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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
22.01.2009 Medio Oriente e Guantanamo: prime mosse di Obama sulla politica estera e sulla sicurezza
la cronaca di Maurizio Molinari, l'intervista di Alessandra Farkas ad Alan Dershowitz

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Alessandra Farkas
Titolo: «Fermate subito i processi a Guantanamo - Applausi con riserva: quei detenuti non potremo giudicarli»
Da pagina 3 de La STAMPA del 22 gennaio 2009, "Fermate subito i processi a Guantanamo":

La politica estera di Barack Obama inizia con la telefonata a un presidente senza Stato: il palestinese Abu Mazen.
In un debutto internazionale minuziosamente pianificato, Obama ha dedicato le prime quattro chiamate a leader stranieri a sottolineare che il Medio Oriente sarà in cima alla sua agenda. Ha incominciato con Abu Mazen, continuato con l’israeliano Ehud Olmert, l’egiziano Hosni Mubarak e terminato con il re giordano Abdullah. L’ordine con il quale sono state fatte le chiamate non è trapelato dalla Casa Bianca, ma da fonti palestinesi a Ramallah, che hanno dato notizia del colloquio con Abu Mazen con largo anticipo sulle altre capitali della regione.
Il portavoce Robert Gibbs ha spiegato la scelta del debutto sul Medio Oriente con «l’intento di comunicare sin dal primo giorno l’impegno attivo per perseguire la pace arabo-israeliana, esprimendo la speranza di continuare la cooperazione» che i quattro leader hanno finora avuto con gli Stati Uniti. E a conferma che Obama punta a bruciare le tappe c’è quanto Gibbs dice sulla posizione del presidente sul «dopo-conflitto a Gaza»: «Obama ha sottolineato la determinazione a lavorare per consolidare il cessate il fuoco creando un efficace regime anti-contrabbando per prevenire il riarmo di Hamas e facilitare una significativa ricostruzione per i palestinesi a Gaza, d’intesa con l’Autorità palestinese».
E’ già una piattaforma d’azione: il partner per la ricostruzione nella Striscia di Gaza è Abu Mazen e la necessità più impellente è di impedire ad Hamas di avere altre armi. In questa maniera Obama disegna una continuità con l’operato dell’amministrazione di George W. Bush nelle ultime settimane e punta a rispondere agli interrogativi rimbalzati dalle capitali straniere sul suo approccio alla crisi di Gaza. Si spiega anche così la rapida designazione dell’inviato presidenziale per il Medio Oriente: George Mitchell, l’ex senatore democratico già protagonista dell’accordo di pace in Irlanda del Nord a cui Bill Clinton affidò, al termine della presidenza, proprio il compito di occuparsi del dossier israelo-palestinese.
Sul fronte interno, la prima decisione in materia di sicurezza nazionale riguarda invece la prigione per terroristi di Guantanamo, perché lo staff di Obama ha redatto un ordine esecutivo che stabilisce l’immediata sospensione per 120 giorni di tutti i processi ai rimanenti 245 detenuti di «Camp Justice» e al tempo stesso dà disposizione «di chiudere le strutture di detenzione in più presto possibile e non più tardi da un anno a partire dalla data di questo ordine».
In concreto ciò significa il blocco dei processi militari ordinati dall’amministrazione Bush, la richiesta al ministro della Giustizia Eric Holder di varare entro quattro mesi la cornice legale per processare i presunti terroristi in America e la disposizione al Pentagono di iniziare a programmare lo smantellamento del carcere.
«Da tempo le intenzioni di Obama sulla prigione di Guantanamo erano note, questo è il primo passo compiuto nella direzione voluta» ha spiegato il portavoce Bryan Whitman, facendo capire che si tratta di una decisione tesa a far coincidere «ideali e sicurezza» proprio come promesso da Barack agli americani nel discorso del giuramento pronunciato a Washington.
Mandati i primi due segnali su Medio Oriente e Guantanamo, Obama nel pomeriggio ha ricevuto i vertici militari - incluso il generale David Petraeus - e riunito i consiglieri sulla sicurezza nazionale per chiedergli di preparare i «nuovi piani» ovvero il ritiro delle truppe in Iraq «entro 16 mesi» e l’aumento in tempi stretti del contingente in Afghanistan «per aumentare la pressione sui taleban e Al Qaeda». Nel caso dell’Iraq le disposizione di Obama riguardano anche la necessità di lasciare sul terreno un numero sufficiente di truppe per «scongiurare attività di gruppi terroristi e garantire la stabilità» pur escludendo la «creazione di basi permanenti». In coincidenza con la riunione di Washington, il governo di Baghdad ha recapitato la richiesta di «accelerare il ritiro quanto possibile».
Al termine della giornata Obama ha avuto anche il suo Segretario di Stato. Con 94 voti a favore contro 2 il Senato ha infatti approvato la nomina di Hillary Clinton al posto finora ricoperto da Condoleezza Rice. L’esito della votazione non è mai stato in dubbio, ma vi sono stati momenti di tensione per l’intervento del senatore repubblicano del Texas, John Cornyn, che dopo aver bloccato la designazione da parte della commissione Esteri ha fatto un lungo intervento in aula sollevando la necessità di «discutere apertamente il ruolo della Fondazione Clinton» e rilanciando così i sospetti sul conflitto di interessi di Hillary a causa dei finanziamenti raccolti dal marito Bill.

