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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.01.2009 La strategia dell'Iran, la tregua dopo il disarmo di Hamas
due editoriali

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Fareed Zakaria - la redazione
Titolo: «Se Gaza soffre, Teheran ride - Quando Hamas sarà disarmato»

Le operazioni militari israeliane a Gaza rafforzano il potere ideologico dell'Iran nel mondo islamico, sostiene Fareed Zakaria in un editoriale scritto per Newsweek e pubblicato dal CORRIERE della SERA del 16 gennaio 2009.
L'analisi di Zakaria parte dall'assunto, enunciato dall'analista Vali Nasr che
"l'Iran non ha interessi tangibili a Gaza o nei territori palestinesi " e sulla supposizione che Hamas non prenda ordini da Teheran.
Hamas però, insieme a Hezbollah, è l'organizzazione che consente all'Iran di portare la guerra contro Israele ai confini dello Stato ebraico. E all'interno di Hamas gli avversari delle ipotesi di tregua sono proprio quelli che guardano a Teheran.
Il confronto tra Israele e l'Iran, diversamente da quanto pensa Zakaria, non riguarda solo il "soft power": è già un conflitto militare, grazie al sostesgno di Teheran al terrorismo.

Ecco il testo dell'articolo, a pagina 36, Se Gaza soffre, Teheran ride:



Per spiegare la portata e l'impatto delle azioni militari di Israele a Gaza, diverse personalità israeliane sostengono che il vero nemico con cui si scontrano non è Hamas, bensì l'Iran. Lo storico Michael Oren, attualmente portavoce dell'esercito israeliano, è convinto, assieme a Yossi Klein Halevi, che «l'operazione contro Hamas rappresenta un'opportunità unica per assestare un colpo strategico all'espansionismo iraniano». Il presupposto è che Hamas sia spalleggiato dall'Iran: se si annienta la sua forza militare, si indebolirà Teheran, ostacolandone i programmi.
Ma è quello che sta realmente accadendo?
Anzitutto Hamas non è una pedina dell'Iran. A dire il vero, per decenni l'Iran ha preferito finanziare un'altra fazione palestinese, la Jihad islamica.
Negli ultimi tempi, Hamas ha accettato aiuti e armamenti dall'Iran, ma ciò non significa che sia ai suoi ordini. Le provocazioni di Hamas e il mancato ripristino del cessate il fuoco sono state iniziative prese probabilmente senza consultare Teheran.
Ma, occorre chiedersi, in che modo le azioni militari israeliane hanno indebolito l'Iran? «L'Iran non ha interessi tangibili a Gaza o nei territori palestinesi — afferma Vali Nasr, autore de «La rinascita sciita» —. Non è da questo che trae la sua forza. La vera influenza esercitata nel mondo arabo deriva dal suo potere soft, dalla reputazione di difensore della grande causa palestinese».
Guardiamo alle conseguenze dell'invasione. I Paesi arabi moderati sono sulla difensiva. In Egitto il regime di Hosni Mubarak detesta Hamas, perché visto come propaggine dei Fratelli musulmani, dichiarati fuorilegge. Ma dopo aver accusato gli islamisti durante i primissimi giorni dell'assalto israeliano, oggi Mubarak si è nuovamente unito al coro di condanne contro Israele. Anche Giordania e Arabia Saudita sono tornate sui propri passi, come avevano fatto nel 2006 durante la guerra tra Israele e Hezbollah.
Se i governi arabi moderati tacciono, gli iraniani invece si sono fatti sentire ovunque. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad ha denunciato a gran voce le azioni israeliane. La Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, ha accusato i regimi arabi di essere sordi alla voce del popolo. «Oggi il cuore degli egiziani, dei giordani e degli abitanti di tutti i Paesi islamici è sconvolto dal dolore — ha dichiarato il 28 dicembre —. Mi rivolgo agli studiosi del mondo arabo e ai dirigenti del centro egiziano di Al-Azhar per chiedere, "Non è ora di prendere coscienza della minaccia che incombe sull'Islam e sui musulmani"»? Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, è andato oltre: «Non chiedo un colpo di Stato — ha detto di recente, rivolgendosi al popolo egiziano (e al suo esercito) — ma andate a parlare con i vostri politici e dite loro che non accettate quanto sta accadendo a Gaza».
Capi di Stato come Hosni Mubarak e re Abdullah di Giordania non devono preoccuparsi di vincere le elezioni e dunque possono stare tranquilli. Basta ascoltare l'unico leader del mondo arabo eletto democraticamente per tastare il polso dell'opinione pubblica dell'intera regione. Il primo ministro iracheno, e fedele alleato americano, Nuri al-Maliki, ha fatto appello a tutti i Paesi arabi e musulmani per «troncare le relazioni diplomatiche e congelare tutti i contatti — sia pubblici sia privati — con questo regime assassino, che persiste nella sua sanguinosa aggressione contro civili disarmati e pacifici». L'ayatollah Ali Sistani, apprezzato da molti neoconservatori americani e massima autorità religiosa irachena, la scorsa settimana ha emesso una fatwa contro il «sanguinario» attacco israeliano e ha esortato arabi e musulmani a «prendere misure concrete per fermare questa brutale aggressione».
Le azioni militari di Israele hanno indebolito un movimento di opinione che avanzava in suo favore. Negli ultimi due anni, nazioni come Egitto, Arabia Saudita e Giordania hanno riconosciuto nell'ascesa dell'Iran il loro principale problema — e in quest'ottica, condividono interessi e prospettive con Israele. In altre parole, nell'ambito della più spinosa questione strategica degli ultimi tempi, per la prima volta nella sua storia Israele sta per stringere una tacita alleanza con gli Stati arabi moderati, un'alleanza soft incoraggiata e coltivata dal Segretario di Stato Condoleezza Rice. Il suo punto debole resta però l'opinione pubblica araba, e questo l'Iran l'ha sempre saputo. Per minare tale alleanza, la strategia iraniana punta a spiegare al mondo arabo che l'Iran è il paladino della causa palestinese e pertanto non può essere nemico degli arabi. Teheran vuole insinuare che i veri nemici degli arabi sono i loro stessi governi.
Ma anche in Iran gli equilibri vacillano. I moderati oggi tacciono, mentre i giornali riformisti sbattono in prima pagina foto di bambini palestinesi uccisi. «Un mese fa, a Teheran non si parlava d'altro che del crollo del prezzo del petrolio e della pessima situazione economica— commenta Nasr —. Adesso invece è subentrata la Palestina, e la rabbia del mondo arabo. E questo non può che far piacere al presidente Ahmadinejad».
Israele è convinto di aver imparato la lezione dalla guerra del 2006 contro Hezbollah: ha migliorato le sue tattiche militari e le sue eccellenti forze armate si sono adattate egregiamente. Ma schiacciando Gaza con la sua potenza militare, Israele ha fornito involontariamente ai mullah proprio quello che cercavano, il pretesto ideologico. E forse sta proprio qui la lezione politica di questa guerra
© Newsweek 2009 Traduzione a cura dello Iulm

