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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Giornale - La Repubblica Rassegna Stampa
03.02.2009 Tornielli ha trovato le due colpevoli
Sono le giornaliste che informano l'opinione pubblica sul vescovo negazionista Williamson

Testata:La Stampa - Il Giornale - La Repubblica
Autore: Giacomo Galeazzi-Andrea Tornielli-David Bidussa-Bernardo Valli- Marco Politi
Titolo: «Lefebvriani, lo strappo di Kasper-Vescovo negazionista: complotto contro il Papa - Lo sterminio senza fine -Gli assassini delle memoria che cancellano l'Olocausto - Le radici di un odio - Il leader dei Lefebvriani : Ebrei nostri fratelli»

La polemica coi negazionisti continua a occupare parecchie pagine sui quotidiani di oggi, 03/02/2009.
Sulla STAMPA la cronaca di Giacomo Galeazzi mette in rilievo le divisioni interne alla Chiesa sulla revoca della scomunica ai Lefebvriani. Ecco il pezzo:

Giacomo Galeazzi : " Lefebvriani, lo strappo di Kasper "

CITTA’ DEL VATICANO
«La Curia ha gestito male la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani», attacca su Radio Vaticana il cardinale Walter Kasper. Finora le critiche erano piovute dagli episcopati del Centro-Nord Europa dov’è forte la presenza degli ultratradizionalisti scismatici, ma adesso le rimostranze arrivano direttamente dal ministro vaticano che si occupa degli ebrei, indignati per la grazia papale al negazionista Williamson. Il presidente della Pontificia commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo denuncia in modo esplicito la gestione di una vicenda che ha portato ad una crisi senza precedenti tra la Santa Sede e i rabbinati di tutto il mondo.
«Osservo il dibattito con grande preoccupazione: nessuno può rallegrarsi del fatto che ci siano stati degli equivoci - afferma il porporato ai microfoni della sezione tedesca di Radio Vaticana -. Ci sono stati sicuramente errori di gestione da parte della Curia, lo voglio dire espressamente. Ma in sostanza la revoca della scomunica significa soltanto che si è tolto, per così dire, un impedimento, in modo che ora si possa entrare in dialogo con il movimento di Lefebvre su una serie di questioni teologiche». Poi rincara la dose: «Per quanto io possa giudicare, non si tratterà di un dialogo leggero, ma pesante, sull’ecumenismo, il dialogo interreligioso, l’eucaristia e la libertà religiosa. Ci sono molte domande aperte tra loro e noi». Insomma le cose non sono andate come programmato nei Sacri Palazzi, così ora viene alla luce in modo clamoroso la linea del dissenso, finora rimasta sotto traccia Oltretevere, come testimonia anche la preoccupazione dei vescovi francesi riportata ieri informalmente in Segreteria di Stato dal cardinale Jean-Louis Tauran, ministro per il dialogo interreligioso. «Il Papa voleva aprire il dialogo perché egli vuole l’unità dentro e fuori la Chiesa - sostiene Kasper -. Speriamo che si inizi un buon colloquio, ma certo non si può dire che i vescovi lefebvriani già siano in piena comunione con la Chiesa. Erano e restano sospesi. Speriamo che ora si apra un dialogo serio, nel quale devono compiere tutti i passi per venirci incontro».
Errori di comunicazione? «Io penso di sì», risponde Kasper. «Lo devo dire apertamente. In Vaticano su questo tema si è parlato troppo poco l’uno con l’altro e non si è verificato dove potevano nascere problemi. Spiegarlo a posteriori è naturalmente molto, molto più difficile che se lo si fosse fatto subito. Avrei auspicato maggiore comunicazione a priori». Cresce di livello, quindi, la spaccatura interna provocata nella Chiesa dal perdono accordato al vescovo britannico che difende l’antisemitismo e non crede che Hitler abbia sterminato sei milioni di ebrei. Non è bastato a placare le polemiche l’intervento del portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, che ha condannato le tesi revisionistiche del vescovo britannico ma ha anche sottolineato come la revoca della scomunica sia un gesto «assolutamente a sé stante» e distinto dagli atteggiamenti personali dei singoli.
Per i lefebvriani, intanto, quello che inizialmente era apparso come uno sdoganamento trionfale assume, col passare dei giorni, le sembianze di un abbraccio soffocante con la Santa Sede.

