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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Riformista - Il Foglio - Il Giornale - La Stampa Rassegna Stampa
21.01.2009 Gli aiuti a Gaza, il ruolo di Abu Mazen, gli scontri Hamas-Fatah
e inoltre: i rapporti tra Israele e Turchia e un'analisi poco lucida di Guido Ceronetti

Testata:Il Riformista - Il Foglio - Il Giornale - La Stampa
Autore: Anna Momigliano - la redazione - Gian Micalessin - Francesca Paci - guido ceronetti
Titolo: «Aiutare Gaza anche per l'Italia è un'impresa - La guerra apre le porte ai moderati -»

Da Il RIFORMISTA del 21 gennaio 2009, Aiutare Gaza anche per l'Italia è un'impresa di Anna Momigliano:

È arrivato il momento di pensare alla ricostruzione di Gaza: dopo tre settimane di bombardamenti, si stimano danni tra gli 1,5 e i due miliardi di dollari. L'Italia, che ha assunto la guida del G8 con l'inizio dell'anno, ha subito messo in chiaro che l'emergenza palestinese sarà la priorità della sua presidenza. Facile a dirsi, ma difficile a farsi. Perché, primo problema, Gaza è di fatto governata da Hamas, un'organizzazione terrorista con cui l'Unione europea non può avere contatti ufficiali. E poi, secondo problema, l'emergenza umanitaria potrebbe ampliarsi nei prossimi mesi nonostante la tregua in atto: infatti i principali rifornimenti raggiungevano Gaza attraverso i tunnel con l'Egitto, scavati clandestinamente per importare non solo armi e munizioni, ma anche cibo e carburante. Non a caso il quotidiano inglese Independent scriveva ieri che quella di Gaza «sarà una delle ricostruzioni post-belliche più difficili della storia».
Ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini si è recato personalmente al valico di Kerem Shalom per consegnare un primo pacchetto di aiuti. Si tratta generi di primissima necessità per un valore di circa 200 mila euro: kit medici in grado di curare 20 mila persone per tre mesi, sette generatori elettrici, due unità di potabilizzazione delle acque in grado di erogare 4 mila litri l'ora, 6 mila coperte e biscotti energetici.
Frattini ha annunciato di volere portare avanti un "Piano Marshall" per la ricostruzione della Striscia di Gaza, che prevede un coordinamento tra tutti i paesi del G8. Ieri inoltre Frattini ha incontrato il premier dell'Autorità palestinese Salam Fayyad e gli israeliani Ehud Olmert e Tzipi Livni, mentre oggi sarà a Sharm el-Sheik per incontrare il presidente egiziano Mubarak, artefice indiscusso di questa tregua.
Il presidente Giorgio Napolitano ha auspicato la creazione di uno Stato palestinese in una lettera a Mubarak. L'Italia insomma è determinata a ricoprire un ruolo di primo piano nel porre fine all'emergenza umanitaria a Gaza, collaborando con tutte le parti coinvolte. Con l'eccezione di Hamas, almeno per il momento. «L'unico nostro interlocutore è l'Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen» assicurano al Riformista dalla Farnesina. Ma il problema è che dentro la Striscia l'Anp non ha alcun potere. Anzi: proprio durante queste settimane di conflitto, Hamas ha ucciso decine decine di sostenitori di Fatah, il partito di Abu Mazen. E le prime ore di tregua - secondo il Jerusalem Post - avrebbero portato al parossismo il regolamento dei conti.
Per evitare un contatto diretto con Hamas, gli aiuti italiani sono stati consegnati direttamente nelle mani degli operatori umanitari alla Croce Rossa e dell'agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa). Ad accoglierli c'era Francesco Rocca, commissario speciale della Croce Rossa italiana (Cri): «È una catastrofe totale, 700 mila persone sono rimaste senz'acqua potabile» dice al telefono al Riformista. Non c'è nessun rischio che Hamas tragga beneficio dagli aiuti, assicura Rocca: «Il materiale è gestito direttamente da noi e dall'Onu. Semmai il problema è logistico, in queste condizioni fare arrivare gli aiuti alla popolazione è difficile». La Cri non lavora soltanto con la Mezzaluna Rossa palestinese ma anche con la Stella di David Rossa israeliana, tiene a precisare Rocca, che oggi incontra rappresentanti delle due organizzazioni umanitarie.
Ma le autorità israeliane nutrono qualche preoccupazione. Non tanto sugli aiuti immediati, quanto sul vero e proprio processo di ricostruzione: «Non bisogna permettere a Hamas di trarre in alcun modo legittimità dal processo di ricostruzione» aveva dichiarato il premier israeliano Olmert, poco prima di incontrare Frattini. Olmert ha anche incontrato il segretario dell'Onu Ban Ki-moon, che ha chiesto di aprire un'inchiesta sull'attacco israeliano contro due scuole dell'Unrwa.
Da tempo la stampa israeliana accusa Hamas di sequestrare gli aiuti umanitari inviati a Gaza. La scorsa settimana il Jerusalem Post riportava che Hamas avrebbe saccheggiato 100 camion carichi di aiuti, per poi rivendere il contenuto. Ieri il sito israeliano walla.co.il riferiva di un secondo incidente, citando fonti giordane: alcuni uomini armati avrebbero sequestrato un camion di aiuti destinati alla Striscia di Gaza nella tarda mattinata. La notizia per il momento non trova conferma da altre fonti: quella di razziare i convogli umanitari per rivendere cibo e medicinali è una pratica diffusa nei paesi africani dove le bande armate controllano il territorio, ma rappresenterebbe una novità per la i Territori palestinesi.

