LIBERO del 28 gennaio 2009 pubblica un'intervento di Giorgio Israel sul caso del vescovo negazionista Richard Williamson. In prima pagina , ma facendolo seguire da una risposta di Martino Cervo, del tutto inconsistente, chiaramente più adeguata alla posta dei lettori che a un dibattito con un collaboratore del giornale.
Ecco il testo: Perché va condannato il vescovo anti Shoah
Titola l’articolo di Martino Cervo sulle “inutili polemiche” circa il vescovo negazionista Williamson: «Da quali pulpiti si fa la predica a Ratzinger?».
Poiché ha la bontà di citarmi cortesemente come uno di questi “pulpiti”, rispondo per me e - pur essendo spiacevole ritornare su “meriti” personali o “crediti”, direbbe Santoro - dico da che “pulpito” parlo. Parlo dal “pulpito” in cui ho scritto un articolo di fondo su l’Osservatore Romano contro il boicottaggio della visita del Papa alla Sapienza; da cui difendo (...)
(...) strenuamente e da anni l’importanza del dialogo ebraico-cristiano, anche contro autorevoli rabbini ed esponenti dell’ebraismo italiano che mi hanno duramente censurato; in cui ho previsto solo una decina di giorni fa che stava montando un’ondata volta a far litigare ebrei e cattolici e a fare di questa lite uno strumento per attaccare questo papato. Quindi, se permette, è un “pulpito” abbastanza pulito per poter parlare, e non al fine di far prediche, tantomeno a Ratzinger.
La reazione dell’ebraismo italiano, in questo senso (e, si parva licet, anche la mia) è stata molto equilibrata perché, pur non potendo evitare di pronunciarsi su una vicenda così dolorosa - proprio alla vigilia della Giornata della memoria e mentre dilaga il negazionismo antisemita su tutti i fronti! - non rivolto accuse al Papa e ha soltanto chiesto che l’atto insindacabile (questione interna alla Chiesa) della revoca della scomunica fosse accompagnato da una condanna inequivocabile e forte del negazionismo di Williamson e di chi è con lui - una condanna altrettanto dura di quelle che vengono pronunziate in altri casi. La Chiesa tedesca ha pronunziato una simile condanna ed ha anche definito “comprensibilissima” (e non “ingiusta”) la reazione ebraica. Del resto, qui il problema non è soltanto di una persona, ma di un intero gruppo che deve prendere le distanze chiaramente da certe affermazioni e non continuare a ciurlare nel manico, come ha fatto l’altro ieri il suo rappresentante italiano al Tg2, dicendo che lui non sa se le camere a gas siano esistite perché non è uno storico…
Il tanto vituperato “pulpito” di Giuliano Ferrara ha bene spiegato come stia fischiando un vento di restaurazione “progressista” di cui vi sono molteplici manifestazioni. Spicca la reazione inesistente all’invasione delle piazze italiane da parte dell’islam integralista e che anzi, si è prodotta nel suo contrario: il consenso da parte degli ambienti progressisti milanesi alla prospettiva di aprire una moschea per quartiere. Spicca l’attacco al dialogo ebraico-cristiano, che fa leva su incredibili gaffes (o pasticci confezionati ad arte), e che mira a distruggere la portata del discorso di Ratisbona sui fondamenti giudaico-ellenistico-cristiani dell’Europa.
Sarebbe molto meglio approfondire seriamente questo panorama e sviluppare analisi più approfondite invece di agitare vessilli ed elevare rozze barricate, mettendo da un lato il Papa e tutto il mondo cattolico e dall’altro i “pulpiti” dei loro detrattori. Tutto ciò serve soltanto ad approfondire lo scontro e a nascondere le vere poste in gioco.
Giorni fa a Parigi c’è stato un corteo in cui spiccavano bandiere di Israele con la svastica al posto della stella di David, in cui si diceva che la vera Shoah è quella del popolo palestinese, si parlava di vittime divenute carnefici e addirittura venivano fatti sfilare in spalla dei missili Qassam. Sarebbe bene guardare le immagini di quel corteo per capire che portata esplosiva abbia il negazionismo antisemita, divenuto un cavallo di battaglia dell’integralismo islamico. Riaccogliere un vescovo negazionista (e un movimento inquinato di negazionismo) senza un’abiura delle loro vergognose affermazioni e senza un’esplicita adesione alla “Nostra Aetate” è come mettersi in casa una carica di dinamite.