Da pagina 3 del FOGLIO , l'editoriale "Quando Hamas sarà disarmato":

Con ogni probabilità tra pochi giorni le Forze armate israeliane rientreranno in patria e a quel punto si vedrà se la missione loro affidata è stata compiuta. Oltre che dall’esito delle attività militari, naturalmente, la fine della partita sarà decisa anche sul piano diplomatico, probabilmente attraverso l’iniziativa egiziana. L’obiettivo immediato di Israele è far cessare il lancio di missili da Gaza sul proprio territorio. L’organizzazione militare di Hamas, in queste due settimane, è stata colpita e debilitata, nonostante le rodomontesche dichiarazioni di “vittoria” della formazione terroristica. Perché la “tregua” sia permanente, però, è necessario che sia impedito ad Hamas di riarmarsi attraverso il confine egiziano. Sarebbe ancora meglio se cessasse il suo dominio sulla popolazione di Gaza, ma queste sono questioni che debbono risolvere i palestinesi e sulle quali un intervento israeliano sarebbe controproducente. Israele ha dimostrato che Hamas, che non vuole la pace, non è però in grado di reggere una guerra, e tanto basta. Ora il punto cruciale è il controllo del traffico di armi verso la Striscia, e Israele difficilmente abbandonerà la zona di confine prima di aver ottenuto una garanzia internazionale su questo. Della disponibilità condizionata di Hamas a una tregua, invece, nessuno può fidarsi, e solo una illusione ottica o un partito preso ideologico possono far pensare che la trattativa sulla conclusione della vicenda dipenda dall’orientamento momentaneamente prevalente nel movimento estremista.

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