L'articolo di Andrea Tornielli sul GIORNALE, invece, cita un dossier ufficioso che sostiene un'ipotesi incredibile e cioè che la polemica sui negazionisti eplosa in seguito alle affermazioni dei Lefebvriani sarebbe stata montata apposta per mettere in difficoltà il Papa. Il dossier, stando a quanto ne scrive Tornielli, non fornisce prove oggettive, ma avanza solo delle ipotesi. L'articolo, come  il dossier,  non specifica in modo chiaro chi, come e perché avrebbe cercato di mettere in difficoltà il Papa e per quale motivo. Sarebbero coinvolti imprecisati ambienti vaticani contrari alla riconciliazione con la Fraternità San Pio X. Di fatto però, le uniche "colpevoli" delle quali si faccia nome e cognome sono due giornaliste. Tornielli  non appare  interessato al loro lavoro, ma piuttosto a qualificarle in modo tale da farle risultare a priori inaffidabili per un certo tipo di pubblico, incline a basarsi sui pregiudizi. Sottolinea che sono  omosessuali, attiviste gay, anticlericali, vicine alla massoneria: come fidarsi di loro ? Da parte nostra ricordiamo  che una delle due giornaliste Caroline Fourest, ha al suo attivo un precedente professionale di tutto rispetto: ha smascherato Tariq Ramadan nel libro "Frère Tariq, discours, strategie et methode de Tariq Ramadan ". Se ora denuncia le connessioni dei lefebvriani con l'estrema destra francese, potrebbe essere il caso di darle ascolto.

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=16&sez=120&id=12127

D' altro canto, a squalificare la tesi del complotto, basta una considerazione: le dichiarazioni di Williamson esistono e nessuno le nega. Averle rese note al pubblico è semplice esercizio del diritto di cronaca.

Ecco il pezzo:

Andrea Tornielli : " Vescovo negazionista: complotto contro il Papa "

