Elezioni in Israele: le analisi di Fiamma Nirenstein (da PANORAMA) e Sergio Della Pergola (dalla rassegna dell'Ucei) le cronache di Davide Frattini sul CORRIERE della SERA e di Alberto Stabile su REPUBBLICA , il reportage di Umberto De Giovannangeli sull'UNITA' e due brevi da Il MESSAGGERO e Il GIORNO.
Da PANORAMA, riportiamo l'analisi di Fiamma Nirenstein "Netanyahu a lezione da Obama":
Le elezioni in Israele, mentre la guerra di Gaza balugina ancora all’orizzonte, non sono tranquille. Gilad Shalit da quasi tre anni langue a Gaza, rapito da Hamas; i missili Grad cadono su Ashkelon mentre i bambini vanno a scuola; al Cairo si tratta una tregua in cui, fra l’altro, si deve decidere se consegnare centinaia di terroristi in cambio del soldato; a Teheran Khaled Meshaal e i grandi ayatollah, che lo incitano a proseguire nella guerra dei missili, gridano «morte a Israele» di fronte alle telecamere; nelle stesse ore si sperimenta un missile iraniano adatto a portare una testata nucleare.
L’Egitto cerca di mediare una tregua e tuttavia proibisce che una qualche forza neutrale possa controllare le vie d’ingresso legali e clandestine alle armi e alle forze che già riarmano Hamas. L’amministrazione Obama spingerà certo alla cessione di territori in cambio di pace, mentre quelli ceduti ai palestinesi nel 2006, ovvero Gaza intera, sono stati utilizzati come una base missilistica.
Israele deve preparare una risposta. L’economia langue, si prevedono 50 mila disoccupati in più. Ma Israele è un paese democratico e colto, vuole teatro, università, concerti, il cappuccino italiano, la scienza ai massimi livelli, i bambini impegnati in corsi di lingua e tuffi. E ha un esercito di popolo, dove militano figli nella leva e padri nella riserva. Insomma, il prossimo primo ministro deve salvare Israele dalla distruzione: è solo davanti all’atomica iraniana e al terrorismo di Hamas, Hezbollah, Siria, davanti alla pressione internazionale e all’antisemitismo. Nello stesso tempo deve garantire una vibrante democrazia e la sicurezza anche negli internet caffè, che solo quattro anni fa saltavano tutti per aria durante la seconda intifada.
Il candidato principe è Benjamin Netanyahu, capo del Likud, che sembra essere passato da 12 seggi a circa 28. Perché? Basta ricordare che «Bibi» ha previsto che sgomberare Gaza significava di fatto consegnarla a Hamas, come è accaduto. Che è stato il primo a denunciare il pericolo iraniano ai confini. Chi teme il suo atteggiamento di destra deve ricordare che, quando nel 1996 fu primo ministro, strinse la mano a Yasser Arafat a Wye Plantation e lasciò Hebron.
Il partito Kadima perderà le elezioni non perché Tzipi Livni è donna, né perché ripete di voler parlare con Abu Mazen, presidente dell’Autorità palestinese. Le sue carte di pace sono fragili in questo momento, Abu Mazen non emerge dalla crisi con Hamas. Livni ha gestito il suo ruolo di ministro degli Esteri dignitosamente, ma Kadima è stato il partito di due fallimenti, la guerra del Libano del 2006 e la consegna di Gaza a Hamas.
Il terzo concorrente è Ehud Barak, il soldato più decorato d’Israele, il primo ministro che sgomberò il sud del Libano nel 2000 offrendo ad Arafat tutta la Cisgiordania, compresa Gerusalemme, scatenando la seconda intifada (iniziata dopo la passeggiata di Ariel Sharon sulla spianata delle moschee). Ma in guerra è bravo, si è visto anche stavolta, e il suo desiderio di pace è sincero. Netanyahu sembra tendergli una mano come prossimo ministro della Difesa. Sarebbe un duo eccezionale, lo stesso che appare, in una foto del 1972, sull’ala dell’aereo Sabena dirottato, quando la loro unità speciale salvò i passeggeri rapiti.