Dal CORRIERE della SERA, apagina 3, l'intervista di Alessandra Farkas a Alan Dershowitz, "Applausi con riserva: quei detenuti non potremo giudicarli" :

WASHINGTON — «Quella del presidente Obama è una mossa molto simbolica e importante, che applaudo ma con riserva.
Perché il simbolismo, da solo, non risolve i veri problemi dietro Guantanamo.
Servono decisioni estremamente dure che non soddisferanno tutti». Parla Alan Dershowitz, il principe del foro Usa che nel 2002 fece scandalo proponendo la legalizzazione della tortura dei terroristi «quando questo può salvare vite umane».
«Guantanamo oggi simboleggia gli abusi peggiori dell'era Bush — dice —.
Annunciarne la chiusura e la sospensione dei processi manda un fortissimo "mezzo messaggio", perché resta il problema della sorte di quei detenuti. Non li lascerà certo liberi e la maggior parte di loro, anche se colpevoli, non possono essere processati e condannati nei normali tribunali Usa.
Abbiamo creato una nuova categoria di prigionieri, senza avere gli strumenti per deferirli alla giustizia».
Perché non è possibile processarli?
«Le prove contro di loro sono insufficienti oppure ottenute con metodi non ammessi dall'attuale sistema giudiziario. Mi riferisco alla tortura, alle intercettazioni e all'uso di informatori segreti».
Quanti sono i detenuti davvero colpevoli di Guantanamo?
«Penso che molti di loro siano terroristi di medio rango, pronti a compiere atti di terrorismo se liberati. Alcuni sono colpevoli per aver lavorato coi talebani e Al Qaeda».
Però ci sono anche tanti innocenti.
«E dovrebbero essere liberati subito. Ma non potendo essere processati secondo la legge vigente, dovremmo formulare un sistema giudiziario ad hoc. Ci vorrebbe un nuovo tipo di corte speciale ma con avvocati e alla luce del sole, che ammetta le prove speciali di cui parlavo prima.
Prima bisognerebbe creare un sistema di detenzione preventiva come quella usata dagli inglesi e altri europei. L'alternativa è imprigionarli per immigrazione illegale, in attesa di processo».
Alcuni Paesi europei si sono già offerti di ospitarli.
«Dovevano farlo: questi terroristi sono pronti ad attaccare i civili europei. Obama ha tutte le carte in regola per svolgere un ruolo costruttivo con l'Europa, convincendola a collaborare laddove Bush ha fallito. Ma dovrebbe accettare l'aiuto solo dei Paesi democratici, lasciando fuori nazioni amiche quali Giordania e Egitto».
La decisione di Obama intacca l'autonomia della magistratura?
«È un timore legittimo, i presidenti americani di solito non si intromettono nelle decisioni dei tribunali. Ma questo è un caso anomalo, riguarda la politica estera. Se Obama continuasse ad interferire su questioni giudiziarie la maggior parte degli americani che oggi l'applaude sarebbe critica».
Cosa pensa del no ad Obama dei quattro uomini ritenuti responsabili degli attentati terroristici dell'11-9?
«Obama deve ignorare gli aspiranti martiri, impedendogli di usare il nostro sistema legale per suicidarsi. L'America non deve cooperare coi loro sforzi per andare in paradiso».

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