Roma - È un dossier ufficioso, di poche pagine, dedicato alla genesi del caso Williamson, molto letto in questi giorni nei sacri palazzi. Un dossier che ha raggiunto le scrivanie che contano oltretevere e che mette insieme date e circostanze, lasciando intendere che quanto avvenuto nei giorni scorsi non sia solo frutto di una serie di coincidenze. La realizzazione e poi la messa in onda dell’intervista del prelato che negava le camere a gas e la realtà dei milioni di ebrei morti nella Shoah, alla vigilia della revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani - secondo il dossier - sarebbe stata in qualche modo «pilotata» da ambienti che volevano mettere in difficoltà Benedetto XVI. Ambienti che sarebbero stati aiutati da qualche oppositore interno, contrario alla riconciliazione con la Fraternità San Pio X.
Nel rapporto non si minimizzano le assurde parole pronunciate da Williamson, né l’ulteriore gravità della coincidenza temporale con il Giorno della Memoria, che ha particolarmente ferito la sensibilità del mondo ebraico, ma si lascia intravedere la possibilità che vi siano stati interventi mirati a creare il caso. Williamson, si legge nel dossier, viene intervistato il 1° novembre 2008 «presso il seminario bavarese della Fraternità San Pio X». Il vescovo si trova a Ratisbona, dov’è giunto per ordinare prete un pastore protestante svedese. Il vescovo viene raggiunto dal giornalista Ali Fegan, della trasmissione televisiva «Uppgrad Gransking» («Missione Ricerca»). Parlano un’ora. A un certo punto, Fegan richiama alla memoria di Williamson certe dichiarazioni negazioniste sulle camere a gas, rilasciate molti anni prima in Canada. Il vescovo risponde dicendo le enormità che sappiamo, sapendo che le sue parole, in quel Paese, rappresentano un reato: «Per le cose che dico potreste portarmi in carcere visto che siamo in Germania...».
L’intervista va in onda il 21 gennaio, lo stesso giorno della firma del decreto di revoca della scomunica. Gli autori del programma assicurano che si è trattato di una coincidenza, mentre il «dossier Williamson» non esclude la possibilità che la notizia della revoca della scomunica sia stata fatta in qualche modo arrivare alla televisione svedese. Nel corso della trasmissione viene intervistata anche la giornalista francese Fiammetta Venner, nota attivista del movimento omosessuale, impegnata in campagne «pro choice». Insieme alla compagna Caroline Fourest – con la quale condivide molte battaglie anticlericali nonché la vicinanza al Grande Oriente di Francia – nel settembre scorso, alla vigilia della visita di Benedetto XVI a Parigi e Lourdes, aveva dato alle stampe un volume intitolato Les Nouveaux Soldats du pape. Légion du Christ, Opus Dei, traditionalistes, durissimo contro Papa Ratzinger e contro i lefebvriani, accusati di connessioni con l’ambiente politico dell’estrema destra francese. Il dossier insiste sulla genesi francese del caso e sul ruolo avuto da Venner e Fourest nell’intera vicenda. Il 20 gennaio, alla vigilia della messa in onda, il settimanale tedesco Der Spiegel anticipa i contenuti dell’intervista. E arriverà pure a scrivere che «il Consiglio Centrale degli ebrei in Germania» fosse «stato informato» in precedenza delle dichiarazioni negazioniste del vescovo.
Ormai il decreto è già scritto ed è stato personalmente consegnato dal cardinale Giovanni Battista Re nelle mani di monsignor Bernard Fellay, il superiore della Fraternità San Pio X, convocato a Roma per l’occasione. Dunque, quando la notizia dell’intervista di Williamson comincia a diffondersi, non è più possibile correre ai ripari. Il 20 gennaio la diocesi cattolica di Stoccolma e il superiore dei lefebvriani tedeschi pubblicano due distinti comunicati per deplorare le dichiarazioni di Williamson e condannare ogni forma di antisemitismo. La notizia è ormai di dominio pubblico, ma la sua portata e soprattutto le sue conseguenze non vengono avvertite nei sacri palazzi. Un intricato «giallo», insomma, oppure una serie di coincidenze? Il dossier fatto circolare in Vaticano non contiene prove, si limita a confrontare ipotesi e dati di fatto. Di certo però non sono in pochi, oltretevere, a pensare che il «caso Williamson» non sia stato un caso.

La REPUBBLICA dedica le pagine culturali R2 DIARIO al negazionismo. Di seguito l'articolo di David Bidussa, che spiega come mai un negazionista è per forza anche antisemita e analizza le argomentazioni dei negazionisti. Ecco il pezzo:

David Bidussa - "Lo sterminio senza fine"