Si è aggiunto negli ultimi giorni un quarto incomodo, Avigdor «Yvette» Lieberman, l’uomo che vuole che gli arabi israeliani promettano di essere cittadini fedeli a Israele, dopo che hanno ripetuto di ritenersi palestinesi a tutti gli effetti. Considerato un iperdestro, potrebbe disturbare l’idillio Bibi-Ehud.
Dalla rassegna Ucei, riportiamo un'intervista Sergio Della Pergola "Risultato incerto ma sistema solido"
Israele va al voto. Fra poche ore l'unica democrazia del Medio Oriente ridefinirà gli equilibri alla Knesset e si darà un nuovo Governo. Gli equilibri determinati dal risultato elettorale saranno probabilmente il risultato di alchimie molto complesse. E il nome del nuovo premier potrà dipendere da piccoli spostamenti dell'ultimo minuto negli umori dell'opinione pubblica.
Gli indecisi, alla vigilia della consultazione, sono ancora in numero consistente. E le incognite di un sistema elettorale fra i più frammentati e fra i più complessi sono così numerose che nemmeno i grandi esperti si sentono in grado di formulare un pronostico del tutto affidabile.
Il demografo Sergio Della Pergola, uno dei nomi più prestigiosi dell'Università ebraica di Gerusalemme, più volte consulente degli Esecutivi israeliani sulle questioni strategiche, ha appena finito di sfogliare i quotidiani ritrovandovi una sua studentessa, piuttosto chiacchierata
Una vignetta dell'influente ma minoritario Haaretz (vedi l'immagine a fianco) la ritrae di fronte a suo padre, Avigdor Lieberman, leader di Israel Beitenu, la formazione nazionalista astro nascente del nuovo panorama politico israeliano. La battuta è al vetriolo, come spesso avviene sulle pagine dei quotidiani di un sistema libero talvolta fino ai limiti dell'eccesso. “Papà, un giorno tutto questo sarà tuo”, dice lei mostrando un gruzzolo che secondo la stampa scandalistica Lieberman starebbe accumulando e amministrando con troppa disinvoltura con l'aiuto dei propri familiari.
“Per come l'ho conosciuta – liquida la questione il professor Della Pergola – posso dire che si è dimostrata una studentessa capace e intelligente”. Sulle accuse di corruzione piovute nel corso della campagna elettorale lo studioso usa molta cautela. Il sistema giudiziario israeliano non perdona e non guarda in faccia a nessuno, se ci sono illeciti sicuramente chi li ha commessi dovrà risponderne. Ma per ora la parola spetta agli elettori. “Tzipi Livni – commenta Della Pergola – si presenta come la signora 'mani pulite', ma questo da solo non basta per vincere la competizione”.
Sta di fatto che fra i pochi punti fermi che Della Pergola dice di vedere alla vigilia del voto c'è proprio l'emergere della formazione di Lieberman (nell'immagine in alto una manifestazione dei supporter di Israel Beitenu a Haifa alla vigilia del voto).
E poi? “Mi sembra del tutto prevedibile – aggiunge lo studioso – che assisteremo a un'ulteriore marginalizzazione della sinistra nel quadro politico generale. La massa dell'elettorato è distante dalle sue ragioni e nemmeno gli esiti della crisi di Gaza sono bastati per invertire la tendenza. Il grande dilemma, a questo punto, è se la maggioranza relativa sarà conquistata da Kadima di Tzipi Livni o dal Likud di Netanyahu. Nei sondaggi sono testa a testa. Ma con 34 diverse formazioni sulla scheda, il margine degli indecisi è ancora grande, il numero di voti dispersi corre il rischio di essere molto alto e anche una piccola differenza può essere importante”. “Nel sistema israeliano – continua Della Pergola - conquistare la maggioranza relativa non significa infatti solo aver raccolto più voti dei concorrenti, ma anche assicurarsi automaticamente il mandato di comporre la nuova coalizione di governo. Molto probabilmente Netanyahu, se riuscirà ad arrivare primo, potrà decidere se formare una coalizione tutta di destra o invece una grande coalizione che comprenda più formazioni compresa i centristi di Kadima, o addirittura ancora più allargata”.
