Continua la polemica sui negazionisti riammessi dal Vaticano nella Chiesa cattolica.
Su REPUBBLICA l'articolo " Il prete negazionista va all'attacco - Una sola via, gli ebrei si convertano" di Jenner Meletti riporta le affermazioni di Abrahamowicz, mentre l'articolo " Ora su quei lefebvriani si deve tornare indietro " di Giacomo Galeazzi sulla STAMPA riferisce le dichiarazioni del teologo Hans Kung, critico con il Vaticano.
Riprendiamo inoltre dal CORRIERE della SERA l'articolo " Il ritorno all'ovile dell'intolleranza "di Christopher Hitchens.
La REPUBBLICA - Jenner Meletti " Il prete negazionista va all'attacco - Una sola via, gli ebrei si convertano "
SILEA (Treviso) - «Gli ebrei aspettano ancora il Messia. E nessuno, in questa Chiesa uscita dal Concilio, dice loro: "Guardate che il Messia è già arrivato 2.000 anni fa, è il Cristo di noi cattolici. Voi dovete soltanto convertirvi"». Stessa ricetta per i musulmani e i buddisti, verso i quali, come con gli ebrei, «non serve nessun dialogo». «La Chiesa deve tornare alle origini. Nei primi tempi i cristiani erano l´1 %, nella popolazione romana. Si fecero mangiare dai leoni e con il carisma del martirio salirono al 50%. Diventati forti, andarono nelle terre lontane e dissero: "Barbari, convertitevi". Ecco, anche oggi questa è la strada da seguire. Altro che dialogo, tanto esaltato dal Concilio Vaticano II».
Dovrebbe essere (e così dichiara di essere) «addolorato e afflitto», padre Floriano Abrahamowicz, prete austriaco lefevriano espulso venerdì dalla Fraternità San Pio X «per gravi motivi di disciplina». Le sue dichiarazioni sulle camere a gas e sul Concilio chiamato «cloaca maxima» hanno turbato anche i seguaci del vescovo francese. E soprattutto li hanno messi in imbarazzo nel momento in cui la Chiesa di Roma ha tolto la scomunica. Così, nella mattinata di domenica, davanti alla «sua» chiesa di Lanzago di Silea il prete austriaco si trova davanti un prete francese, don Ludovico Sentagne. Questi gli dice che il superiore nazionale della Fraternità, don Davide Pagliarani, l´ha mandato a Silea per dire Messa al suo posto. «Dopo l´espulsione, non puoi celebrare�» Don Floriano non si scompone. «Non ho fatto a pugni - dice - ma con calma gli ho spiegato che la Messa l´avrei celebrata io. Lui poteva assistere, se voleva».
E così è stato. Preceduto da tre seminaristi in cotta e girello e fra effluvi di incenso don Floriano ha contato i suoi fedeli, ha visto che nessuno mancava all´appello e allora ha deciso di giocare la sua carta: resistere all´espulsione. «Devo obbedire a Dio più che agli uomini e non abbandonerò il mio gregge. Sul Concilio ho solo ripetuto ciò che monsignor Lefèvre ha sempre detto». Messa tutta in latino (solo il Vangelo viene letto anche in italiano), donne con veletta, uomini inginocchiati sul pavimento. «Il Concilio è stato un goulash fatto con ogni tipo di carne. Colpa del dialogo con le altre religioni. Se sei un bravo musulmano e credi nel tuo Dio ti potrai salvare, dicevano. Se sei un bravo ebreo ti potrai salvare. E allora perché convertirsi all´unica Chiesa che può salvare? Il fatto grave è che a togliere Cristo, la pietra angolare, dalla Chiesa, non sono stati i comunisti atei ma i padri conciliari».
Dopo la Messa c´è anche il catechismo. E poi via con le dichiarazioni. «Siamo ancora in mezzo alla tempesta: presto potremo contare gli alberi caduti e quelli rimasti in piedi». Ma i suoi «alberi» oggi ci sono tutti. «Padre Abrahamowicz - dice Matteo Castagna, il capo del circolo cattolico tradizionalista Christus Rex - è e resta la nostra guida spirituale». «Guido tre parrocchie nel nordest - dice il prete - con tre chiese. Il mio territorio è di 30.000 chilometri quadrati». Padre Floriano non ha mai amato i toni bassi. Già nel marzo 2001, a un raduno della X Mas a Migliarino, diceva che «i marò della Repubblica di Salò furono vittime innocenti perché i loro assassini non facevano parte di un esercito regolare». E precisava: «I partigiani erano poveri ignoranti che combattevano per la setta perversa del comunismo».
