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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - L'Unità - Il Riformista - Avvenire Rassegna Stampa
08.02.2009 Martedì si vota in Israele
Il commento di Fiamma Nirenstein e articoli da Unità, Riformista e Avvenire

Testata:Il Giornale - L'Unità - Il Riformista - Avvenire
Autore: Fiamma Nirenstein - Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Israele al voto, martedì si sceglie: destra favorita nel clima di tensione»

Elezioni in Israele : il commento di Fiamma Nirenstein sul GIORNALE, l'intervista a Benyamin Netanyahu su L'UNITA', e alcune brevi da Il RIFORMISTAAVVENIRE.

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Israele al voto, martedì si sceglie: destra favorita nel clima di tensione "

Gerusalemme - Ore di silenzio e di attesa: martedì Israele vota; il caldo, la siccità che succhia via il lago Kinneret e chiude i rubinetti, l’eco della guerra di Gaza, le notizie dal Cairo sulla possibile tregua e da Damasco su Gilad Shalit ricordano a ogni istante che in Medio Oriente un voto non è un voto, un Primo ministro non è un Primo ministro. Possono essere la chiave di volta della vita o della morte, la lampada di Aladino che funziona o si inceppa di fronte al pericolo genocida iraniano, al terrorismo di Hamas e degli hezbollah, alla disapprovazione del mondo quando Israele si difende. Per questo c’è tanta incertezza e trepidazione e tutto può accadere: affidare la propria vita è una scelta incerta soprattutto quando i programmi dei partiti, sovrastati dalla realtà circostante, promettono tutti un atteggiamento deciso, un piano per uscire dalla trappola dell’odio jihadista e della guerra. Il Likud di Bibi Netanyahu è dato fra i 26 e i 28 seggi; a ruota segue Kadima di Tzipi Livni, fra i 23 e i 26. Poi fra la sorpresa generale, invece del Partito laburista di Ehud Barak, che al quarto posto conta fino a 16 seggi, troviamo Avigdor Lieberman, detto Yvette, con il suo Israel Beitenu, fra i 17 e i 19. Poi vengono il partito religioso Shas con 10 seggi e la sinistra radicale del Meretz, con 10. Poi i pensionati, i partiti religiosi nazionalisti, i partiti arabi. Una coalizione di destra potrebbe arrivare a 65 seggi, e una di sinistra a 55, anche se Netanyahu ripete di volere un governo di unità nazionale.
I quattro partiti principali non sono lontano l’uno dall’altro, anche se negli ultimi giorni si sono sparati a palle incatenate. In economia, Bibi sostiene una linea più liberista, e Barak lo accusa di rispecchiare «il capitalismo più spietato». Gli altri sono per un moderato welfare state, compreso Yvette Lieberman, qui più a sinistra di Tzipi Livni. Ma passiamo subito alla linea strategica e diplomatica che interessa tutto il mondo: l’opinione pubblica internazionale nella prospettiva della vittoria del Likud già disegna una colpa collettiva “di destra” nei confronti del processo di pace che tutti desiderano. Netanyahu pone al centro la questione dell’Iran, spera in sanzioni più serie che costringano gli ayatollah a bloccare le strutture atomiche, precisa che Israele comunque non ne permetterà l’acquisizione. Vuole che Hamas lasci il potere. Promette confini sicuri, compresi la valle del Giordano e il deserto della Giudea, però dice che non vuole dominare un singolo palestinese e che vuole arrivare a due Stati senza mettere in pericolo la sicurezza israeliana. Quindi vuole aiutare l’economia dei palestinesi di Abu Mazen perché creino lo sfondo credibile per un trattato. Deciderà solo quando sarà sicuro delle intenzioni palestinesi di lasciare gli insediamenti. È deciso a combattere il terrorismo. Gerusalemme, non verrà divisa.
Tzipi Livni vuole creare un fronte internazionale devoto allo scontro economico e diplomatico con l’Iran e deciso a detronizzare Hamas; con i palestinesi, è pronta a rinunce in tempi brevi. Crede negli interessi comuni con i Paesi arabi moderati dell’area. Vuole distruggere il potere politico di Hamas. Gli insediamenti: anche lei dopo l’esperienza di Camp David e di Gaza non ha fretta di smantellare, ma si tiene più aperta di Netanyahu. Crede nella prospettiva della pace con la Siria; da ministra degli Esteri, è favorevole alla mano americana ed europea nell’area, come si è visto dalla sua adesione al processo di Annapolis. Yvette Lieberman, la sorpresa di queste elezioni, viene attaccato da ogni parte con l’accusa di essere razzista, violento, prosecutore del rabbino razzista Kahane. Ma Lieberman, che è laico ed esplicitamente a favore del matrimonio civile, respinge ogni accusa. Il suo partito nacque auspicando uno scambio territoriale del Triangolo, dove vive gran parte degli arabi palestinesi, con zone a densità ebraica; ha abbracciato lo slogan «niente lealtà, niente cittadinanza» perché durante la guerra del Libano (dove si ebbero autentici movimenti di solidarietà e di spionaggio a favore degli hezbollah) e durante la guerra di Gaza si è aggravato, con la crescita dell’integralismo islamico, il rifiuto della legittimità stessa dello Stato d’Israele, con manifestazioni di odio. Importante: per lui Israele dovrebbe esser parte dell’Unione europea e della Nato. Ha un programma sociale molto largo nel campo della salute, che deve essere garantita a tutti.
Il Labor di Ehud Barak, il soldato più decorato di Israele, vuole l’isolamento internazionale dell’Iran, combatterà il terrore con molta forza, vede l’iniziativa saudita come una base di negoziato per una pace regionale da raggiungere entro due anni. Vuole trattare con la Siria, che deve però rivedere i rapporti con l’Iran e il terrore ospite a Damasco.
Infine: per tutti in questo momento è in prima linea il ritorno a casa di Gilad Shalit: le ultime notizie lo danno probabile, e nessuno si tirerà indietro di fronte alle durissime condizioni di Hamas. Perché? Perché non c’è famiglia israeliana, in questa società che combatte ma mette la vita al primo posto, che potrebbe altrimenti accettare la loro leadership.