Che cosa significa negare un fatto storico? E perché, nello specifico, il negazionismo include una forma di antisemitismo? La prima riguarda la dimensione della morte nei campi; la seconda chiama in causa il giudizio sull´identità dei sopravvissuti.
Di che si discute quando qualcuno afferma che non sono esistite le camera a gas e che, più in generale, quei morti "non sono morti"? Consideriamo i numeri (un dato che costituisce un´ossessione per i negazionisti). I numeri dello sterminio riferiti ad Auschwitz sono stati riepilogati da Jean-Claude Pressac nel suo libro Le macchine dello sterminio (Feltrinelli 1994).
Questi i numeri che Pressac riporta: ebrei gasati non iscritti, da 470 mila a 550 mila (l´oscillazione riguarda il numero complessivo degli ebrei ungheresi gasati); corrispondono ai deportati trasportati ad Auschwitz e selezionati già sulla rampa di arrivo; detenuti iscritti deceduti (ebrei e non ebrei) 126 mila: ovvero quelli sopravvissuti alla prima selezione sulla rampa e poi, gasati per malattia, debilitamento...; prigionieri di guerra sovietici, 15 mila; diversi (di cui soprattutto zingari), 20 mila.
Complessivamente dunque stiamo parlando di una quantità di persone gasate tra i 631 mila e i 711 mila. Nessuno di questi numeri è stato contestato dai negazionisti. Nessuno di loro ha mai risposto a Pressac. Questa cosa non fa pensare?
Ma la retorica negazionista non riguarda solo i numeri. La ricostruzione storica di un fatto, non è mai fondata su un solo documento o su un corpo di documenti limitati a un punto. Indagare un fatto implica assumere l´intera filiera all´interno del quale si colloca. La storia non è mai l´astrazione di un particolare. La storia si studia solo assumendola "a parte intera".
E dunque ai dati forniti da Pressac, vanno aggiunti: i deportati sterminati in tutti gli altri campi (di sterminio, Treblinka, Majdanek, Sobibor, per esempio; o di concentramento: Dachau, Mauthausen...); quelli che vengono catturati, rinchiusi nei campi di transito, e che lì muoiono; quelli che sono trasportati in vagone e muoiono nel viaggio; tutti coloro che sono uccisi prima della scena del campo di sterminio: per esempio i fucilati nell´estate 1941, durante l´occupazione militare in Unione sovietica e quelli uccisi dai reparti di polizia speciale (per esempio i 260 mila sterminati in Polonia tra il 1940 e il 1944 dal Battaglione 101 come racconta Christopher Browning nel suo Uomini comuni, Einaudi).
Negare le camere a gas, dunque, è funzionale a un obiettivo concreto: dichiarare che quella macchina complessiva di morte non sia mai esistita.
Nello sterminio non c´è una parte per il tutto, c´è il tutto. E proprio con quel pacchetto complessivo si tratta di confrontarsi. Il primo atto del negazionismo è preliminare alla sua affermazione sulle camere a gas. Consiste nell´eliminare tutti i particolari e tutte le componenti che renderebbero insostenibile la tesi finale. La macchina dello sterminio nazista non è la camera a gas. Quello è il livello ultimo di un lungo percorso. All´interno di ciascun passaggio si uccidono individui, si sterminano interi gruppi famigliari o intere comunità locali. Lo sterminio preesiste alle camere a gas.
Quella retorica tuttavia non si limita a negare un fatto provato. Infatti essa contesta non solo le prove, ma le testimonianze di chi sostiene l´esistenza nelle forme e nei modi dello sterminio. Anzi il vero obiettivo del rifiuto delle prove è la convinzione che i sopravvissuti non abbiano diritto di parola. Quel diritto non viene riconosciuto ai sopravvissuti perché la loro natura - e non la loro esperienza - li rende incredibili. Secondo i negazionisti, infatti, essi non sono credibili e non devono essere creduti non perché ciò che dicono si sarebbe dimostrato fondatamente falso, ma perché la loro identità ebraica li qualifica come pericolosi sovvertitori dell´ordine e perché la loro natura li rende "perfidi". Credereste mai ai nemici irriducibili? Alla fine, dunque, per i negazionisti quei testimoni sono non credibili perché sono ebrei e dunque per natura, raccontano il falso e lo raccontano perché il loro obiettivo sarebbe la conquista fraudolenta del potere.
Lungi da non essere mai avvenuto, lo sterminio per i negazionisti non è mai finito. È ideologicamente giustificato perché si basa sull´adesione all´ideologia che l´ha predicato e poi praticato. Alla fine lo si nega, per poter avere l´opportunità di completarlo.