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Addirittura la dinamite! Caro Israel, dal basso di nessun pulpito (non ce li possiamo permettere): Williamson ha detto boiate pazzesche, ma con la remissione della scomunica non c’entravano. Anzi, come mostrano i consolanti fatti di ieri, il ritorno nella Chiesa è stato condizione per una correzione. Saluti fraterni.
Dalla prima pagina de La REPUBBLICA, l'editoriale di Marco Politi, "Ora Ratzinger non può tacere":
Adesso è bene che parli il Papa. Perché la lettera di scuse di monsignor Fellay, leader dei lefebvriani, chiude una breccia e apre una voragine.
Richard Williamson, il vescovo che nega le camere a gas, ha ricevuto l´ordine di tacere e i seguaci del movimento si distanziano dalle sue affermazioni. Ma gli ebrei devono evidentemente fare ribrezzo ai custodi della Tradizione, perché Fellay nella sua missiva chiede perdono al Papa e agli uomini di buona volontà, ma non ce la fa a inchinarsi davanti alle vittime delle Shoah.
Che gli ebrei siano «fratelli maggiori» dei cristiani, come disse Wojtyla, che gli ebrei siano vittime cui chiedere perdono per l´infamia del negazionismo, è qualcosa che non fa parte dell´orizzonte religioso, culturale, storico della Fraternità San Pio X. Hanno chiesto scusa in queste ore alla memoria ebraica i vescovi svizzeri, sul cui territorio sta la sede centrale del movimento scismatico, ma i lefebvriani no.
D´altronde basta leggere cosa fiorisce nella galassia reazionaria e tradizionalista per capire le radici lontane dell´odio antigiudaico. Sacrum Imperium, una delle associazioni così appassionate del rito tridentino in latino, si chiede via internet se ormai un vescovo cattolico debba essere obbligato a «inchinarsi al mondo e avere l´indispensabile assenso del rabbinato».
Ha ragione Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, a dire che il problema non riguarda un singolo negazionista, ma tocca la visione complessiva del movimento lefebvriano che il Vaticano si prepara ad accogliere nella riconciliazione. Si può dire anche di più. Il problema non riguarda solo i lefebvriani o gli ebrei, la questione interpella i cattolici tutti e insieme tutti coloro che considerano la Chiesa cattolica portatrice di un messaggio etico rilevante per la società contemporanea. E che proprio per questo hanno seguito con interesse i dibattiti del Concilio, il cammino di Giovanni Paolo II e il pensiero di Benedetto XVI.
C´è un mondo di credenti e diversamente credenti e anche di non credenti, che ha guardato con attenzione all´assemblea conciliare quando mons. Marcel Lefebvre difendeva la concezione del popolo ebraico «deicida» e questo mondo si è rallegrato con i vescovi nel momento in cui è stata votata la dichiarazione Nostra Aetate, che ha spalancato la porta al dialogo tra la Chiesa e gli ebrei, seppellendo l´antigiudaismo. La «più autorevole svolta cattolica nei confronti dell´ebraismo»: parole dell´Osservatore Romano.
Ora i frutti di questa svolta sono in forse. Non perché la Chiesa cattolica abbia cambiato linea e tantomeno perché Benedetto XVI abbia intenzione di non proseguire il dialogo con il mondo ebraico. Al contrario, il pontefice è intimamente legato al popolo e al retaggio di Abramo e in un lontano discorso a Gerusalemme, da cardinale, delineò con passione l´incontro mistico alla fine dei tempi tra le due tradizioni di fedeltà al Signore.
La crisi nasce dal fatto che tutti oggi si chiedono se Richard Williamson sia o no da considerarsi un vescovo della Chiesa cattolica. Nei giorni passati il portavoce papale, l´Osservatore Romano e la Radio vaticana hanno ben rappresentato la posizione ecclesiale assolutamente contraria ad ogni espressione di negazionismo, che � lo ha scritto efficacemente la storica Anna Foa � è la maschera dell´antisemitismo.
Ma le precisazioni dei media vaticani in questo frangente non sono sufficienti. E´ dai massimi livelli della gerarchia che deve arrivare il segnale chiarificatore atteso dal mondo ebraico (e non solo). Il silenzio mantenuto nei giorni passati non è il modo migliore per gestire la seconda grande crisi apertasi, dopo il discorso di Ratisbona, fra la Chiesa e una delle grandi religioni mondiali.