Alla fine, Pater, Ave e Gloria per «la martire Eluana». Cita a proposito il profeta Isaia. «Se voi abbandonerete i Dieci comandamenti io vi darò come governanti dei bambini e degli effemminati. E´ ciò che succede in questa Italia che non rispetta la legge di Cristo. Che fare adesso? A Udine stanno commettendo un omicidio. Chi governa deve impedirlo, anche con la forza. I carabinieri sanno come evitare un delitto».
La STAMPA - Giacomo Galeazzi : " Ora su quei lefebvriani si deve tornare indietro "
Benedetto XVI «dovrebbe imparare da Obama, c’è bisogno di cambiamento nella Chiesa come negli Usa. Non si può andare avanti così». Il teologo ribelle, Hans Küng, intervenendo ieri alla trasmissione su Rai Tre di Lucia Annunziata «In mezz’ora», ha alzato il tiro verso il Papa. «I suoi collaboratori sono solo “yes-men”. È come al Cremlino - attacca Küng -. Hanno la loro dottrina, il loro sistema, ma non vedono il mondo e siamo in pericolo se il Papa non lavora in collegialità con i vescovi e se i suoi collaboratori non hanno coraggio di criticare». Parole pesanti come macigni, pronunciate da chi ha lavorato a lungo in Germania accanto al professor Joseph Ratzinger. «Il Pontefice dice che vuole unire, invece, di fatto, ha diviso la Chiesa. C’è un certo collasso delle nostre strutture, ci sono troppi scandali, ci sono i casi di pedofilia del clero», accusa Küng.
Occorre, quindi, fare passi avanti. «Sarei più contento di un Papa leader della Chiesa, che di un Papa che vuole frenare la Chiesa - osserva Küng-. Non capisco perché non ha fatto alcun riferimento a Giovanni XXIII, ha completamente ignorato l’anniversario del Concilio Vaticano II, e i suoi risultati». In questo contesto è ancora più difficile «capire il gesto verso i lefebvriani, che sono rimasti nel paradigma medievale della Chiesa, antiriformatori, antimoderni, contro il Concilio Vaticano II». C’è affinità «con il Papa anche lui molto radicato nel medioevo, non vuole una riconciliazione con Lutero, non parla bene nemmeno dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese». Revocare la scomunica al negazionista Williamson «non è stato uno sbaglio di comunicazione ma uno sbaglio di regime, del governo della Chiesa». Il Papa «già sapeva da cardinale che i seguaci della fraternità di San Pio X sono antigiudei». Insomma, «uno sbaglio di calcolo, nel senso che il Papa non ha pensato alle conseguenze di questo gesto». Quanto alla richiesta del cancelliere tedesco di ulteriori chiarimenti, Küng ritiene che «aveva ragione perché ha espresso l’opinione della maggioranza del popolo cattolico e l’opposizione degli ebrei». La Merkel «è molto sensibile alla questione che sia un Papa tedesco a fare passi verso un gruppo di antigiudei».
E mentre Williamson canta vittoria, sul suo blog, per la reintegrazione nella Chiesa («Sto bene di salute e non sto per andare in pensione. I conciliaristi non hanno più il Papa solo dalla loro parte») e sulla Shoah deplora la «campagna orchestrata dai media», Küng reclama un taglio netto dalla Santa Sede: «Ora Benedetto XVI deve distaccarsi dal gruppo dei lefebvriani, poiché non è possibile che essi siano vescovi dentro la Chiesa». Il Papa deve tornare indietro: «E’ impossibile revocare la scomunica a chi non accetta il Concilio Vaticano II e quanto da esso stabilito. Non si tratta solo del vescovo Williamson, che ha negato in maniera orribile e inaccettabile la Shoah, ma di tutta la Fraternità». Non riconoscere il Concilio equivale, secondo Küng, a non riconoscere «la libertà religiosa, di coscienza, le relazioni con le altre religioni, con l’Islam, con il mondo secolare e quello delle riforme». Questioni di fondo, quindi. «Il Papa deve ripensarci prima che sia troppo tardi».