Bernardo Valli, apagina 32 nell'articolo "Gli assassini delle memoria che cancellano l'Olocausto" non perde occasione per ribadire il suo pregiudizio contro Israele, scrivendo di "uso politico della Shoah" e "ricordi arroventati", dalla tragedia mediorientale.

Ecco il testo completo:

I sostenitori del negazionismo cercano di dare basi scientifiche alle loro tesi. Perlomeno lo sostengono. Il loro principale obiettivo è di dimostrare che il genocidio degli ebrei non è mai avvenuto. L´Olocausto sarebbe un mito, creato al fine di favorire gli interessi degli ebrei nel mondo, e giustificare la nascita e la difesa di Israele; sarebbe una colossale invenzione tesa a screditare, a demonizzare, la Germania di Hitler. Oggi le tesi dei negazionisti, dei quali la maggiore espressione è l´Institute for Historical Review, fondato da Dave McCalden (ex membro del National Front) alla fine degli anni Settanta negli Stati Uniti, affermano con argomentazioni variabili secondo i "ricercatori":
1) che non sono mai esistite camere a gas per uccidere gli ebrei e che se sono esistite servivano, stando ad alcuni, per sterminare i pidocchi di cui Auschwitz era infestato;
2) che i nazisti non si proponevano di uccidere gli ebrei, ma semplicemente di rinchiuderli nei campi;
3) che il numero degli ebrei morti durante la Seconda guerra mondiale è di gran lunga inferiore a quanto si denuncia.
Questi, in sintesi, i principi su cui si basa il negazionismo. Ai quali si devono aggiungere molte altre affermazioni più specifiche, o "scientifiche", contenute in una vasta pubblicistica o espresse durante il congresso (o nel periodico) dell´Institute for Historical Review. Cito, a titolo di esempio, soltanto alcuni degli argomenti usati dai negazionisti in testi presentati come saggi di revisionismo storico. Secondo il Leuchter Report l´inesistenza delle camere a gas sarebbe provata dall´assenza di residui di cianuri negli ambienti di Auschwitz- Birkenau destinati allo sterminio. È inoltre impossibile credere, secondo i negazionisti, che gli inservienti, anche se dotati di maschere, potessero entrare subito, come si racconta, nelle camere a gas dove giacevano fino a millecinquecento cadaveri, senza che essi stessi venissero uccisi a loro volta dai miasmi letali. In quanto al cielo di Auschwitz, dalle fotografie aeree fatte dagli americani, non risulterebbe nascosto da una costante nuvola di fumo nero uscito dai forni crematori, come viene descritto. E le immagini dei prigionieri scarnificati, riprese sempre dagli americani? Lo stato di quei prigionieri sarebbe dovuto all´abbandono, senza cibo e medicine, per giorni e giorni, in seguito allo sfaldamento del fronte tedesco. Insomma Auschwitz sarebbe «una truffa».
Non c´è bisogno di sottolineare che, nonostante le pretese, il negazionismo non abbia nulla di scientifico e neppure scalfisca gli studi e le testimonianze dirette sulle tecniche di sterminio nei campi di concentramento nazisti.
Il negazionismo è un´ideologia. Meglio ancora, si è di fronte a una setta religiosa, come diceva lo storico francese Pierre Vidal-Naquet, precisando che si trattava di una setta simile a quella che «Weber opponeva con ragione alla Chiesa». È un´opposizione settaria al culto dominante. Vidal-Naquet ricorse a quella definizione quando si presentò il caso di Roger Garaudy: un professore di filosofia via via convertito al protestantesimo, poi al comunismo (diventando un dirigente del Pcf), poi al cattolicesimo e infine all´islam. Approdato a quest´ultima religione, Garaudy abbracciò e difese pubblicamente le tesi negazioniste, compiendo un´altra tappa nella sua agitata vita spirituale o ideologica. Fu singolare il sostegno, altrettanto pubblico, che gli dette l´Abbé Pierre, considerato da molti francesi un santo vivente. In seguito l´Abbé Pierre si corresse e si capì che il suo era stato un eccessivo e irresponsabile slancio d´amicizia.
Pierre Vidal-Naquet fu uno dei primi ad affrontare i negazionisti (emersi negli anni Settanta) con una serie di articoli raccolti in un libro: Gli assassini della memoria (Viella 2008). Egli rifiutò tuttavia di dibattere faccia a faccia con loro. Non erano interlocutori accettabili.