L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Non tratto con Hamas. Annienterò i terroristi di Gaza "

Benyamin «Bibi» Netanyahu, leader del Likud. Fino a pochi giorni fa, sondaggi e analisti politici concordavano nell'indicarlo come il sicuro vincitore delle elezioni e futuro primo ministro d’Israele. Ma a tre giorni dal voto una ripresa del partito Kadima della ministra degli Esteri Tzipi Livni e la perdita di voti del Likud a favore di Israel Beitenu, il partito della destra radicale di Avigdor Lieberman, rendono meno sicuro il trionfo di «Bibi». Netanyahu sa che ogni voto in più, ogni seggio in più (gli ultimi rilevamenti assegnano al Likud 27 seggi) può essere decisivo per uscire da queste elezioni con un mandato chiaro che gli permetta di imporre in un nuovo governo, una linea politica chiara. Una linea che Netanyahu illustra in questa intervista a l'Unità.
Gli ultimi sondaggi danno il suo partito, il Likud, ancora in testa, ma in flessione. Come spiega questo dato?
«Non c'è dubbio che l'orientamento dell'opinione pubblica israeliana propenda per le posizioni che io rappresento. Ci sono in questi ultimi giorni degli spostamenti all'interno della destra, legati alla convinzione che il ruolo di primo ministro mi sia assicurato in qualità di capo del partito maggiore e dell'area politica che ha, come confermano tutti i sondaggi, una solida maggioranza. Molti pensano quindi di poter indirizzare il loro voto a partiti della stessa area ma più settoriali. Per questo in questi giorni sto insistendo sul messaggio in cui invito a far convergere il proprio voto sul Likud, che è il partito che deve dare il tono al prossimo governo, perché è l'unico ad avere una visione d'insieme del futuro d'Israele».
E quale è questo futuro secondo Netanyahu?
«È un futuro molto complesso che vede importantissime sfide sia all'interno del Paese - per assicurare la stabilità e lo sviluppo economico, sociale e culturale di Israele – ma anche quelle che vengono dall'esterno – lo sradicamento della base del terrore che si è insediata a Gaza, a poche centinaia di metri dal nostro confine, e la neutralizzazione del pericolo nucleare proveniente dall'Iran. Con Hamas nessuna trattativa è possibile. Continuano a lanciare missili contro i nostri civili, e si nascondono dietro i loro, e dunque bisogna che di quel regime ci sbarazziamo una volta per tutte. E i primi a gioirne, oltre che i cittadini israeliani, sarebbero i leader arabi moderati che vedono con terrore un rafforzamento del fondamentalismo islamico nella regione».
Ma Lei si trova oggi rivali all'interno della destra, che la tirano in direzioni molto più estreme, come la richiesta del leader di Israel Beitenu, Avigdor Lieberman che la cittadinanza israeliana implichi l'obbligo di dichiarare fedeltà allo Stato ebraico. Un modo per dire che gli arabi possono abitare qui ma non partecipare alla vita pubblica e godere dei diritti di cittadini “normali”.
«Indubbiamente Israele si trova in una situazione particolare e delicata. Quello che spesso in altri Paesi si limita a un confronto accademico su principi della democrazia, qui assume aspetti che toccano il quotidiano. Non credo che si possa tacciare di illegittimità l'idea di richiedere ai cittadini di uno Stato lealtà nei confronti dello stesso. Il problema non sta nel principio ma nei suoi confini, laddove il confine della lealtà deve corrispondere ad una chiara e giusta linea di legalità. Discutere all'interno dei limiti della democrazia è legittimo; chi invece collabora con un'organizzazione che ha come principale scopo quello di distruggere lo Stato dal quale si pretende la cittadinanza in questione e i relativi diritti, non dovrebbe stupirsi e scandalizzarsi se verrà posto al di fuori della legalità».
Ma la destra israeliana non sembra lasciare spazio alle speranze di una soluzione del conflitto con i palestinesi. Lei ha promesso che non ci sarà più alcuna evacuazione di territori e di colonie.
