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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio.Corriere della Sera-La Repubblica Rassegna Stampa
07.02.2009 Elezioni in Israele, Foglio e Corriere informano,Repubblica no.
una buona occasione per scrivere a Bernardo Valli

Testata:Il Foglio.Corriere della Sera-La Repubblica
Autore: La redazione-Francesco Battistini-Bernardo Valli
Titolo: «Vari: Campagna elettorale in Israele»

Sulle prossime elezioni in Israele del 10 febrraio, riprendiamo tre articoli, dal FOGLIO, CORRIERE della SERA e REPUBBLICA. Mentre i primi due analizzano accuratamente la situazione che si è venuta a creare a destra  con i consensi che sembrano andare a Avigdor Lieberman di Israel Beitenu, Bernardo Valli su REPUBBLICA riconferma l'atteggiamento pregiudizialmente ostile del quotidiano diretto da Ezio Mauro. Per Valli la sicurezza  è un "assillo" che condiziona gli israeliani, che hanno un " profondo senso di vittimizzazione, con conseguente spirito bellicoso". Gli arabi poi, sono "estranei alla tragedia europea", il che è vero, ma solo perchè il nazismo ha perso, altrimenti gli ebrei di Palestina li avrebbero sterminati insieme all' alleato tedesco. Ma Valli mica lo scrive, anzi, scrive che " fra i due campi prevale l'incomprensione", come se Israele dovesse essere "comprensivo" verso Hamas che vuole distruggerlo. Sul "fallimento di Oslo" Valli si guarda bene dal dire che fu Arafat a mandarlo in aria, scatenando la seconda intifada.  Cita poi Lieberman dicendo che vorrebbe vedere " espulsi" gli arabi israeliani, quando invece il leader di Israel Beitenu propone una dichiarazione di fedeltà allo Stato, cosa ben diversa. Tutto l'articolo, com'è uso fare Valli, è impregnato da pregiudiziale ostilità nei confronti dello Stato ebraico. Qualcuno si chiederà, ma gli arabi, perchè Valli non esamina criticamente anche loro ? Già, perchè ? E' una buona domanda che i lettori di IC possono rivolgergli scrivendo a REPUBBLICA. Ecco i tre articoli:

Il Foglio- " Perchè la campagna di Netanyahu non è più così tranquilla "