Da pagina 3 del FOGLIO, l'editoriale "La guerra apre le porte ai moderati":


Abu Mazen ha proposto immediate trattative con Hamas per un governo di unità nazionale e subito dopo elezioni presidenziali e politiche congiunte, ma ancora una volta non ha molte possibilità di successo. Si può dire infatti che l’invasione israeliana di Gaza è stata motivata proprio dal rifiuto da parte di Hamas di queste proposte. E’ stata Hamas a fare saltare l’accordo tra al Fatah e Hamas che doveva essere firmato a Dubai il 22 novembre. E’ stata Hamas a sostenere che Abu Mazen è decaduto dai suoi poteri (il che è peraltro vero) il 9 gennaio e a rifiutare di sciogliere in anticipo un Parlamento in cui è maggioritaria. Ma Hamas, ora, è a pezzi sul piano militare e su quello politico. La guerra infatti ha provocato uno strappo tra la direzione siriana e i dirigenti legati al territorio. Non solo, Tsahal ha operato a Gaza in maniera pianificata, distruggendo gli interessi dei clan che con Hamas avevano lucrato potere e fortune e che oggi sanno di essere allo stremo, soltanto per colpa della follia dei lanci di razzi su Sderot. Le possibilità quindi ora sono due: la meno probabile è che Hamas accetti oggi quel patto con Abu Mazen che ha rifiutato a novembre. La quantità di militanti di Abu Mazen trucidati a Gaza e che ancora oggi Hamas uccide ha talmente approfondito il solco che una ricomposizione pare difficile. La seconda possibilità è che Israele sia riuscita a staccare consistenti clan dall’ambito di Hamas e che quindi, nel caso Hamas rifiuti l’accordo, si facciano avanti personalità indipendenti di Gaza che entrerebbero in sua vece nel governo di Abu Mazen. Nell’uno e nell’altro caso, avremo l’ennesimo esempio di un’affermazione di “arabi moderati” soltanto grazie all’impegno militare di Israele (come già con Sadat) o dell’occidente. Resta comunque l’incognita finale: in caso di voto, quanti consensi raccoglierà Abu Mazen con la sua sfilacciata al Fatah? Dal 1920 in poi, la vera maledizione della Palestina è sempre questa: lo scarso seguito popolare dei suoi leader moderati

Gian Micalessin a pagina 16 del GIORNALE racconta "A Gaza la vendetta di Hamas Accecati traditori di Fatah"

Francesca Paci Paci a pagina 19 de La STAMPA racconta la crisi tra "Israele e Turchia I vecchi amici non si amano più", dopo la richiesta di Erdogan di espellere dall'Onu lo Stato ebraico.

"C' un altra via per capire Israele ? " si chiede Guido Ceronetti a pagina 40 del quotidiano torinese. Certo non la via del confronto con la realtà concreta. Il suo articolo più che quest'ultima riguarda altezze celestiali nelle quali non ci avventuriamo.
Solo una precisazione, sui fatti della storia. Lawrence d'Arabia, se pure lo si può definire il padre del nazionalismo arabo, non fu affatto, come quest'ultimo, antisemita. Anzi, gli studi più recenti hanno rivelato la sua adesione al sionismo.

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