«È un impegno a cui non intendo sottrarmi se sarò chiamato di nuovo alla guida del Paese. Possiamo ben vedere a cosa ha portato la nostra uscita da Gaza dove – è bene ricordarlo – non è rimasto nessun israeliano, né civile e né militare. In meno di 2 anni ci siamo trovati come vicini quello che noi chiamiamo Hamastan. Quasi un milione di cittadini israeliani ha vissuto per otto anni sotto il tiro indiscriminato di razzi sulle proprie case, scuole, ospedali. No, mi creda, non è questo il modo di assicurare un futuro migliore ai due popoli. Si deve cercare un nuovo approccio insieme alle voci moderate fra i palestinesi e insieme ai Paesi che vogliono dare il loro contributo alla ricerca di una vera pace».
E quale sarebbe questo approccio?
«I colloqui avvenuti nell'ultimo anno e iniziati con la conferenza di ad Annapolis – come d'altra parte tutte le precedenti iniziative - non hanno portato a nulla di concreto perché non riconoscono, o non vogliono riconoscere, un dato di base: i palestinesi non sono oggi ancora pronti al compromesso di portata storica che metterà fine al conflitto. La destra israeliana ha le idee chiare sia su quello che possiamo concedere che su quello che mai concederemo e in generale Israele ha percorso un lungo cammino ed è oggi sostanzialmente giunta a definire il massimo delle sue concessioni. I palestinesi sono ancora molto lontani da tutto questo. Neppure all'interno di sé stessi sono capaci di definire l'obiettivo minimo e il massimo delle concessioni a cui sono pronti. D'altronde la congiuntura è favorevole. Hamas ha subito un duro colpo dall'azione militare a Gaza, molti Paesi della comunità internazionale iniziano a capire meglio i pericoli derivanti dal rafforzamento delle organizzazioni fondamentaliste e soprattutto negli Usa c'è una nuova amministrazione che sembra volersi seriamente impegnare nella regione. Israele e la Comunità internazionale possono aiutare i palestinesi solo rafforzando la loro parte moderata – il presidente Abu Mazen e il primo ministro Fayad. Possono e devono sostenere la loro economia, far crescere la volontà di vivere indebolendo il fanatismo, il fondamentalismo e i motivi di disperazione che spingono le persone a prendere la strada del terrorismo. Questa non è ancora la soluzione, ma è la premessa necessaria poiché fin quando non sarà il popolo palestinese a voler la pace, nessuno potrà imporgliela».
E sul fronte iraniano?
«La minaccia nucleare iraniana non riguarda solo Israele e l'azione deve venire dalla comunità internazionale. Ma dato che Israele è il Paese contro il quale questa minaccia viene esplicitamente indirizzata, posso solo dire che se sarò eletto come primo ministro, la mia politica sarà tesa a fare in modo che l'Iran non giunga mai all'atomica».
C’è chi sostiene che un governo di destra da Lei presieduto potrebbe entrare in rotta di collisione con la nuova presidenza Usa.
«Chi lo dice s’illude. Il presidente Obama comprende molto bene le nostre sofferenze come la crudeltà dei nostri nemici. Da primo ministro rafforzerei l’amicizia con l’America. Nella guerra al terrorismo, come nella ricerca di una pace nella sicurezza, siamo dalla stessa parte della barricata».

Il RIFORMISTA : Peppino Caldarola traccia un ritratto di Tzipi Livni, Fabio Nicolucci analizza la crisi dei laburisti e l'egemonia della destra, mentre Anna Momigliano intervista Yair Lapid ( figlio di Tommy ) , opinion maker molto seguito in Israele, che descrive la deriva antidemocratica di Israel Beitenu.

AVVENIRE : dedica alle elezioni l'intera pag. 11. Giorgio Ferrari ne fa la cronaca e intervista l'analista Nahum Barnea, anche lui molto critico nei confronti di Avigdor Lieberman. Seguovo i ritratti dei quattro principali candidati.

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