Gerusalemme. Il messaggio della campagna elettorale è uno e semplice: “Sicurezza ed economia”. Così è scritto dappertutto, sugli autobus, sui cartelloni che tappezzano le città israeliane, accanto alla faccia calma di Benjamin Netanyahu. La sicurezza è una necessità per il politico che da anni insiste sulla minaccia dell’Iran atomico; l’economia una priorità per l’uomo ritenuto tra i migliori ministri delle Finanze in decenni. Il risultato è il programma del candidato premier della destra del Likud: no a nuove concessioni territoriali ai palestinesi, sì a un graduale piano economico, anche per loro: “Per poter parlare di soluzioni politiche del conflitto con i palestinesi – spiega al Foglio l’ex ambasciatore israeliano a Washington Zalman Shoval, capo dell’ufficio estero del partito – dobbiamo creare una prosperità economica in Cisgiordania”. Bibi Netanyahu è sempre apparso tranquillo in questi giorni di corta campagna. La guerra a Gaza ha dato poco tempo agli altri candidati per prepararsi, ma non a lui, l’ex premier che aspetta da anni e con pazienza queste elezioni, sperando nel riscatto alle urne. I mass media internazionali definiscono “noiosa” la gara elettorale, sottotono nonostante l’aspro dibattito interno sugli esiti dell’operazione Piombo fuso. I giornali israeliani l’hanno invece ribattezzata “Eccitante” ieri, dopo la pubblicazione dell’ultimo sondaggio prima del voto. Il distacco diminuisce: il Likud resta il movimento favorito ma il centro di Kadima, della rivale Tzipi Livni, riacquista terreno. Sono soltanto due, ora, i seggi di differenza. Forse anche per questo, temendo che i numeri potessero improvvisamente cambiare, Netanyahu ha aumentato gli incontri con la popolazione negli ultimi giorni e ha preso la strada. L’accusa rivolta dagli attivisti sul terreno alla leadership del partito a Tel Aviv è che la campagna sia stata troppo virtuale. Bibi, il politico che sfoggia un inglese perfetto con pesante accento americano, come Barak e Livni ha saputo ispirarsi alla celebre corsa del presidente americano Barack Obama. Il New York Times ha addirittura dedicato un articolo a quanto il sito del politico israeliano sia simile a quello della campagna democratica americana: le foto, gli appuntamenti, i link a You Tube, Facebook, Twitter... Negli uffici elettorali del Likud si aggiornano profili online e si prendono appuntamenti con i principali mass media ma, accusano alcuni militanti intervistati da Haaretz, non si consumano abbastanza le suole delle scarpe. Netanyahu ha deciso di viaggiare soltanto negli ultimi giorni di campagna incrociando sulla strada il collega Avigdor Lieberman, della destra di Yisrael Beitenu, Israele casa nostra. Il politico rivelazione delle scorse elezioni e quasi sicuramente grande star di queste (18 seggi nell’ultimo sondaggio, tre in più rispetto alla settimana scorsa), non ha risparmiato spostamenti e incontricon la popolazione e gli esperti israeliani avvertono: il Likud perde voti a favore del controverso Lieberman, che incentra la sua campagna su un programma radicale: “Cittadinanza e lealtà” è uno degli slogan con chiaro riferimento alla minoranza araboisraeliana nel paese. La relazione con Obama Yisrael Beitenu, assieme ad altri piccoli partiti religiosi e nazionalisti di ultra destra, è un possibile membro della coalizione di governo che in caso di vittoria Netanyahu dovrà formare. Bibi ha altre tre possibilità: un blocco che accolga i laburisti di Avoda; oppure il centro di Kadima; oppure sia l’uno sia l’altro. Certo è che a dare la forma al prossimo esecutivo sarà sicuramente Yisrael Beitenu, che rischia di trasformare i laburisti – per decenni alla guida del paese – nella quarta forza d’Israele. Netanyahu teme l’incognita Lieberman: sposterebbe troppo a destra un governo che lui vorrebbe pendesse verso il centro. Per il Likud la campagna sottobanco è proprio incentrata sugli equilibri interni. Fuori è una lotta contro Ehud Barak e Tzipi Livni, in casa è una battaglia contro le frange più estreme del partito. “Il principe ribelle”, lo chiama Gershon Gorenberg, scrittore, esperto di politica israeliana: Moshe Feiglin è il grattacapo di Netanyahu. Un settler religioso, con idee radicali, che anni fa dichiarò pubblicamente che Adolf Hilter era “un genio militare”. Dopo aver tentato la fortuna politica come capo di un piccolo movimento estremo, “ha scelto una nuova strategia – scrive Gorenberg – entrare nel Likud, raccogliere sostenitori, essere un membro di un importante partito della destra e cercare di prenderselo. Lo scorpione gestisce il potere sulla schiena della tigre”. Alle primarie di dicembre Feiglin ha ottenuto il ventesimo posto. Netanyahu e l’establishment più moderato del partitosarlo al trentaseiesimo posto. I sondaggi più favorevoli al Likud danno al partito 35 seggi alla Knesset, il Parlamento israeliano. Molti dei candidati da lui appoggiati sono però in alto nelle liste. E con l’incognita Lieberman già troppo forte, Bibi non ha bisogno di un’ala radicale interna al Likud. Si presenta come leader duro, impegnato nel garantire la sicurezza d’Israele, pronto a usare le maniere forti contro Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano e l’Iran nucleare, ma non può permettersi di trascurare un’immagine di moderazione. Feiglin e la sua cordata sono contro il processo di pace. Poche ore prima che il Likud annunciasse i risultati delle primarie, dal sito Manhigut Yehudit, Jewish Leadership, fazione interna al partito e da lui presieduta, è stato eliminato un articolo scritto anni prima dallo scomodo politico. Il documento raccontava cosa avrebbe fatto se fosse diventato primo ministro: tagliare tutte le forniture di acqua ed elettricità ai Territori palestinesi, ritirare Israele dalle Nazioni Unite e dalle Olimpiadi, trovare una nuova sistemazione nei paesi arabi a tutti i palestinesi. Con politici allineati su tali posizioni all’interno del suo stesso partito sarebbe difficile per Netanyahu mostrare la sua parte dialogante. Kadima non ha perso tempo ad accusare il Likud di aver presentato liste “estremiste” e Tzipi Livni non ha mai smesso durante la campagna di sottolineare come la nuova amministrazione democratica americana non potrebbe mai lavorare con Bibi al processo di pace che Washington auspica. “Netanyahu ha incontrato tre anni fa Obama – ricorda l’ambasciatore Shoval – Il presidente americano intervistato da al Arabiya ha detto che ci vorrà tempo per risolvere il conflitto e dubito che voglia associarsi a un fallimentare processo di Annapolis: sarà aperto a nuove idee come quelle di Netanyahu: il processo non è abbastanza, bisogna prima costruire un’economia palestinese”.