Specialista dell´antica Grecia e impegnato con passione nel denunciare la tortura durante la guerra d´Algeria, Vidal-Naquet non aggirava i problemi. Come storico e come ebreo scandiva l´atteggiamento verso la Shoah in tre distinti momenti. Alla Liberazione nessuno si era interessato ai deportati ebrei. Si era poi passati a un interesse esclusivo, specifico, per il genocidio di cui erano state le vittime. E c´è stata a questo punto - ed è il terzo momento - una sacralizzazione della Shoah, a suo parere rischiosa: perché la Shoah non deve essere considerata un culto, suscettibile di creare un anti-culto, ossia un´eresia. Né deve essere uno strumento politico. È un genocidio che, insieme agli altri (quello simultaneo degli zingari, quello precedente degli armeni a opera dei turchi, o quello successivo nel Ruanda), deve impegnare gli storici, cui spetta di tener viva la memoria. Vidal-Naquet era contrario alla legge che condanna chi nega i crimini contro l´umanità, perché può far apparire i negazionisti come dei perseguitati. Si può capire, e condividere, il rigore di Vidal-Naquet, quando sottolinea il rischio implicito nella sacralizzazione o nell´uso politico della Shoah, ma è comprensibile, o addirittura inevitabile, che questo avvenga poco più di mezzo secolo dopo, quando i ricordi sono ancora vivi e sono mantenuti tali, anzi sono arroventati, dalla tragedia mediorientale.
I negazionisti vogliono essere considerati dei revisionisti. Una qualifica cui non credo abbiano diritto. Non è revisionista l´intellettuale impegnato a contrastare la realtà, concretamente provata, di un fatto storico, la cui veridicità non richiede supplementi di indagine. Il revisionismo ridefinisce il giudizio su un evento, ne dà un´interpretazione diversa, non ha come fine la sua cancellazione. La storiografia è una continua revisione. Il negazionismo è dettato da un´ideologia.
Per evitare che la scomparsa di testimoni viventi favorisca le tesi negazioniste, Claude Lanzmann ha realizzato con anni di lavoro il suo documentario di nove ore sulla Shoah, basato non sulle immagini ma su una straordinaria e sconvolgente serie di testimonianze dirette, destinate a restare quando si passerà definitivamente dalla memoria alla storia.
Se si scorrono le liste dei partecipanti al congresso dell´Institute for Historical Review si trovano i nomi di Carlo Mattogno, il negazionista italiano più noto, di Bradley Smith, fondatore del CODOH (Comitato per un aperto dibattito sull´Olocausto), di David Irving, autore di Hitler´s War, libro che ha mobilitato tanti tribunali, e di Robert Faurisson, il professore dell´Università di Lione, diventato un autore di riferimento per molti negazionisti. Nel 1992, durante un raduno negazionista in Germania, Irving dichiarò che la camera a gas ricostruita ad Auschwitz era un falso fabbricato dopo la guerra. Nel 2000 il tribunale britannico che trattò la causa per diffamazione intentata da Irving alla storica Deborah Lipstadt, sentenziò che il querelante, ossia Irving, aveva distorto e falsificato l´evidenza storica ed era un antisemita.
Il francese Robert Faurisson usufruì del singolare sostegno di Noam Chomsky, illustre linguista, figlio di un professore di ebraico, intellettuale libertario e nemico di tutti gli imperialisti. Chomsky fece infatti la prefazione al libro di Faurisson (Mémoire en defense contre ceux qui m´ accussent del falsifier l´histoire) in cui si immagina, tra l´altro, una dichiarazione di guerra a Hitler da parte della comunità ebraica mondiale, e dove si dice che Hitler, il quale aveva imposto agli ebrei di portare la stella gialla a partire da sei anni, si preoccupava molto di più della sicurezza dei soldati tedeschi che degli ebrei.
Chomsky precisava nella prefazione di non avere letto il libro, e, in sostanza, di volere soprattutto difendere la libertà d´opinione, quale che sia. Vidal-Naquet scrisse pubblicamente a Noam Chomsky. Gli disse che poteva sostenere il diritto del peggior nemico alla libertà d´opinione, se non domandava la sua morte e quella dei suoi fratelli. Ma che lui, Chomsky, non aveva il diritto di prendere un falsario e di ridipingerlo con i colori della verità. A questo equivaleva infatti la sua prefazione. Più tardi Chomsky non sconfessò quanto aveva scritto, ma l´uso che ne era stato fatto. E chiese che la prefazione non fosse pubblicata. Ma era troppo tardi. Era già in libreria. Pochi mesi dopo Robert Faurisson veniva condannato, per la prima volta, per «contestazione di crimine contro l´umanità».