Ma in quale quadro generale l'elettore israeliano farà le proprie scelte? “La crisi di Gaza – riprende Della Pergola – ha suscitato una forte solidarietà interna e un'importante intesa sostanziale anche sul fronte internazionale. Ci sono molti dati che lasciano intendere come la società israeliana abbia reagito prontamente e in maniera unitaria (salvo la posizione di frange estremamente minoritarie) a una situazione molto delicata. Vorrei solo ricordare che al momento del richiamo dei riservisti nelle scorse settimane il tasso di presentazione immediata per prendere servizio ha toccato il 120%”.
Esiste però anche un rovescio della medaglia. “Certo – aggiunge Della Pergola – il risvolto negativo è che l'emergenza sicurezza fa ombra al discorso politico. I palestinesi non si sono dimostrati in grado di costruire una società civile e in questo modo fanno il loro stesso male. Ma ciò che è più grave è che la loro incapacità di generare una società civile danneggia di riflesso la società civile israeliana”. E questo basta per giustificare il pessimismo? “No, direi che ancora una volta la storia recentissima ha dimostrato che chi aveva voluto intendere Israele come un fenomeno artificioso e temporaneo ha visto la propria visione chiaramente smentita dai fatti. Israele è una realtà molto solida, sta qui per rimanere. Bisogna che i nemici dello Stato ebraico se ne facciano una ragione”.
CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Lieberman eroe dei giovani - Nei licei " vince " la sua destra "
TEL AVIV — Se domani si votasse nei licei, Avigdor Lieberman sarebbe primo ministro. L'ex buttafuori (in una discoteca moldava) e scarica-valigie all'aeroporto si presenta quasi sempre in giacca e cravatta, ha l'aria del burocrate e poco carisma — dicono gli avversari. Quando indossa i jeans, sono lisciati dal ferro da stiro. Eppure ha vinto le finte elezioni organizzate in dieci scuole israeliane.
Per agguantare i giovani e conquistare le loro preferenze di protesta (tre anni fa sono andate al partito dei Pensionati, dopo la sponsorizzazione del duo canoro Datz e Datza), a Tzipi Livni è toccato mettere le cuffie in testa e salire sul palco del deejay, nel club Haoman 17 a Tel Aviv. Benjamin Netanyahu ha costruito la campagna attraverso Internet, tra YouTube e Facebook. Ad Avigdor Lieberman è bastato inventarsi uno slogan («niente lealtà, niente cittadinanza») che spaventa i professori di educazione civica, ma sembra esaltare i neo diciottenni che si preparano a partire per il servizio militare.
«La dedizione al Paese è fondamentale per loro. Stanno per indossare la divisa e l'onore nazionale diventa importante». Anche Alex Mil-ler, come il suo capo, è immigrato dall'ex Unione Sovietica ed è il più giovane parlamentare mai entrato alla Knesset (a 28 anni). A lui, Lieberman ha affidato le operazioni di Israel Beiteinu sul fronte della gioventù. «Vogliono messaggi semplici — spiega Uzi Landau, che invece è immigrato dal Likud — e sono stufi dei continui zigzag degli altri candidati. La nostra posizione è chiara». Chiara e controversa: il programma del partito invoca l'espulsione per gli arabi israeliani che non dimostrino fedeltà allo Stato ebraico.
Ai comizi di queste settimane, il pop russo si mescola con Hatikva, l'inno nazionale, cantato con l'aggressività di un coro da stadio. «Quando urliamo "morte agli arabi" — racconta Edan Ivanov, sostenitore di 18 anni, ad Haaretz — intendiamo "morte a chi aiuta i terroristi" ». Danny Hershtal è arrivato nel 2002 dal Canada e ha sempre lavorato per Lieberman. Se i sondaggi si sbagliano e ha ragione il suo condottiero, potrebbe riuscire a diventare deputato: è il numero 21 della lista. I rilevamenti danno tra i 15 e i 18 seggi al partito, Lieberman è convinto di poterne ottenere 30. «La generazione cresciuta dopo Oslo ha capito che la formula terra per pace non ha portato la sicurezza. Cercano un leader che abbia un approccio completamente diverso».