Corriere della Sera - Francesco Battistini : " La destra estrema avanza, Netanyahu perde terreno"

GERUSALEMME — L'altra sera Nahum Barnea, l'opinionista che tredici anni fa intuì per primo Netanyahu e la rinascita della destra, è andato a sentire il nuovo fenomeno che si agita ancora più a destra di Netanyahu: Avigdor Lieberman, il leader d'Yisrael Beitenu che per i sondaggi raddoppierà i voti e forse diventerà il terzo partito d'Israele. «Ha ripetuto che siamo sotto attacco sia interno che esterno; che l'attacco interno, ovvero dagli arabi-israeliani, è ancora più pericoloso; che intende adottare provvedimenti di qualsiasi Stato illuminato e, come ha fatto Zapatero nei Paesi Baschi, mettere al bando i partiti arabi che sostengono il terrorismo; che è ora che Israele la smetta di scusarsi; che solo chi ha fatto il militare può dirsi cittadino israeliano; che la vera minoranza perseguitata in questo Paese, altro che i palestinesi, sono quelli che pagano le tasse... Non ha detto una sola cosa giusta. Ma la gente impazziva, l'applaudiva, l'acclamava come premier. Lieberman non è reale: è reale il panico che lo circonda».
Il panico parla spesso il russo degl'immigrati che guardano Lieberman e vi vedono il loro piccolo Putin, uno che «chiuda i conti con Hamas» e magari renda Gaza ancora più simile a Grozny. Il panico parla con l'affanno di Bibi Netanyahu: superfavorito da tre mesi, d'improvviso la sua destra Likud perde consensi, resta sempre prima (24 seggi), ma con un minimo vantaggio (2-3 seggi) sul Kadima centrista di Tzipi Livni e con un'emorragia di voti che alimenta Yisrael Beitenu (19 seggi). «Attenti — è l'appello di Netanyahu — se votate a destra ma non votate Likud, la destra rischia di perdere». Perché il puzzle appare complesso, con tre partiti più o meno alla pari, e nella più silenziosa campagna degli ultimi anni si ragiona come se il martedì elettorale si fosse già consumato: riuscirà Bibi a fare un governo coi laburisti di Barak (dati al quarto posto), escludendo la scomoda Tzipi?
E riuscirà Tzipi a superare Bibi in volata e a ottenere dal presidente Shimon Peres l'incarico di premier, unica chance per non restare fuori dai giochi, visto che Netanyahu ha già promesso ad altri i ministeri che contano? E riuscirà Lieberman a superare i 20 seggi, a diventare determinante, costringendo Bibi-Tzipi-Barak in un governo d'unità nazionale che rassicuri l'amministrazione Obama? Alchimie. Che non interessano le 34 liste 34 in corsa, perlopiù senza speranza di superare lo sbarramento del 2%.
Che dividono i partiti sui temi eterni — lo Stato ai palestinesi (sì di Kadima e laburisti, no di Likud e Lieberman), la trattativa su Gerusalemme (no di Likud e di Kadima), gli insediamenti (stop per Kadima e laburisti, ok per Likud e Lieberman) — ma finiscono per unire tutti sul tema più caldo: Gaza. Ieri, l'Onu ha deciso di non mandare più aiuti nella Striscia, finché Hamas non restituirà le 400 tonnellate che ha requisito nei depositi Unrwa. Hamas ha negato di aver confiscato i rifornimenti dell'agenzia Onu. Intanto in serata l'aviazione israeliana ha colpito ancora la Striscia, nella zona di Rafah, dopo lanci di razzi contro Israele in mattinata. Non ci sono state vittime.
Dall'estrema destra alla sinistra, il commento è fotocopiato: «Con Hamas non si tratta. Nemmeno sugli aiuti».