Infine, sul caso Eluana, «da un punto di vista giuridico in una democrazia anche la Chiesa e le autorità ecclesiastiche devono ubbidire alle leggi e alla Corte costituzionale», pertanto Küng stigmatizza che la Chiesa «metta sotto pressione i vertici istituzionali». L’uomo «non ha l’obbligo di conservarsi in vita attraverso mezzi artificiali, nessuna persona è forzata ad applicare mezzi straordinari per sostentarsi e sopravvivere». Il padre di Eluana «può e deve decidere».
CORRIERE della SERA - Christopher Hitchens " Il ritorno all'ovile dell'intolleranza "
Sin dal giorno in cui Papa Giovanni XXIII inaugurò le storiche riforme del Concilio Vaticano Secondo, non pochi credenti cattolici hanno considerato questa innovazione un tremendo sbaglio. Il più noto di costoro, tra i laici, fu certamente lo scrittore Evelyn Waugh, che morì nel 1966, dopo i riti pasquali, convinto che il Cristianesimo fosse stato tradito dalla capitolazione della Santa Sede davanti alle eresie modaiole del modernismo. Tra gli ecclesiastici, si fece notare il defunto arcivescovo Marcel Lefebvre, fervido sostenitore della tradizione, che spinse le sue divergenze con Roma fino allo scisma, seguito da scomunica, assieme ai quattro religiosi che aveva osato ordinare vescovi, nell'anno del Signore 1970. Tra i dissidenti estremisti cattolici, la massima notorietà è stata raggiunta dal team padre-figlio (mi si perdoni l'audacia) dei signori Hutton e Mel Gibson, che hanno portato sul grande schermo una versione truculenta del sacrificio di Gesù, «La passione di Cristo».
Per decenni, si era pensato che gli scismatici avrebbero finito i loro giorni nell'emarginazione, oppure con il ritorno all'ovile. Invece, Papa Benedetto XVI ha preferito spostare a destra la Chiesa Cattolica per accogliere, e riabilitare, i disertori. Tra costoro troviamo un vescovo lefebvriano di nome Richard Williamson, che nega l'esistenza delle camere a gas e sospetta inoltre le macchinazioni del governo Bush dietro gli attentati dell'11 settembre, 2001, come pretesto per scatenare la guerra. La decisione del papa di riportare in seno alla Chiesa questi elementi decisamente stravaganti, riuniti sotto il vessillo della «Fraternità di San Pio X», ha gettato lo scompiglio tra non pochi cattolici liberali, come pure tra gli ultraconservatori, tra cui George Weigel. Ma davvero si tratta di affari interni alla Chiesa Cattolica? Io credo proprio di no, ed ecco perché.
Tra i profondi cambiamenti introdotti nella vita quotidiana dei cattolici dal Vaticano II c'è stato l'abbandono della messa tridentina, o in latino, sostituita dalle funzioni religiose nella lingua nazionale. Nei rapporti con i non cattolici, il Vaticano II ha inoltre compiuto il passo cruciale di ritirare l'accusa di «deicidio» contro l'intero popolo ebraico: in altre parole, ha lasciato cadere l'illazione che gli ebrei siano responsabili, storicamente e collettivamente, della tortura e uccisione di Gesù. Queste due modifiche erano, e sono — purtroppo — reciprocamente collegate. La vecchia messa in latino prevedeva una preghiera speciale per il Venerdì Santo, indirizzata alla conversione degli ebrei, definiti «perfidi» in alcune versioni del rito pasquale.
Tra i membri della Fraternità di San Pio X, ci saranno anche coloro che provano semplicemente nostalgia per i giorni andati, quando il celebrante sollevava l'ostia dando le spalle ai fedeli e pronunciava le parole della consacrazione nella rassicurante formula latina, ripetuta in tutte le chiese sulla faccia della terra.
(Cattolico, in ultima analisi, significa appunto «universale»). Ma non sono soltanto gli osservatori ebrei a sospettare che qualcosa di più si nasconde sotto il crescente desiderio di ritorno al rito latino. (..) Ed ecco che il Papa decide che la frattura con i lefebvriani è una ferita da «sanare». Come mai? Temo che la spiegazione più probabile darà scarsa consolazione a quanti pensano che le divergenze religiose si possano risolvere con una verniciata di giubilo ecumenico.
