Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Si avvicinano le elezioni in Israele rassegna di quotidiani
Testata:Il Foglio - L'Opinione - L'Unità - Il Riformista Autore: la redazione - Michael Sfaradi - Umberto De Giovannangeli - Anna Momigliano Titolo: «Livni si concentra troppo sul rivale Netanyahu e non vede il pericolo alle spalle, dentro Kadima -Perché Israele vuole più destra - Vincerò la sfida. Con me in Israele finirà il tempo della paura - La sfida. Con me in Israele finirà il tempo della paura»
Da pagina 2 dell'inserto del FOGLIO del 3 febbraio 2009,riportiamo l'articolo "Livni si concentra troppo sul rivale Netanyahu e non vede il pericolo alle spalle, dentro Kadima":
Gerusalemme. L’ossessione di Tzipi Livni si chiama Benjamin Netanyahu, racconta Eretz Nehederet, Nazione meravigliosa, il programma di satira politica che la sera tiene incollati agli schermi della televisione gli israeliani, a pochi giorni dalle elezioni del 10 febbraio. “Bibi ha detto, Bibi ha fatto, Bibi non farà…”, dice muovendosi a scatti l’imitatrice del ministro degli Esteri, in un tailleur nero due taglie più grande, ai piedi enormi scarponi scuri molto poco femminili. Netanyahu è il re nei sondaggi; Livni, il premier che tutti aspettano da anni ma non arriva mai: anche questa volta potrebbe perdere la poltrona. C’è chi sostiene all’interno del suo stesso partito, il centro di Kadima, che non dovrebbe preoccuparsi soltanto del rivale del Likud. Le seconde file del suo stesso movimento scalpitano e indiscrezioni riprese dai giornali israeliani raccontano un malessere interno al partito: deputati insoddisfatti di aver votato alle recenti primarie la signora dei sobborghi bene di Tel Aviv, con un breve passato nel Mossad ma poche credenziali sulla sicurezza, invece del suo antagonista, il ministro dei Trasporti, ex capo di Stato maggiore: “Non ho dubbi: Shaul Mofaz avrebbe portato risultati migliori a Kadima – ha detto recentemente Yuval Zellner, attivista del partito e numero 34 sulla lista – Tzipi è una brava persona e un candidato adatto, ma il pubblico avrebbe preferito Mofaz non soltanto a causa di Gaza ma anche per via della minaccia nucleare iraniana”. Una voce anonima interna a Kadima ha detto al Jerusalem Post che se Mofaz avesse ottenuto la leadership avrebbe subito formato un governo, riferendosi al fallito tentativo di Livni di creare un esecutivo dopo l’annuncio di dimissioni del premier Ehud Olmert e la vittoria alle primarie. Molti dentro il movimento, demoralizzati dagli esiti degli ultimi sondaggi che danno il Likud in vantaggio, la pensano come Netanyahu, che ha fatto tappezzare le città israeliane di cartelloni neri con la foto di Livni: “Non è all’altezza” (della sfida), è scritto in grossi caratteri bianchi. Ehud Barak, ministro della Difesa ha le prestigiose credenziali di guerriero e capo militare; Netanyahu si presenta come l’uomo forte del paese, pronto a usare le maniere dure contro i molti nemici di Israele: l’Iran atomico, le milizie sciite di Hezbollah nel sud del Libano, i palestinesi di Hamas nella Striscia di Gaza. I due insistono nel mettere in luce la debolezza della rivale nel settore della sicurezza rafforzando così la cordata interna a Kadima che vede in Shaul Mofaz l’uomo giusto per combattere alle urne dopo la campagna militare nella Striscia. All’inizio dell’operazione Piombo fuso a Gaza, il 28 dicembre, un sondaggio di Channel 2 dava al partito di centro 28 seggi alla Knesset, il Parlamento israeliano. Il 18 gennaio erano scesi a 22. Dopo il cessate il fuoco unilaterale erano risaliti a 25, per crollare poi di nuovo a 22. Il Likud è rimasto stabile a 31 per l’intera durata dell’operazione contro Hamas. Con l’oscillare dei