A pagina 33, di Adriano Prosperi, "Le radici di un odio":

La millenaria religione dell´antigiudaismo, la madre ormai riconosciuta dell´antisemitismo moderno, dà segni di ripresa davanti a quell´annebbiamento della memoria che sta seppellendo le vittime della Shoah e il senso di colpa dell´Occidente cristiano. Oggi i movimenti giovanili di estrema sinistra si incontrano con quelli di estrema destra sulle piazze dove bruciano i vessilli con la stella di David e davanti alle sinagoghe imbrattate di una vernice rossa che chiede ancora l´antico sacrificio del sangue ebraico.
Di fronte a questo ritorno di fiamma antisemita è opportuno comprenderne, non tanto o non solo le ragioni che attraversano la società civile, quanto quelle che si riscontrano all´interno della chiesa.
Cos´è infatti la negazione dell´Olocausto da parte del vescovo "lefebvriano" Richardson se non anche la manifestazione indiretta di un problema che ha coinvolto e continua a coinvolgere la parte più tradizionale del clero?
La gerarchia ha comunque le sue esigenze che la democrazia non può comprendere. L´emergere dell´aggettivo "ecclesiale" a fianco e in sempre più evidente contrasto con l´antico aggettivo «ecclesiastico» e la loro lotta per affiancare in modo esclusivo il sostantivo "Chiesa" sono stati i segni che anche il più distratto degli osservatori ha potuto cogliere nei decenni scorsi, intorno al concilio e subito dopo: in questo problema di linguaggio si è resa evidente la tensione fra il momento comunitario e creativo dal basso della vita religiosa cristiana e il momento gerarchico e autoritario di un corpo dove la proprietà esclusiva della parola e il controllo del messaggio sono "ab antiquo" il monopolio dell´autorità ecclesiastica.
Per questo la soluzione del problema dello scisma lefebvriano appare complicata e non vicina. Coinvolge in prima istanza la sorte del concilio Vaticano II. L´"aggiornamento" conciliare dette voce alla necessità di un corpo sacrale arroccato nella immobilità della tradizione di aprirsi a un mondo moderno lungamente considerato come una realtà da tenere lontana se non da maledire nel suo complesso.
A chi guardi questa vicenda dall´esterno si offrono poi altri motivi di riflessione e di preoccupazione: la situazione attuale dei rapporti col mondo mussulmano offre una insperata occasione di riscossa alla religione dei crocifissi sanguinanti e delle crociate contro i mussulmani in nome della quale monsignor Lefebvre continuò fino alla fine a promuovere in Vaticano il riconoscimento di quelle santità mistiche e antimoderne sorte nelle province più chiuse della Francia reazionaria negli anni della Comune e della Grande Guerra.