E´ dal vertice dell´istituzione ecclesiastica che si aspetta di sapere se un vescovo cattolico può negare la Shoah e soprattutto se questo personaggio sia effettivamente vescovo. Chi è oggi Richard Williamson? Un semplice fedele, cui è stata tolta la scomunica ma che rimane sospeso a divinis e non può esercitare nessuna funzione sacra, come mostra di suggerire l´episcopato svizzero? Oppure è un confratello del vescovo di Roma e membro dell´episcopato mondiale? La risposta può venire soltanto dal palazzo vaticano.
Il Papa si in seguito espresso, anche se resta non chiarito se Williamson potrà o meno esercitare il suo ruolo di vescovo presso i fedeli cattolici, diffondendo, prevedibilmente, anche le sue aberranti tesi antisemite
http://www.corriere.it/cronache/09_gennaio_28/rabbinato_vaticano_williamson_6e2d71ea-ed22-11dd-b7f1-00144f02aabc.shtml
Da La STAMPA, un articolo di Miguel Gotor "La buona reputazione del vescovo negazionsta", pagina 34:
La decisione della Santa Sede di rimettere la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani ha suscitato la perplessità e le condivisibili rimostranze di molti cittadini italiani, appartenenti alla comunità ebraica e non solo. Prevediamo l’obiezione dei radicali, cattointegristi o laicisti che siano: sono questioni interne alla Chiesa e quindi «silenzio e obbedienza, quando si pronuncia il Papa», oppure «chi se ne importa, sono affari loro». A questi opposti ma convergenti argomenti rispondiamo che siamo fra quanti ritengono che la Chiesa cattolica e tutte le altre religioni abbiano il diritto-dovere di partecipare al dibattito pubblico e di non vedere confinata la propria azione in un recinto privato. Ma appunto per questo siamo contrari a che non si possa intervenire su determinati pronunciamenti ecclesiastici: in una democrazia, il dibattito si nutre di dialogo e di rispetto reciproci, senza che nessun soggetto possa pretendere di parteciparvi in modo unilaterale eludendo il momento del confronto e quello della critica.
La prima perplessità è nell’avere riammesso i quattro vescovi senza alcun atto di pentimento: non è stata una grazia, ma una resa, come mostrano anche i documenti di questi giorni della Fraternità sacerdotale di San Pio X, in cui ora si rivendica il diritto «di mettere sul tappeto le ragioni dottrinali di fondo che essa ritiene essere all’origine degli attuali problemi della Chiesa».
La seconda perplessità scaturisce dalle conseguenze pastorali di quest’atto: non solo la Chiesa prepara le condizioni per reintrodurre una schiera di 500 sacerdoti intrisi di cultura antisemita, ma, dal 24 gennaio 2009, annovera al suo interno addirittura un vescovo negazionista, l’ormai noto Richard Williamson, il quale ha negato l’esistenza delle camere a gas. Su un tema tanto infamante sarebbe stato auspicabile ottenere una pubblica ritrattazione preventiva da parte del monsignore, un atto formale di obbedienza prima di procedere alla riconciliazione. In un prevedibile futuro, la Fraternità di San Pio X, con la sua gerarchia vescovile, potrà fare proselitismo nelle diocesi in modo manifesto o occulto e quest’azione riguarderà ciascuno di noi: sono i nostri figli a giocare a calcio negli oratori, ove potranno trovare chi li indottrina all’antisemitismo, una malapianta che per secoli è allignata nel giardino del cristianesimo in generale e del cattolicesimo in particolare, e che per quanto riguarda la Chiesa di Roma ha avuto con Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II un momento di svolta teologico, culturale e simbolico provvidenziale. Quel Concilio che, in un documento del 24 gennaio 2009 continua a non essere accettato dalla Fraternità di San Pio X.
La terza perplessità concerne i tempi tecnici scelti per la comunicazione del provvedimento: si è deciso, deliberatamente, di renderlo noto il giorno dell’anniversario dell’annuncio del Concilio Vaticano II, inserendo quindi quest’atto dentro una polemica anti-conciliare, ossia dentro la pietra dello scandalo lefebvriano. Ciò è avvenuto a tre giorni dalla celebrazione del Giorno della Memoria in ricordo delle vittime della Shoah. Non poteva essere scelto momento meno opportuno per fare del negazionista Williamson un vescovo della Chiesa di Roma, vale a dire, secondo il vigente Codice di diritto canonico, un pastore esemplare e un maestro di dottrina per i fedeli, giudicato idoneo all’episcopato in quanto «gode di buona reputazione» (Can. 378 - §1). Da parte di chi? Qui sta il punto, che turba la coscienza morale, civile e religiosa di ognuno di noi.