numeri, il malcontento in Kadima si è rafforzato: il direttore generale del partito, l’ex deputato Avigdor Yitzhaki è tornato al Likud. Lo stesso hanno fatto Meir Mitzan, ex sindaco di Rishon Letzion, cittadina a pochi chilometri da Tel Aviv, e perfino il fratello di Tzipi Livni, Eli, che secondo Channel 2 avrebbe detto che “il lavoro di primo ministro è troppo grande per lei”. Yitzhaki era stato incaricato da Ariel Sharon di lavorare in segreto nel 2005 per la formazione di Kadima. Alle primarie ha votato Livni e il quotidiano Haaretz rivela che in realtà potrebbe essersela presa per non aver ricevuto un ruolo importante nei recenti negoziati per la formazione di un governo. Lui sostiene che “Kadima non ha portato avanti la visione di Sharon”, che “Livni non ha esperienza” e “Netanyahu è il minore dei mali”. I 431 voti di scarto con cui Tzipi ha strappato al collega Mofaz la leadership del partito non le danno oggi, con i sondaggi contrari, la forza necessaria a mantenere saldo il potere interno e c’è chi ventila, in caso di sconfitta, l’ipotesi di uno scisma interno guidato dal ministro dei Trasporti, ancora scottato dalla fallimento. “Ha sentito che il primo posto gli era stato rubato – dice al Foglio Gideon Doron, esperto israeliano di politica – lui e il suo gruppo rappresentano un campo alternativo all’interno di Kadima e dicono apertamente che se Livni non vincerà prenderanno il potere nel partito oppure lasceranno il movimento per tornare nel Likud”. Lo sa bene Livni, che il giorno della vittoria alle primarie ha festeggiato anche un secondo successo: ai primi posti della lista di Kadima, infatti, ci sono i suoi uomini e non i fedelissimi di Mofaz che sono a numeri più bassi. Quel giorno Livni si è presentata sul palco nel momento dell’euforia post voto con Dalia Itzik, numero tre oggi, e ha lasciato il suo rivale sconfitto attendere in basso oltre cinque minuti prima di invitarlo a salire davanti al pubblico. Livni sa anche che esiste da tempo nel suo partito una minaccia di frattura, il pericolo che alcuni deputati seguano Mofaz in un possibile ritorno alla casa madre, il Likud, da cui il politico si staccò nel 2005 quando in molti, come lui, seguirono Ariel Sharon nell’avventura del disimpegno dalla Striscia di Gaza. Tzipi compresa. Ma i fedelissimi sono in basso, e per questo oggi Livni può ancora sperare nei numeri: Othniel Schneller è al 27° posto, il consigliere politico di Mofaz, Avi Duan al 33imo, il manager della campagna alle primarie Zellner al 34°. La candidata può anche sperare nell’inesattezza che spesso contraddistingue i sondaggi in medio oriente, nonostante il Likud continui a volare alto. Paradossalmente la salvezza per Tzipi Livni potrebbe arrivare proprio dalla sua ossessione: “Bibi”. Chiunque vinca queste elezioni ha bisogno di 61 seggi su 120 per governare. Il favorito Netanyahu avrebbe dunque bisogno di alleati per formare una coalizione e, spiega al Foglio Peter Medding, professore di Scienze politiche all’università ebraica di Gerusalemme, potrebbe volere proprio Kadima e i laburisti di Avoda, non soltanto il gruppo di destra di Avidgor Lieberman, Yisrael Beitenu, e i religiosi di Shas. L’obiettivo: spostare verso il centro una compagine che sarebbe altrimenti marcatamente a destra. In questo caso “se Livni diventasse un ministro di peso non vedo nessuno nel suo partito capace di sfidarla. Ci sono molti esempi di ritorni nella politica israeliana e i primi sono proprio i suoi due rivali: Barak e Netanyahu
Da L'OPINIONE, l'articolo di Michael Sfaradi "Perché Israele vuole più "destra" ":
A pochi giorni dalle elezioni politiche generali per il rinnovo della Knesset (il Parlamento israeliano), la lotta politica si fa dura.
