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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - L'Opinione - La Stampa Rassegna Stampa
28.01.2009 I terroristi rompono la tregua
le cronache di Davide Frattini e Michael Sfaradi, un'intervista al ministro degli Affari europei Andrea Ronchi

Testata:Corriere della Sera - L'Opinione - La Stampa
Autore: Davide Frattini - Michael Sfaradi - Andrea Ronchi
Titolo: «Lampi di guerra a Gaza: agguato e incursione - I terroristi spezzano la tregua mediorientale - Gli europei devono unirsi contro Hamas»
Da pagina 6 del CORRIERE della SERA del 28 gennaio 2009, la cronaca di Davide Frattini "Lampi di guerra a Gaza: agguato e incursione" :

GERUSALEMME — Sono passati dieci giorni dal cessate il fuoco fragile, ne mancano dieci a quello rinvigorito. In mezzo, il sequel alla guerra di Gaza, cominciato con un attacco sul confine. Un commando palestinese ha fatto esplodere una carica al passaggio di una pattuglia israeliana, un soldato è rimasto ucciso. Le truppe hanno risposto con un'incursione, negli scontri è morto un miliziano. Il missile sparato da un drone ha ferito un leader delle Brigate Ezzedin Al Qassam, che si stava muovendo in moto nel campo rifugiati di Khan Yunis. I tank e i bulldozer hanno perlustrato la zona attorno al valico di Kissufim, per scoprire altre cariche nascoste. Tzipi Livni, ministro degli Esteri, è entrata in campagna elettorale e sembra pronta a rientrare con l'esercito a Gaza: «Se c'è un attacco contro di noi, non dobbiamo mostrare moderazione». Anche Ehud Barak, ministro della Difesa, in visita a un'accademia militare, parla di «reazione». Il premier Ehud Olmert dice che quella vera deve ancora arrivare. Nella notte, secondo fonti di Hamas e abitanti di Rafah, un aereo israeliano ha bombardato alcuni tunnel al confine tra la Striscia e l'Egitto.
Mushir Al Masri, tra i leader di Hamas, fa sapere che il movimento non ha accettato un cessate il fuoco, solo una pausa nei combattimenti. Ismail Haniyeh usa parole più concilianti, almeno attorno alla sfida per la ricostruzione. Il premier deposto ha dichiarato dal suo nascondiglio di non volere controllare i fondi che verranno distribuiti dalla comunità internazionale. Da Ramallah, Abu Mazen, presidente palestinese, ha attaccato il movimento integralista. Accusa Khaled Meshal, capo di Hamas in Siria, di essere responsabile dei ventidue giorni di conflitto: «Andrebbe processato in un altro Paese».
I negoziati portati avanti dagli egiziani puntano a definire una tregua stabile, di almeno un anno. Il Cairo ha riaperto anche le trattative per lo scambio di prigionieri.
Poche ore dopo l'attacco al valico israeliano, la nuova amministrazione di Barack Obama si è fatta sentire. George Mitchell, inviato americano per il Medio Oriente, è arrivato in Egitto. Hillary Clinton, segretario di Stato, ha avvertito: «Purtroppo i leader di Hamas sembrano essere convinti che sia nel loro interesse provocare il diritto all'autodifesa invece di creare un miglior futuro per la gente di Gaza». Il presidente, in un'intervista ad Al Arabiya,
ha avvertito anche gli israeliani: «Entrambe le parti si devono rendere conto che la strada che hanno intrapreso non porterà alla prosperità e sicurezza per i loro popoli. È tempo di negoziare ».

Da L'OPINIONE, la cronaca di Michael Sfardi "I terroristi spezzano la tregua mediorientale":