Da L'OPINIONE, un'intervista di Dimitri Buffa al rabbino Di Segni "Il problema sono i lefebvriani":
“Le dichiarazioni negazioniste della Shoà del reverendo Williamson non nascono dal nulla, il problema sono i Lefebvriani, che portano avanti la teoria tradizionalista degli ebrei come popolo deicida. Rivalutare loro significa rivalutare quelle teorie che poi portano al negazionismo, se il Papa non interverrà decisamente sulla questione il vulnus con gli ebrei rimarrà aperto”.
Le parole del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni sono chiare, forti e inequivocabili, adesso la palla passa di nuovo alle gerarchie della chiesa cattolica.
Rav Di Segni, questa riammissione nella comunione cattolica del reverendo Williamson sarebbe un vulnus con gli ebrei se il Papa non ci metterà una pezza?
Non direi “sarebbe”. E’ un vulnus.
Il problema è solo la dichiarazione negazionista di Williamson?
No, è allarmante l’intero pensiero di questo gruppo di Lefebvriani, Lui magari è il caso più eclatante.
Come a dire che non c’era alcuna fretta di riammetterli?
Il perdono è un problema loro, non nostro. La questione che si pone invece è un’altra: quanto il pensiero lefebvriano diventerà influente sull’intera comunità cattolica se tollerato come legittimo?
Cosa c’è di inquietante nel pensiero lefebvriano?
La teoria del deicidio, il rigetto del concilio Vaticano II, fino ad arrivare al negazionismo vero e proprio.
Quindi non ci si deve cristallizzare su Williamson?
No, perché le sue dichiarazioni non nascono dal nulla, ma da quel terreno ad esse favorevole.
In genere questo Papa ha portato avanti o viceversa ha fatto retrocedere il dialogo con gli ebrei?
Mi sono espresso già tante volte e non mi voglio ripetere: diciamo che ha dato un contributo originale. Sui generis. Senza giudizi trancianti.
Questo episodio della riabilitazione dei Lefebvriani ha un po’ rovinato la giornata della memoria?
No gli ha dato un significato più attuale.
Le recenti manifestazioni di anti semitismo che si sono svolte in Europa e in Italia con il pretesto della guerra a Gaza che cosa suggeriscono?
Che la giornata della memoria è quanto mai attuale visto che in molti tendono a dimenticare la Shoà quando c’è di mezzo Israele, che è uno stato che ha il diritto di difendersi dal terrorismo come qualunque altro.
Ma l’attuale anti semitismo è più di destra, di sinistra, cattolico integralista o islamo-fanatico?
Diciamo che è in corso un’alleanza trasversale tra queste tendenze.
Un'analisi più generale di Alessandro Litta Modignani "Alleanze difficili, Vaticano in affanno":
Le gerarchie vaticane stanno attraversando un momento politico di forte affanno. La tela pazientemente tessuta sembra essersi improvvisamente e violentemente strappata. La strategia delle alleanze, prudentemente costruita, mostra di colpo tutte le sue ambiguità e i suoi limiti. Il processo di secolarizzazione delle società occidentali si appresta forse a conoscere una nuova fase di forte accelerazione. Lo scorso anno, due erano state le tappe fondamentali del disegno vaticano sulla scena internazionale: i viaggi del Papa in Usa ad aprile e in Francia a settembre. Nel primo, Benedetto XVI aveva parlato di “religione non solo tollerata, ma valorizzata come fondamento della società”; nel secondo, aveva accennato alla “laicità positiva” della politica francese, presumibilmente contrapposta alla laicità negativa di altri governi europei. Oggi entrambi questi tentativi si rivelano infruttuosi e, prima ancora di essere costruito, l’edificio politico già crolla come un castello di carte. All’Onu la Francia presenta, a nome dell’intera Ue, una mozione per la depenalizzazione universale dell’omosessualità, costringendo il Vaticano a schierarsi con i paesi che puniscono questa attitudine con la pena di morte. Un danno politico e d’immagine di proporzioni enormi. Ancor più pesanti le conseguenze dell’elezione di Obama. Il neo-presidente ha annunciato da subito lo sblocco dei fondi alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, successivamente il sostegno alle organizzazioni che aiutano la pianificazione delle nascite, aborto compreso. Nell’opinione pubblica americana sembra definitivamente prevalere la tendenza “pro choice”, rispetto alla linea “pro life” dei movimenti tradizionalisti.
