha ottenuto un successo personale. Cosa ne pensa?
«È una figlia del Likud. Il suo programma e quello di Netanyahu sono simili, nessun accenno ai rifugiati palestinesi, alla divisione di Gerusalemme, allo smantellamento degli insediamenti».
La Livni sostiene il dialogo, ha visto i negoziatori palestinesi anche nei momenti critici del suo governo. Non è d’accordo?
«I molti colloqui post-Annapolis sono stati un trucco israeliano per guadagnare tempo ed espandere gli insediamenti».
La sinistra israeliana è morta, ma, incalzata da Hamas, anche quella palestinese non pare sentirsi molto bene.
«Nell’arena politica palestinese ci sono tre forze: Fatah e i suoi satelliti, Hamas e noi, la Palestinian national iniziative, l’unico gruppo indipendente, il solo che può lavorare all’unità nazionale. Abbiamo un grande potenziale».
Che influenza ha avuto la guerra di Gaza sul voto israeliano?
«Quella guerra è stata voluta per alimentare l’odio. Il 93 per cento degli israeliani l’ha sostenuta e solo il 3,8 per cento si è schierato apertamente contro: è o non è una società malata?».
E il nuovo Meretz, il partito degli intellettuali?
«Amos Oz e David Grossman sono brave persone, ma troppo deboli».
Cosa crede che sia cambiato nella società israeliana dopo gli accordi di Oslo, quando la maggioranza sosteneva la pace?
«L’occupazione è diventata un’industria e lo stesso è capitato alla guerra. Israele si è trasformato in una gigantesca fabbrica di colonie e di armi, molte delle quali sperimentate a Gaza e in Libano. E poi è pesato il silenzio della comunità internazionale».
I palestinesi non hanno proprio nessuna responsabilità?
«I nostri politici si sono impegnati in falsi processi di pace. La mia speranza sono i giovani, c’è una nuova generazione di palestinesi sana, contraria alla violenza ma anche all’apartheid».
E con chi dialogheranno questi futuri leader palestinesi?
«Per ora con nessuno, non c’è un partner israeliano per la pace. Ci apriremo al dialogo quando l’equilibrio delle forze cambierà».

Il GIORNALE
- Rolla Scolari : " Destra favorita, alla fine troverà l'accordo ", pagina 15:
 
Dovevano essere elezioni noiose e già scontate. A poche ore dal voto si sono rivelate un’appassionante lotta all’ultimo seggio tra i due candidati favoriti, Tzipi Livni e Benjamin Netanyahu, e si sono concluse senza un vincitore certo: non si sa ancora chi formerà il prossimo governo d’Israele. Come spiega Arye Carmon, presidente del think tank Israel Democracy Institute, «la politica israeliana è bloccata e ci vorrà tempo per formare una coalizione». Nel frattempo, il premier «uscente» da mesi Ehud Olmert continuerà a guidare il Paese.
Cosa succederà ora in Israele?
«Dalla fondazione dello Stato nel 1948 nessun partito ha mai ottenuto più del 50 per cento delle preferenze. Questo significa che in Israele le coalizioni sono sempre state una necessità. Ma in passato, c’erano forze politiche più grandi; oggi i partiti sono di più e sono più piccoli e quindi formare una coalizione è più difficile. Con i risultati di martedì, ogni partito dovrà scendere a compromessi».
Ma per ora non c’è un premier. Come si sbloccherà la situazione?
«Secondo la legge israeliana, il presidente Shimon Peres ha il potere di scegliere, dopo consultazioni con i vari capi di partito, chi formerà l’esecutivo. Una volta affidato l’incarico, il politico scelto avrà 21 giorni per creare una coalizione. In caso di un primo fallimento, potrà disporre di altri 21 giorni per un secondo tentativo. Il presidente inizierà le consultazioni la settimana prossima. Questo significa che i tempi per la formazione di un governo sono ancora lunghi».
Ma i numeri cosa dicono?
«Sulla carta, se Israel Beitenu, partito di Avigdor Lieberman, sosterrà come ci si aspetta il Likud, il favorito è Netanyahu.
Si è parlato di rotazione tra due primi ministri. È un’ipotesi possibile?
«I candidati sembrano scartare questa possibilità. C’è un precedente di rotazione in Israele, nel 1984 con Yitzhak Shamir e Shimon Peres. Ma era una situazione diversa: come ho detto prima c’erano due grandi partiti, non tante piccole forze come oggi».
Livni potrebbe opporsi a un incarico al rivale?
«Se il presidente affida l’incarico, i giochi sono fatti».
Lieberman sarà veramente l’ago della bilancia?
«Sì. Senza Israel Beitenu il blocco di Netanyahu non arriva a 65 seggi. Con Israel Beitenu, Livni sarebbe in grado di formare un governo».