Hershtal vive ad Haifa, considerata il simbolo della coesistenza, 275 mila abitanti, tra loro 30 mila arabi. Dice: «La nostra proposta non è razzista, la richiesta di lealtà verso Israele permette loro di essere più integrati, di sentirsi parte dello Stato».
Durante i ventidue giorni di conflitto a Gaza, Alex Miller ha portato queste idee nei licei che ha visitato. «Chiunque appoggi i nostri nemici non può avere gli stessi diritti », ha proclamato in una scuola di Tel Aviv. I professori hanno protestato e hanno chiesto di poter parlare agli studenti. «Ho detto che se qualcuno ripeteva le stesse formule in classe lo bocciavo», racconta Moshe Slansky. «E a Miller ho spiegato che legare i diritti dei cittadini ai doveri rischia di incrinare i principi democratici. Noi insegniamo che lo Stato deve garantire la libertà di espressione e che l'autorità ha dei limiti».
Lieberman si è preso del «fascista » da Ahmed Tibi, parlamentare arabo, ed è riuscito a far infuriare anche Ovadia Yosef, capo spirituale dello Shas. Il partito ultraortodosso teme le battaglie laiche (come quella per i matrimoni civili) che vogliono soddisfare l'elettorato «russo». «Chi vota per lui rafforza Satana», ha detto il rabbino nel sermone settimanale.
La REPUBBLICA - Alberto Stabile : " Israele, la Livni prova a fermare l'ultradestra ".
Stabile sostiene che con l'operazione Piombo fuso il governo israeliano avrebbe di fatto aiutato il nazionalista Lieberman a ottenere consensi fra gli elettori, "determinando un riflusso verso una retorica del «pugno di ferro», della «lezione», degli «arabi capiscono solo il linguaggio della forza» "
Si dovrebbe ricordare che Hamas che minaccia realmente Israele,e che, altrettanto reale è la necessità di Israele di difendersi.
Sono questi fatti, non la retorica a favorire i partiti che pongono la sicurezza al centro del loro programma politico. D'altro canto, non si può valutare l'opportunità di un'operazione militare difensiva in base ai suoi supposti effetti elettorali. A meno di non credere che per gli israeliani sia meglio essere distrutti che correre il rischio di diventare eccessivamente "nazional
GERUSALEMME - Gomito a gomito, come ciclisti in volata, Tzipi Livni e Bibi Netanyahu, vale a dire il volto nuovo per definizione della politica israeliana e quello, logorato dal lungo pendolare tra governo e opposizione, del leader conservatore, lotteranno fino all´ultimo voto per conquistare la poltrona di primo ministro. La distanza che separava i rispettivi partiti, Kadima (centro) e il Likud (destra), s´è andata assottigliando. Ma il voto di domani potrebbe produrre una novità destinata a complicare la vittoria sia dell´uno che dell´altro: l´ascesa vertiginosa, almeno nei sondaggi, di Avigdor Lieberman e del suo Israel Beitenu (la nostra casa Israele), formazione nazionalista e antiaraba che a molti appare come il frutto di un´ideologia razzista e autoritaria.
Dovessero le urne confermare le previsioni, la scena politica risulterebbe dominata da tre forze più o meno equivalenti, ciascuna intorno al 20-25 per cento: Kadima, Likud e Israel Beitenu, con i laburisti di Barak condannati a fare da ruota di scorta di qualsiasi maggioranza. Il che significherebbe l´impossibilità di un governo stabile e di una Knesset sottratta al gioco dei ricatti incrociati. In parole povere, ha scritto un profondo conoscitore della materia come l´editorialista di Yediot Ahronot Nahum Barnea, a guidare la politica israeliana non sarebbe una troika ma «il triangolo delle Bermude».
Elezioni all´insegna dell´incertezza, dunque, sotto ogni punto di vista. Per cominciare, l´incertezza degli elettori che in misura superiore al 15 per cento sembrano aver rinviato alle ultime ore la propria scelta.