Sul piano teologico, le cose vanno anche peggio. L’annuncio della revoca della scomunica ai vescovi lefevriani, che avrebbe dovuto rappresentare un successo del disegno restauratore e pre-conciliare di Ratzinger, è stata subito offuscata dalla notizia che fra costoro vi è anche Richard Williamson, negazionista antisemita. “Le sue posizioni personali non impegnano la Chiesa” ha balbettato padre Lombardi nel tentativo di parare il colpo, quando il danno era ormai irreparabile. Dopo la questione della messa in latino, con tanto di preghiera per la conversione degli ebrei, il dialogo con questi ultimi diventa ora difficilissimo, e non solo in Italia
Anche nel nostro paese, dove il Vaticano si era trincerato per rinserrare i ranghi, l’egemonia della Chiesa presenta segni di crisi. Nonostante gli ostruzionismi di Eugenia Roccella a destra e di Paola Binetti a sinistra, è possibile che fra pochi giorni - in Friuli, in Lombardia o in Piemonte poco importa – “sia fatta la volontà di Eluana”, sconfiggendo quella cultura della sofferenza che da sempre è il terreno di coltura del potere sacerdotale. L’introduzione della pillola abortiva Ru 486 nel sistema sanitario nazionale, sulla base della normativa europea, si annuncia come la prossima tappa di questo calvario . E non ci si illuda: il capo del governo, “eticamente anarchico” e attento come nessun altro ai sondaggi d’opinione, continuerà tranquillamente a fare il pesce in barile. Per quanto le gerarchie vaticane si ostinino a battere con insistenza sul tasto “rewind”, il nastro della Storia non si riavvolge e il processo di secolarizzazione della società occidentale continua inesorabilmente il suo corso.
"L'ambasciatore: non basta, parlino i vertici vaticani", da pagina 2 del CORRIERE della SERA, di Gian Guido Vecchi
Jerusalem Post è arrivato a chiedere che fosse «richiamato per consultazioni a Gerusalemme ». Mordechay Lewy, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, sorride quando glielo si racconta: «Per quanto ne so, la politica estera è decisa dal ministro, non da editoriali...». La faccenda non ha nulla a che fare con l'atteso viaggio in Israele del Papa. Certo però che la situazione non è facile, e il comunicato dei lefebvriani non cambia l'essenziale. L'ambasciatore alza lo sguardo e sillaba: «Ci aspettiamo che dalla Santa Sede, ai più alti livelli, ci sia un chiarimento sia interno alla Chiesa sia esterno».
Signor ambasciatore, perché chiede un chiarimento?
«Vede, la controversia sulla preghiera del Venerdì Santo era una questione teologica molto importante ma riguarda gli "interni", e sfugge all'attenzione del pubblico più vasto».
In effetti era difficile che un vescovo negazionista sfuggisse all'attenzione generale...
«Questo è il punto. È ad un tempo un problema teologico e "politico", inteso come pubblico. In tutto il mondo se ne sta parlando, ci sono siti Internet che plaudono a questo vescovo negazionista ».
In che senso parla di chiarimento all'interno?
«Nel senso di confermare che i documenti conciliari che riguardano il rapporto con gli ebrei, come la dichiarazione
Nostra Aetate del '65, sono vincolanti per i cattolici ».
E quello esterno?
«Per fare chiarezza e dire che la Chiesa respinge qualsiasi forma di negazionismo della Shoah o avversione verso gli ebrei. Senza una presa di posizione ufficiale, rischia di passare il messaggio che certe cose si possono dire».
In questi giorni L'Osservatore Romano ha parlato di «frasi inaccettabili», del negazionismo come «menzogna antisemita», dedicato pagine e pagine alla memoria della Shoah...
«Ciò che ha scritto l'Osservatore è certo importante ma non può bastare. Davanti al mondo occorre una dichiarazione ufficiale».
Dalla visita alla sinagoga di Colonia al viaggio ad Auschwitz, Benedetto XVI ha più volte parlato della Shoah. Non basta?
«Condannare i negazionisti della Shoah non è una cosa che si dovrebbe essere stanchi di ripetere ancora e ancora, anche perché abbiamo ragione di credere che non sia accettata da tutti, sia dentro sia fuori la Chiesa».
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