Chiediamoci innanzitutto perché la Chiesa abbia aspettato fino al 1965 per cancellare l'accusa di deicidio contro gli ebrei. Dopo tutto, essa ricorre in un solo verso di un unico Vangelo (Matteo 27, 24-25) e nella scena drammatica del film di Mel Gibson, quando il Sinedrio si assume la responsabilità dell'imminente crocifissione per tutti i tempi e per tutte le generazioni future. Occorre tuttavia interrogarsi, ammettendo pure una simile richiesta, se i rabbini potevano esprimersi legittimamente a nome di tutti gli ebrei del tempo, senza contare quelli che dovevano ancora nascere. Sono dovuti passare vent'anni dai processi di Norimberga, prima che la Chiesa ammettesse ciò che era ovvio: perché?
La dottrina cristiana sostiene che tutti i credenti sono responsabili del sacrificio di Cristo, quasi che, in senso mistico, siano stati presenti all'accaduto. Ogni volta che ci macchiamo di un peccato, o ci allontaniamo dalla Chiesa, anche noi partecipiamo al martirio del Signore, e pertanto il principio della responsabilità collettiva si applica a tutti, e non esclusivamente agli ebrei. Bisogna ammettere, tuttavia, che nelle vicinanze del Golgota non vi fossero indiani pellerossa, né Tamil, né gallesi, né slovacchi. C'erano invece, che la storia di Cristo sia vera o no, un bel po' di ebrei.
Pertanto, se gli ebrei devono essere esonerati collettivamente, ecco che diventa assai difficile persuadere il resto dell'umanità di aver contribuito, tramite la perdita della grazia, al martirio di Gesù. Di qui il disagio, sin dai tempi del Vaticano II, tra i credenti conservatori. In qualche modo, si temeva che questi argomenti potessero annacquare e diluire l'ambrosia inebriante della colpa e della redenzione.
L'ortodossia ebraica, dal canto suo, non favorisce la soluzione del dilemma.
Nel commentare la Bibbia cristiana, il grande saggio Maimonides affermava che i rabbini di Gerusalemme meritavano il plauso, per il coraggio e la rettitudine dimostrate nel mettere a tacere quell'impostore eretico che osava dichiararsi il tanto (e tuttora) atteso e venerato Messia. Si può star certi che i credenti cattolici, sin dagli esordi del Cristianesimo, sono stati consapevoli di questa scomoda realtà, così come preferiscono ignorarla, oggi, gli ebrei liberali e secolarizzati. Le antiche omelie pasquali, i «misteri della Passione» rappresentati a Oberammergau e altrove, e le opere di devozione come le visioni della religiosa tedesca Anna Catherine Emmerich, celebre bestseller, non mancano mai di riproporre a fosche tinte le scene della canaglia ebraica che gioisce delle sofferenze del Nazareno.
Quando i credenti si macchiano di eccessi (e questo accade di tanto in tanto), ci si affretta a dire che si tratta di un banale travisamento dei «veri» e «autentici» insegnamenti della Chiesa.
Quel che trovo allarmante nel caso odierno è che le attenuanti vengono concesse ai negazionisti e agli antisemiti, e che per di più ciò non rappresenta un equivoco riguardo gli «intenti originali» del Cattolicesimo, quanto piuttosto un ritorno alla dottrina tradizionale e consolidata. Per decenni, è parso agli osservatori distratti che la Chiesa Cattolica avesse perlomeno fatto mostra di buona volontà nel riconoscere la sua responsabilità storica nella diffamazione del popolo ebraico. Di colpo, questa conquista non appare più legittima. Di recente, il rappresentante tedesco della Fraternità di San Pio X ha tenuto a lezione i vescovi del suo Paese sulla necessità dottrinale di ribadire la responsabilità generale degli ebrei nel deicidio. Il mese scorso, questo vescovo era uno scomunicato. Oggi, la sua fazione è stata riaccolta in seno alla Chiesa, la cui «unità» deve apparire molto importante agli occhi di Benedetto XVI, se è disposto a pagare un prezzo tanto elevato.
Quando vedo corteggiare il pregiudizio e la follia persecutoria sotto il manto della fede, mi sento chiamare in causa come cittadino: e questo vale per il cardinale Bernard Law, che chiuse un occhio sugli abusi dei preti pedofili, e oggi vive protetto a Roma e ha votato nelle elezioni di Ratzinger al Soglio pontificio; e vale per tutti coloro che calunniano gli ebrei con insinuazioni o peggio, e che diffondono le più vili menzogne per accusare un paese democratico come gli Stati Uniti di aver organizzato gli attacchi terroristici contro se stesso. Da una Chiesa responsabile ci si aspetterebbe una censura indignata e l'espulsione, non la pia riconciliazione con tali personaggi. Evidentemente ci siamo sbagliati.
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