Binyamin Netanyahu, il leader del partito Likud che è dato fra i maggiori favoriti di questa tornata elettorale, ha ampiamente manifestato l’intenzione di associare al suo governo, in caso di vittoria, sia il partito di estrema destra Israel Beitenu (Israele casa nostra) di Avigdor Libermann sia al partito di sinistra Ahavoda (il lavoro) di Ehud Barak. Da queste affermazioni si nota chiaramente che la frattura fra il Likud e i ribelli di Kadima è lontana dall’essere rimarginata. Ricordiamo che il partito Kadima nacque con l’uscita di Ariel Sharon e di alcuni altri esponenti di primo piano dello stesso Likud tra i quali il Primo Ministro dimissionario Ehud Olmert e l’attuale Ministro degli esteri e nuovo leader Tzipi Livni. Con occhio attento ai sondaggi, che lo danno super favorito, Netanyahu tenta un equilibrismo politico al limite del governo di unità nazionale pur di relegare Kadima all’opposizione. Nonostante gli enormi sforzi fatti dalla signora Livni per dare una nuova facciata al suo partito è probabile che in questa tornata elettorale Kadima pagherà un conto aperto che ha con l’elettorato. Suoi alti esponenti, compreso il Primo Ministro uscente Ehud Olmert, sono stati travolti da scandali finanziari, e le due mini guerre, quella del 2006 contro Hezbollah in Libano mal gestita dal primo all’ultimo giorno, e l’ultima contro Hamas che, è opinione generale, non è stata portata a termine, hanno fortemente deluso. Da questo si può capire uno dei perché dello spostamento a destra di gran parte dell’elettorato.
Il partito di Libermann in passato era riuscito a coquistare solo pochi seggi ma ora, stando ai sondaggi, ne potrebbe ottenere un numero tale da diventare la terza o la quarta forza politica israeliana, avendo così la certezza della partecipazione al nuovo esecutivo. L’altro motivo potrebbe essere che gli israeliani non si fidano del nuovo presidente americano e, nell’incertezza, preferiscono avere un Parlamento meno frammentato, un Governo che sappia tener testa anche ad un eventuale raffreddamento dei rapporti con l’alleato storico e, nel caso ce ne fosse bisogno, anche di un’opposizione che sappia dare il suo apporto politico alle scelte che si dovranno prendere. Netanyahu, che farebbe volentieri a meno dei piccoli partiti religiosi, Shas in testa, nella sua coalizione, strizza l’occhio ad Ehud Barak che ha ampiamente dimostrato di saper reggere il dicastero della sicurezza e difesa con forza e determinazione. Anche se in molti non gli perdonano la sua passata esperienza da Primo Ministro, che si concluse con un completo fallimento, tutti sanno che sono pochi i politici che sanno gestire i servizi di sicurezza e l’esercito con la stessa professionalità che lui ha sempre dimostrato sia da Generale che da Ministro della Difesa. Chi conosce i meccanismi della campagna elettorale israeliana sa anche che questo pubblicizzare eventuali alleanze del giorno dopo serve soprattutto ad indirizzare o a tranquillizzare una parte dell’elettorato. Rimane che le vere alleanze di governo o di opposizione dovranno essere riviste in base ai risultati che usciranno dai seggi elettorali anche perché in Israele più che in ogni altra parte del mondo, i risultati reali hanno spesso ribaltato i sondaggi trasformandoli in chiacchiere da caffè.
Sul tema delle imminenti elezioni in Israele, segnaliamo, alle pagine 24 e 25 dell'UNITA', l'intervista di Umberto De giovannangeli a Tzipi Livni "Vincerò la sfida. Con me in Israele finirà il tempo della paura". Il ministro degli Esteri israeliano, candidato a premier per Kadima, esclude che un'organizzazione come Hamas, che vuole la distruzione di Israele possa essere un partner di pace, ribadisce che il problema della minaccia iraniana riguarda la comunità internazionale e non solo Israele e sostiene la necessità della soluzione a due stati per il conflitto israelo palestinese.
A pagina 11 del RIFORMISTA, nell'articolo "In Israele a pochi giorni dal voto crolla la sinistra" Anna Momigliano informa sul boicottaggio del voto organizzato da organizzazioni come Abada el- Balad, che invitano gli arabi israeliani anon recarsi alle urne per non riconoscere l'"entità sionista". Tale boicottaggio dannegerrebbe fotemente la sinistra israeliana.
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