Sempre su REPUBBLICA l'articolo di Marco Politi riporta le recenti dichiarazioni del mons. Bernard Fellay, il quale prende le distanze dalle posizioni negazioniste. Politi scrive che, con questa mossa, il Vaticano spera di chiudere "l'incresciosa vicenda". Ecco il pezzo:

Marco Politi - " Il leader dei Lefebvriani : Ebrei nostri fratelli "

CITTA´ DEL VATICANO - Si muove il leader dei lefebvriani per rimediare alla catastrofe mediatica, che stava rischiando di mettere in forse il progetto di reinserimento degli ultra-tradizionalisti nella Chiesa cattolica. «Gli ebrei sono i nostri fratelli maggiori - dichiara mons. Bernard Fellay, superiore della Fraternità San Pio X - e rigettiamo qualunque forma di approvazione di ciò che è accaduto sotto Hitler come qualcosa di abominevole». Al settimanale cattolico francese Famille Chretienne Fellay, spiega che gli ebrei sono «fratelli maggiori, nel senso che abbiamo in comune l´antica Alleanza, anche se ci separa l´aver riconosciuto il Cristo quando lui è venuto». Quindi il prelato bolla come crimine le azioni omicide nei confronti di un «intero popolo». E afferma: «Noi rigettiamo in maniera assoluta ogni accusa di antisemitismo». E in crescendo: «Pio XI aveva detto "siamo spiritualmente tutti semiti". E´ una verità che scaturisce direttamente dalle Sacre Scritture. Come afferma anche san Paolo, siamo figli di Abramo». Di passaggio il superiore della Fraternità lefebvriana si preoccupa di sottolineare che la Chiesa non ha avuto bisogno di attendere il concilio Vaticano II per decidere come porsi nei confronti degli ebrei: «Fin dagli anni Trenta, e anche durante la guerra, diversi documenti della Chiesa di Roma hanno stabilito una posizione assai giusta: gli abomini del regime hitleriano devono essere condannati!».
Con questa presa di posizione il Vaticano spera di chiudere tutta l´incresciosa vicenda, contrapponendo anche alle frange più estremiste del movimento lefebvriano - che sono impregnate di riduzionismo e di antigiudaismo - l´allineamento sostanziale di Fellay alla Santa Sede.
Però lo scandalo ha sollevato anche grossi problemi all´interno della gerarchia cattolica. La questione cruciale riguarda il governo della Chiesa.
Chi assiste il timoniere della barca di Pietro? Benedetto XVI si è mosso chiaramente senza consultarsi con l´episcopato mondiale ed è sua intenzione proseguire a tappe forzate l´obiettivo di raccogliere i lefebvriani - entro Pasqua, secondo voci che circolano in Curia - e magari dotandoli di una super-diocesi personale. Sul modello dell´Opus Dei. I malumori sono evidenti. Il cardinale Kasper alla Radio vaticana si è detto molto preoccupato per gli «errori di gestione» della Curia nella revoca delle scomuniche. Kasper, riprendendo le inquietudini degli episcopati di Germania, Austria e Francia, ha ribadito che quattro vescovi lefebvriani sono «tuttora sospesi» e che c´è un «dialogo pesante», non frettoloso, da avviare. Il porporato ne ha elencato i punti: ecumenismo, dialogo interreligioso, eucaristia e libertà religiosa.
Resta nell´aria l´interrogativo sul ruolo personale di papa Ratzinger nella vicenda. Generalmente il pontefice Benedetto XVI esamina minuziosamente i dossier per la nomina dei nuovi vescovi. Non lo ha fatto per un caso ben più grave come la revoca di una scomunica? Gli sono stati nascosti i blog reazionari di Williamson? Non ne ha voluto tenere conto? Sono interrogativi che provocano inquietudine, disorientamento, indignazione ai vertici e nella base della Chiesa cattolica.
Intanto si preparano nuove celebrazioni in onore di Pio XII. La glorificazione di papa Pacelli - in vista della beatificazione - prosegue.

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