La Repubblica - Bernardo Valli: L'incognita Obama sul voto in Israele"

La sorpresa delle elezioni politiche di martedì prossimo potrebbe essere la grande affermazione dell´ultranazionalista Israel Beiteinu (Israele, nostra casa), il quale diventerebbe il terzo partito alla Knesset. Se il 10 febbraio i pronostici si traducessero in risultati concreti, il Labour, lo storico movimento che ha guidato la nascita dello Stato ebraico, verrebbe superato anche dal movimento estremista di Avigdor Lieberman. Il centrista Kadima e il conservatore Likud l´hanno già sorpassato da tempo. Il favorito delle elezioni, Benjamin Netanya-hu, leader del Likud, si è affrettato ad annunciare la partecipazione di Israel Beiteinu al prossimo governo, di cui lui, Netanyahu, dovrebbe essere il primo ministro. Disponendo soltanto di una maggioranza relativa alla Knesset (29 seggi pronosticati su 120), il Likud avrà bisogno di alleati. Ma il partito di Lieberman (15 seggi) non basterà. Entreranno quindi in gara le abituali formazioni religiose. C´è chi non esclude del tutto una coalizione con svariate partecipazioni. Kadima (25 seggi pronosticati) e il Labour (14) dopo lunghe transazioni sfuggirebbero alla tentazione di restare al governo? Tante sono le equazioni che in piena campagna elettorale appaiono impossibili e che poi si rivelano obbligate. La destra sarebbe comunque dominante.In quella direzione è slittata la società israeliana. Una tendenza netta, rivelata dall´appoggio dato all´operazione di Gaza, approvata dalla quasi totalità degli israeliani.
L´effetto Obama potrebbe tuttavia attenuare se non frenare questa tendenza. Gli elettori indecisi (uno su cinque), preoccupati dei rapporti con la superpotenza protettrice, saranno forse tentati dal voto a un uomo politico in grado di dialogare con il nuovo presidente americano. Un presidente senz´altro più aperto al mondo arabo e più che interessato alla questione israelo-palestinese, pur restando un fermo alleato di Israele. A giudicare dai programmi, Lieberman non è l´interlocutore ideale di Barack Obama.
Lieberman non è una novità nella società politica. È da tempo uno dei protagonisti di rilievo e senza dubbio uno dei più rumorosi. Il 51enne di origine moldava è stato capo di gabinetto di Benjamin Netanyahu, tra il ´96 e il ´97, quando il capo del Likud era primo ministro, e in seguito ha fondato il suo partito, Israel Beiteinu, raccogliendo i consensi della comunità russa, forte di più di un milione di persone e caratterizzata da un pesante estremismo di destra. Lieberman è poi stato due volte ministro di Ariel Sharon, prima di raggiungere come incaricato degli affari strategici (questione iraniana) il governo di Ehud Olmert, dal quale ha dato le dimissioni per protestare contro i negoziati di pace con i palestinesi.
Le tendenze della società israeliana, influenzate dall´assillo della sicurezza, pensiero costante acuito dagli avvenimenti ma con radici profonde, sono analizzate con lucidità e senza concessioni dagli stessi esperti israeliani di psicologia politica. È una delle caratteristiche di questo paese, al suo interno democratico, le cui élite intellettuali, superando le passioni, non esitano a studiare razionalmente tutti gli aspetti, anche quelli irrazionali, della loro società. Una di queste numerose analisi contribuisce alla comprensione dell´atmosfera oggi prevalente. Ne sono autori Daniel Bar-Tal, psicologo di fama mondiale dell´Università di Tel Aviv, e Rafi Nets-Zehngut, un avvocato pure lui di Tel Aviv, ritornato all´attività accademica. Si tratta di una tesi (per un dottorato alla Columbia University) sulla memoria collettiva dominante tra gli ebrei israeliani nel conflitto con i palestinesi. Memoria segnata, secondo gli autori, da un forte patriottismo, dalla mentalità di assediato, da un profondo senso di vittimizzazione, dall´insensibilità per la situazione degli avversari, da un conseguente spirito bellicoso.