CORRIERE della SERA
- Davide Frattini : " Il crollo del Labour, fine dell'utopia ", prima pagina e pagina 5.

TEL AVIV — «Da chi ha imparato Ehud Barak a distinguere un sigaro Cohiba da un Romeo y Julieta? Dall'amministratore del kibbutz Mishmar Hasharon?». Eitan Haber, capo dello staff di Yitzhak Rabin, parla dell'ultimo leader laburista e pensa a quelli che l'hanno preceduto nei decenni. «Quando un partito resta troppo a lungo al potere, i suoi ministri cominciano a girare il mondo, vedono come vivono i colleghi stranieri, si dicono: allora anche io. In Israele non è possibile, questa è una piccola comunità. Teniamo d'occhio i nostri politici, soprattutto se si definiscono socialisti». Ricorda che Rabin aveva indicato Barak come suo erede, «alla festa di addio per Ehud, finiti i quattro anni da capo di Stato Maggiore».
E Barak primo ministro lo è diventato. Che cosa non ha funzionato allora?
«Ha trovato (e si è creato) degli ostacoli sulla strada. Il fallimento delle trattative a Camp David e poi la violenza della seconda intifada. Il suo modo di comportarsi è stato considerato inaccettabile dagli elettori: lui si sentiva Napoleone, gli israeliani pensano che il premier sia uno di loro. Per questo l'hanno punito».
Dopo la sconfitta, quale deve essere la strategia del partito?
«Non c'è alternativa allo stare all'opposizione. Il dramma è che il Paese ha bisogno di un ministro della Difesa come Barak».
Chi potrebbe essere un nuovo leader?
«Ci vorranno dieci anni prima che qualcuno sia pronto. La "speranza" Ophir Pines Paz è senza esperienza. E' stato capo del movimento studentesco, non è abbastanza per vincere un'elezione in Israele».
I voti laburisti sono finiti a Kadima, un partito fondato da Ariel Sharon, dopo aver lasciato il Likud.
«La campagna di Tzipi Livni è riuscita a far credere che la sfida fosse solo tra lei e Netanyahu. Non è un vero spostamento al centro degli elettori di sinistra».

L'UNITA'
- Umberto De Giovannangeli : " Il risultato alle urne allontana la pace con i palestinesi ", pagina 28
 