Incertezza dei programmi, in secondo luogo. Una cosa è sempre stata chiara nelle elezioni israeliane: la cosiddetta posta in gioco. Nel '92 si sapeva che se avesse vinto il Partito laburista, Rabin avrebbe tentato la via dell´accordo con Arafat. Cosa che è puntualmente successa. Nel '96 si poteva facilmente supporre che se avesse vinto Netanyahu, contro Peres, il processo di pace sarebbe prima o poi entrato in crisi. Oggi, la questione principale, il conflitto e i modi per risolverlo, è rimasta ai margini. Netanyahu ha fatto ricorso alla vecchia idea di assicurare ai palestinesi non i loro diritti nazionali ma «la pace economica», come se lo stomaco, o il portafogli, potessero sostituire la testa e l´anima. Tzipi Livni, che pure ha avuto un ruolo guida nel negoziato seguito alla Conferenza di Annapolis, è stata la sola a parlare di pace, ma in termini generici: «C´è una colomba alla finestra. Dipende da noi se farla entrare o respingerla». E su quest´immagine si sono accaniti gli avversari. Barak: «Le acque (del diluvio universale) non si sono ancora ritirate. Non c´è nessuna colomba all´orizzonte»; Netanyahu: se vince Kadima ci saranno altri ritiri, e allora «non vedremo volare nessuna colomba in cielo ma razzi» (contro Israele).
Un clima teso, a cui non contribuiscono le difficoltà del negoziato per il cessate il fuoco con Hamas. Trattativa che ieri si è arricchita di un nuovo capitolo: secondo il giornale arabo Al Hayat, infatti, sarebbe imminente la liberazione del caporale Shalit, in cambio di quella del leader palestinese in carcere Marwan Barghouti.
In definitiva, è stata proprio l´operazione contro Hamas a Gaza a dare il tono alla campagna elettorale, che s´è svegliata soltanto negli ultimi giorni, determinando un riflusso verso una retorica del «pugno di ferro», della «lezione», degli «arabi capiscono solo il linguaggio della forza» cui quasi nessuno ha voluto sottrarsi. E ovviamente è stato Lieberman a trarne il maggior vantaggio, con il suo modo di considerare gli arabi israeliani alla stregua di «una minaccia interna», persino più grave di quella esterna rappresentata dall´Iran, Hamas ed Hezbollah. Con la sua pretesa, destinata ad un pubblico dal palato facile, di sottoporre gli stessi cittadini arabo-israeliani al giuramento di fedeltà allo stato ebraico, pena la perdita della cittadinanza, e con la sua proposta di trasferire sotto l´autorità palestinese una parte della Galilea, quella abitata in maggioranza da arabi, in cambio di alcuni insediamenti ebraici nei Territori.
Sogna persino di arrivare a 30 seggi, il leader di Israel Beitenu. Dovrà forse accontentarsi di meno. Comunque sarà lui l´ago della bilancia, il "King maker", per citare ancora Barnea, «nelle elezioni più a destra della storia d´Israele».
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Viaggio con Lieberman, l'uomo forte che spacca Israele ".
Udg prima presenta Lieberman come un fascista, citando le sue dichiarazioni più eclatanti, poi si precipita a riferire quanto consenso stia raccogliendo fra i cittadini ebrei-israeliani, descrivendo la folla che lo acclama. . Secondo Udg non è più Hamas che vuole distruggere Israele, ma Israele che vuole distruggere i palestinesi. In definitiva, suggerisce u.d.g. Lieberman è un criminale e gli israeliani, che lo voteranno, anche.