Questa analisi (severamente criticata se provenisse da non israeliani), può essere applicata, in alcuni punti, anche ai palestinesi e agli arabi in generale. È vero, ad esempio, che, benché estranei alla tragedia europea degli ebrei, rifiutando o stentando a riconoscerla, accettando in sostanza, nella loro stragrande maggioranza, le tesi dei negazionisti della Shoah, essi rinunciano a capire la storia dei loro avversari e quindi a interpretare tanti loro sentimenti e comportamenti. Senza contare il dogma islamista di Hamas, che implica la fine dello Stato ebraico. Insomma in questa vigilia elettorale prevale più che mai nei due campi l´incomprensione.
C´è una linea di divisione tra lo schieramento nazionalista o ultranazionalista (il Likud, Israel Beiteinu, Shas e altri partiti religiosi), e l´insieme delle altre formazioni: centristi, laburisti, sinistra, partiti arabi israeliani (in particolare Kadima, Labur, Meretz). Il primo blocco resta fondamentalmente ostile alla creazione di uno Stato palestinese, come aveva denunciato l´illusione degli accordi di Oslo (1993), grazie ai quali si era arrivati al reciproco riconoscimento di Israele e dell´Olp, e il cui fallimento portò alla Seconda Intifada. Per Lieberman gli stessi arabi israeliani (20% della popolazione) dovrebbero essere suscettibili di espulsione, poiché a suo avviso costituiscono una quinta colonna, oltre che una minaccia demografica, in continua crescita. L´altra famiglia, quella di centro-sinistra al governo, si dichiara invece favorevole alla nascita di uno Stato palestinese. I laburisti e gli ex del Likud (raccolti dal generale Sharon in Kadima) pensano che senza una Palestina non sarà possibile tenere sempre sotto stretto controllo i tre milioni e mezzo di abitanti di Gaza e Cisgiordania. La sinistra (Meretz), come i partiti arabi, sono per il rispetto del diritto all´autodeterminazione dei palestinesi.
Questa diversità è tuttavia, spesso, soltanto apparente. È capitato infatti che un governo Likud accettasse nel ´97 la consegna ai palestinesi di larga parte della città religiosa di Hebron; e che i laburisti moltiplicassero le colonie in Cisgiordania, da loro stessi avviate, e insieme ai centristi di Kadima aumentassero i finanziamenti in loro favore, rendendo poco credibili le trattative con i palestinesi, o le promesse agli americani. Inoltre, per ritornare all´attualità, è il governo di centro-sinistra, presieduto da Olmert che ha promosso l´operazione "piombo fuso" a Gaza, durante la quale sono stati uccisi più di mille palestinesi, in gran parte civili. E il ministro degli esteri di quel governo è Tzipi Livni, candidata centrista di Kadima, e il ministro della difesa è Ehud Barak, candidato laburista. Il problema della sicurezza (analizzato dagli esperti israeliani in psicologia politica) affida ovviamente all´esercito un ruolo decisivo. E l´esercito ritiene necessari i più di seicento posti di blocco israeliani che frantumano la Cisgiordania occupata. Né si vede come, con l´aiuto indispensabile dell´esercito, possano essere sfoltite le colonie di Cisgiordania, in cui sono insediati quasi trecentomila coloni (escludendo dal conto quelli attorno a Gerusalemme). L´effetto Obama dovrebbe essere molto forte per rimuovere queste barriere non soltanto psicologiche.

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