Il volto d’Israele uscito dalle urne. Vincitori e vinti. E un futuro nel segno dell’incertezza politica. L’Unità ne ha discusso con il più autorevole tra gli storici israeliani: Zeev Sternhell, docente di Scienze Politiche all’Università ebraica di Gerusalemme, autore di numerosi saggi tra i quali «Nascita di Israele. Miti, storia, contraddizioni» (Baldini Castoldi Dalai). Sternhell - che pochi mesi fa ha subito un attentato da parte di un gruppo dell’estrema destra israeliana - non nasconde il suo pessimismo: «Per quanto riguarda la pace con i palestinesi - afferma - quale che sia il governo che si formerà, non potranno esserci seri progressi». E sul crollo del Labour, annota: «I laburisti continuano a pagare il prezzo di una perdita di identità e del venir meno di quella rendita di posizione elettorale che gli derivava dall’essere percepito come il partito "anti-Likud"».
Professor Sternhell, come è possibile che Israele si trovi di nuovo, il giorno dopo le elezioni, senza una direzione politica sicura?
«Purtroppo questo è un problema strutturale nella democrazia israeliana, aggravato oltretutto dalla poca chiarezza del sistema che – in una situazione come quella scaturita dalle elezioni di ieri (martedì, ndr.) - lascia la possibilità di formare il governo sia a Netanyahu che alla Livni. E né l’uno né l’altro potranno presentare un governo in grado di confrontarsi veramente con le sfide di fronte alle quali si trova Israele. Buona parte di questo risultato è frutto di un sistema problematico e che esiste oggi solo in Olanda. Per quel Paese – dove sono vissuto per un anno e dove ho constatato che in tempo di elezioni i cittadini erano a malapena coscienti del fatto che si doveva andare a votare – va bene. Ma per Israele, no. È un sistema che ha il pregio di voler dare voce a tutti i settori della società ma che crea una frammentazione politica quasi ingestibile. Il sistema della elezione diretta del primo ministro è stato provato e si è visto che non è adatto per Israele, ma ci sono fra questo e il sistema presente, molte possibilità intermedie che vanno seriamente studiate. Il problema è che una riforma elettorale seria e che restringa il numero dei partiti, dovrebbe essere studiata, preparata e approvata da quegli stessi parlamentari che potrebbero poi esserne colpiti. Coloro che sono disposti a mettere in forse una loro futura rielezione alla Knesset, non sono poi molti».
In ogni caso, che significato ha il voto del 10 febbraio per il domani di Israele?
«Per quanto riguarda la pace con i palestinesi, quale che sia il governo che si formerà, non potranno esserci seri progressi: ci saranno sempre quelli che vorranno, quelli che non vorranno e quelli che non potranno. È triste, ma d’altra parte ciò rispecchia la società israeliana odierna: sa di avere grandi problemi, ma non sa decidersi chi dovrà risolverli e come; vuole in grande maggioranza la pace, ma non è disposta a dare carta bianca per far pagare il prezzo necessario per conseguirla. Saremo quindi costretti a continuare a stare nella stessa piccola palude dove lo spazio è molto ristretto. Non che questo sia così diverso da tanti altri Paesi, Italia compresa; ma nessun Paese al mondo si trova di fronte a problemi esistenziali come quelli di Israele.
Si temeva un calo della sinistra, ma è avvenuto un vero e proprio crollo. Come lo spiega?
«Per quanto riguarda il Meretz (la sinistra sionista, ndr.), ha commesso un fatidico errore: quello di volersi presentare come "Nuovo Movimento" laddove non c’era niente di nuovo e sicuramente non si trattava di un movimento. Gli elettori non hanno trovato alcun motivo valido per votare un partito che nella migliore delle ipotesi era la coda del partito laburista. Da parte sua, il Labour continua a pagare il prezzo di una perdita di identità e del venir meno di quella rendita di posizione elettorale che gli derivava dall’essere percepito come il partito "anti-Likud". Al di là della indubbia crisi di leadership, lo spostamento di voti degli ultimi giorni è stato in funzione della volontà di molti di bloccare la crescita della destra, soprattutto di Lieberman. Non è più il Labour ad essere percepito come baluardo contro la destra, bensì il Kadima di Tzipi Livni. Ma al di là del rammarico per il crollo dei partiti di sinistra, devo dire che il ragionamento dell’elettorato è stato del tutto logico: rafforzare Kadima, nella attuale congiuntura politica, è stato l’unico modo per mettere Netanyahu in difficoltà, rendendogli quasi impossibile qualsiasi alternativa di governo che preveda solo la destra. È stato in fondo un calcolo intelligente e maturo di un elettorato di sinistra che ha preferito spostare e concentrare le forze più al centro per arginare la destra rappresentata da Netanyahu. E il Partito laburista è stato quello che ha pagato il prezzo maggiore per questa operazione».
 
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