Sale sul palco accompagnato da un uragano di applausi. Poi il silenzio. La folla pende dalle sue labbra. E lui gioca con la folla. A un Paese in trincea, insicuro, dispensa le sue certezze. «Il pericolo è esterno. ma anche interno. E quest’ultimo è il più grave». Volto impassibile, forte accento russo, l'ultra-nazionalista Avigdor Lieberman, 51 anni, osserva con uno sguardo compiaciuto la sala gremita di centinaia di fan israeliani. Lo ascoltano attentamente mentre parla di Hamas che «a Gaza deve cadere». Lo sommergono di applausi quando denuncia l’«illusione» del processo di pace. È un crescendo di evviva, di osanna, che raggiunge l’apice quando Lieberman si scaglia contro questi arabi-israeliani che «sostengono il terrorismo» e non sono «fedeli» allo Stato «sionista ed ebraico». Alla vigilia del voto, il leader del partito Israel Beitenu (IB, Israele Casa Nostra)) è sereno, sicuro di sé. A tenere a bada i giornalisti ci pensa Arthur Finkelstein, passaporto americano, la mente della campagna elettorale di Lieberman. Gli ultimi rilevamenti, alla vigilia del voto, attribuiscono a Israel Beitenu tra i 19 e i 20 seggi contro gli attuali 11. Un risultato senza precedenti che farebbe del partito di Lieberman la terza forza politica del Paese. Cronaca di una giornata con Avigdor, che ha i suoi momenti topici in un comizio nella sala delle conferenze del centro commerciale di Kyriat Motskin (nord d’Israele), e in un meeting a Haifa.
Via i traditori. A Kiryat Motskin il servizio d’ordine fa fatica a liberare il palco dall’assalto di fotografi e cameramen. La ressa è indescrivibile, a conferma che del fenomeno Lieberman. «Senza lealtà, non c'è cittadinanza!», esordisce il leader assoluto, applaudito dal pubblico, che riprende lo slogan della sua campagne. «Avigdor, re d’Israele», ritma un gruppo di giovani attivisti. Molti hanno delle cuffie per la traduzione simultanea perché parlano solo il russo. Ed è soprattutto nella comunità russa - un milione di persone, il 20% della popolazione d’Israele – che IB trova consenso elettorale e radicamento sociale. Un consenso che ora si è esteso ad altre fasce di scontenti: piccola borghesia, coloni, giovani disimpegnati. In passato, Lieberman ha sostenuto lo scambio di territori abitati da arabo-israeliani, discendenti dei palestinesi in Israele dopo la sua creazione nel 1948 – oggi il 22% della popolazione - contro zone di Giudea e Samaria (il nome biblico della Cisgiordania). Ormai, suo cavallo di battaglia, è la messa al bando dei partiti arabo-israeliani «che appoggiano il terrorismo». Come prova porta una manifestazione, durante la guerra a Gaza, dove la folla brandiva delle bandiere di Hamas. Tacciato di «fascismo» dai suoi critici, Lieberman ribatte che «la linea di separazione non è fra ebrei e arabi ma fra coloro che sostengono il terrorismo e coloro che vi si oppongono». Il leader che «viene dall’Est» non è nuovo a queste uscite «muscolari». Nel 2006 dichiarò che tutti i parlamentari arabi della Knesset che avessero avuto contatti con Hamas avrebbero dovuto essere fucilati come collaborazionisti. Un cameraman israeliano non riesce a trattenersi e commenta a voce bassa: «È una vergogna... Che succede a questo Paese?». La risposta ha provato a darla Naum Barnea, il decano dei giornalisti politici israeliani: «Lieberman non è reale. È reale – dice - il panico che lo circonda».
Al termine del meeting, Indira Indilevitch, 59 anni, originaria della Moldavia come Lieberman, è entusiasta. «È l'unico ad avere una vera linea politica», commenta. Razzista, il leader d'estrema destra? «No! È giusto, leale, ha una grande personalità», aggiunge, scandalizzata per il solo fatto che qualcuno l’avesse potuto pensare.