Ieri mattina intorno alle 8.00 locali, le sette ora italiana, palestinesi hanno fatto esplodere, al passaggio di una pattuglia israeliana sulla linea di confine con la Striscia di Gaza, una bomba la cui deflagrazione ha colpito in pieno il mezzo sul quale viaggiavano i militari israeliani. Sono rimasti a terra un soldato morto e tre feriti di cui uno in gravi condizioni. Nel pomeriggio un elicottero dell’aeronautica militare israeliana ha colpito, a Khan Yunis, una motocicletta sulla quale viaggiavano due militanti di Hamas. Secondo fonti dell’esercito israeliano, i due trasportavano una rampa e un missile Qassam e si stavano accingendo a lanciarlo contro il territorio israeliano. Questo è il primo scontro grave che si registra dal giorno che l’esercito israeliano ha lasciato la Striscia di Gaza, e va aggiunto anche che la radio palestinese ha ricominciato le trasmissioni di propaganda al martirio. In Israele si respira un’aria particolare, non bisogna dimenticare che siamo in piena campagna elettorale che le elezioni sono alle porte. Hamas, probabilmente, sta facendo un gioco sporco per sondare le reazioni israeliane dopo l’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca per capire se il governo di Gerusalemme ha le mani legate oppure no. La reazione immediata, come l’elicottero che ha colpito a distanza di poche ore, dovrebbe aver dato una risposta chiara ed inequivocabile. Le truppe che hanno partecipato all’operazione sulla Striscia di Gaza e che hanno passato gli ultimi giorni vicino alla linea di confine, sono state immediatamente messe in stato di massima allerta in attesa di ordini che potrebbero non tardare ad arrivare. Questo ha fatto rialzare repentinamente la tensione e, secondo tutti (osservatori e gente comune) si ha la netta sensazione che la questione sia ancora aperta e che “Piombo Fuso” potrebbe avere una rapida riedizione in tempi brevi. Hamas, nella sua follia, non aveva mai annunciato un cessate-il-fuoco con i militari, ed in questo, forse, l’attentato di oggi trova una spiegazione. Forse nella mente dei dirigenti islamici palestinesi ancora non è entrata bene l’idea che Israele non è più disposta a subire, sia quando gli obiettivi sono civili sia quando sono militari. E se in questa occasione l’esercito israeliano si è limitato ad una risposta quanto meno simbolica, è facile prevedere che di fronte ad uno stillicidio di attentati, la risposta potrebbe essere violenta tanto quanto quella appena terminata. Durante il notiziario della radio militare un generale che ha voluto conservare l’anonimato, ha pronunciato una frase che riassume il sentimento comune di tutti gli israeliani, e cioè: “E’ questo il momento in cui l’Europa dovrebbe far sentire il suo peso non su Israele ma su Hamas e sulla popolazione palestinese, che probabilmente non si rende conto quali altri lutti e disgrazie sta attirando su di sé”.

L'intervista di Emanuele Novazio al ministro Andrea Ronchi, "Gli europei devono unirsi contro Hamas", da pagina 15 de La STAMPA:

Ministro Andrea Ronchi, in una lettera al collega ceco Alexandr Vondra, responsabile degli Affari europei e vice premier, lei chiede che il semestre di presidenza Ue sia segnato da un’azione forte contro terrorismo e fondamentalismo, e da aiuti al mondo arabo moderato. Come dire: tutti uniti contro Hamas?
«Sì, perché Hamas non è soltanto un’organizzazione terroristica. E’ un’alleanza internazionale contro l’Occidente che dispone di molti soldi, per giunta».
Come ha documentato il Tg3: 50 milioni di dollari in risarcimenti alle vittime civili degli attacchi di Israele.
«Appunto. Da dove arrivano questi soldi? Se pensiamo che nel Giorno della memoria il portavoce di Ahmadinejad ha negato l’Olocausto e che quotidianamente Teheran incita alla distruzione di Israele, è facile fare 2+2. Per questo l’Europa deve trovare una grande unità politica contro Hamas».
Non tutti la pensano così, sul movimento islamico. La Francia, per esempio, ne parla come di un «interlocutore».
«Nel 2005 il ministro Fini lo ha fatto inserire nella lista nera europea del terrorismo. Si deve ripartire da lì. Si tratta di combattere un’organizzazione che nel suo statuto ha la distruzione di Israele. Concordo con Frattini: la ricostruzione a Gaza non deve passare attraverso le ong di Hamas».
Ma nell’Ue si sta consolidando la convinzione che senza la riconciliazione fra palestinesi non ci sarà mai pace con Israele, e che dunque Hamas va recuperato.
«Non capisco come ci possa essere dialogo con chi vuole la distruzione di uno Stato libero e democratico. L’interlocutore è Abu Mazen».
Che è molto debole.
«Lo diventerà ancora di più se l’Europa continuerà a strizzare l’occhio ad Hamas. Oggi il negazionismo va di pari passo con l’antisemitismo e il fondamentalismo. Non ci accorgiamo che il negazionismo è il tentativo culturale di dare forza all’antisemitismo e di cancellare dalla coscienza del mondo l’oltraggio al popolo ebreo? Che l’antisemitismo diventa attacco diretto allo Stato di Israele? E che tutto questo ha ricadute dirette su di noi?»
Nel senso?
«E’ vero che gli antisemiti confessi in Italia sono il 13%, contro il 25% in Germania e il 46% in Spagna. Ma c’è stata scarsa sollevazione culturale quando Hamas ha chiesto la distruzione di Israele. E quando una folla di islamici si è riunita in preghiera davanti al Duomo di Milano, a Bologna e davanti al Colosseo, una provocazione, è diventato chiaro che si vogliono creare nella nostra società elementi di profondo malessere e schiacciare i mulsulmani moderati. Le immagini di Milano e Bologna hanno avuto nel mondo lo stesso impatto di quelle della monnezza di Napoli. Dobbiamo dare forza ai moderati che accettano l’integrazione e sono contro il fondamentalismo».
In concreto?
«Con un grande lavoro culturale. A cominciare dalla scuola. Con la prevenzione e la repressione».

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