Guerra a Hamas. Anche Moshe Malka, un pensionato di 67 anni che ha sempre votato Likud, ne è incantato. «E’ eccezionale. Dice quello che pensa». Afferma estasiato. «Sono certo che un giorno sarà primo ministro», prosegue. Nell’attesa «gli si deve affidare un ministero legato alla sicurezza». Yehuda Abraham, un meccanico di 52 anni, che ha sempre votato per i laburisti, questa volta vede un «uomo forte» per il Paese. «I russi, la forza e l’ordine la conoscono», proclama deciso, prima di abbracciare il suo idolo. Riusciamo ad avvicinare Lieberman. «C’è chi l’accusa di essere un pericolo per la democrazia d’Israele…», gli chiediamo. Senza scomporsi, il leader dell’ultradestra ribatte: «Potrei risponderle semplicemente che sono accuse false, strumentali. Ma vorrei essere chiaro fino in fondo. Io sono a favore della democrazia, ma se essa entra in conflitto con i valori ebraici, questi ultimi vengono prima di ogni altra cosa». L’Israele laica e sostenitrice del dialogo ha paura di Lei, insistiamo. «Gli unici che devono temermi sono i nemici di Eretz Israel (la Terra d’Israele, ndr.). Io non sono uno che porge l’altra guancia… I nostri nemici comprendono solo il linguaggio della forza, con me al governo lo impareranno bene», taglia corto Lieberman. Il tempo stringe. I suoi collaboratori lo spingono nella Mercedes corazzata che a gran velocità si dirige verso Haifa, rincorsa dalle vetture messe a disposizione dei giornalisti al seguito.
Ad attenderlo a Haifa c’è una folla plaudente. «Ogni meeeting è così», dice il guru Finkelstein, mentre ci mostra un sondaggio concentrato in 10 scuole superiori israeliane, fra studenti d'ogni origine e ceto, dal quale emerge che per i diciottenni IB è già oggi il primo partito del Paese. Ad Haifa, città del dialogo fra ebrei e arabi israeliani, Lieberman preferisce puntare sulla guerra di Gaza. Va dritto al cuore del problema. E dispensa le sue verità senza giri di parole. «Con il terrorismo non ci può essere tregua ma solo una vittoria definitiva», scandisce il leader di Israel Beitenu. «Occorre abbattere al più presto il regime di Hamas a Gaza. Quando noi saremo al governo, non ci sarà alcuna tregua con Hamastan». Come risolvere la partita, Lieberman lo aveva spiegato, nel vivo dell’operazione Piombo Fuso, agli studenti dell’Università Bar-Illan di Tel Aviv: «Gaza dovrebbe essere cancellata dalle carte geografiche. Hamas si merita lo stesso trattamento che ebbero nella seconda Guerra mondiale i giapponesi. Lanciamo due bombe nucleari come quelle di Hiroshima e Nagasaky, tanto Israele ne ha 400». Da Haifa, rivolto ai dirigenti di Hamas, Lieberman consiglia loro di rilasciare al più presto e senza condizioni Gilad Shalit, il soldato israeliano prigioniero a Gaza dal giugno 2006. «Noi non imploreremo affatto di scambiarlo con centinaia di terroristi palestinesi», promette Lieberman ai suoi sostenitori, polemizzando con i «cedimenti» di Ehud Olmert. «Che sappia Hamas che se Shalit non torna sano e salvo, nessuno dei suoi dirigenti sarà più salvo. Pertanto conviene loro liberarlo al più presto», avverte Lieberman. La folla impazzisce, lo acclama come premier.
In contrasto con la demonizzazione di Lieberman operata da u.dg.
Gabriel Bertinetto, sempre sull’ UNITA' , a pagina 25, "Khatami torna in campo e si candida, sarà lui a sfidare Ahmadinejad" presenta positivamente il candidato presidenziale iraniano Kathami.
In realtà, il "riformista" Khatami nega il diritto all'esistenza di Israele. Sotto la sua presidenza il dissenso degli studenti è stato represso, sono continuati i finanziamenti al terrorismo e il programma nucleare segreto.
Il GIORNO fornisce un ritratto equilibrato dei quattro principali candidati delle elezioni di domani nell'articolo " Israele al voto fra molte incognite "di Lorenzo Bianchi a pag. 18
Il MESSAGGERO - con l'articolo " Israele al voto " Eric Salerno accusa il futuro governo, prima ancora che sia eletto, di avere un leader "debole e una coalizione incapace di decisioni importanti" . A "dimostrazione" della sua tesi mette in fondo all'articolo un riassunto delle posizioni contrastanti dei quattro principali candidati di domani per quanto riguarda i rapporti con i palestinesi.
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