Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
La diplomazia lavora a una tregua che per Israele deve assicurare il controllo dei valichi, impedendo il riarmo di Hamas
Testata: Corriere della Sera Data: 16 gennaio 2009 Pagina: 6 Autore: Francesco Battistini Titolo: «Piano egiziano, Israele più vicino alla tregua»
Da pagina 6 del CORRIERE della SERA del 16 gennaio 2009, riportiamo l'articolo di Francesco Battistini "Piano egiziano, Israele più vicino alla tregua"
GERUSALEMME — Il bastone dei bombardamenti, la carota della diplomazia. Il giorno più duro della guerra di Gaza sembra il giorno dei discorsi più morbidi, dei negoziati possibili, dei colloqui più distesi. Torna dal Cairo il generale israeliano Amos Gilad, che ha trattato quattro ore con l'egiziano Omar Suleiman, argomento il mezzo sì di Hamas al piano egiziano. Parte per Washington Tzipi Livni, ministro degli Esteri dello stato ebraico, e va da Condoleezza Rice a studiare già la sorveglianza dei valichi. L'impressione è che decollino pure le buone notizie. E la disponibilità d'Israele: okay, il piano egiziano è un punto di partenza, si preparerebbe a dire Olmert, «ci sarà un altro incontro con gli egiziani per chiarire qualche particolare», ma tutto sommato si può fare. Questione di ore, dicono Ban Ki-moon e Abu Mazen, il segretario Onu e il presidente palestinese. Quarantotto al massimo, specificano gli egiziani. «Il diavolo sta nei dettagli», spiega più scettico un diplomatico occidentale a Gerusalemme, e in questa fase non è detto che un sì sia un sì e un no sia un no. La bozza d'accordo è sui punti di sempre: ritiro delle truppe dalla Striscia, controllo del traffico d'armi nei tunnel di Rafah, fine del lancio di razzi, apertura dei valichi di frontiera. Ora, escono indiscrezioni sui tempi. Suleiman, capo dei servizi egiziani, avrebbe proposto ai delegati di Hamas e al generale Gilad un'applicazione in tre tempi. Prima fase: un corridoio umanitario per il milione e mezzo di palestinesi che da un anno e mezzo sono chiusi nella Striscia, con le truppe israeliane sempre intorno a Gaza City, ma impegnate a non avanzare. Seconda fase: installazione di sistemi satellitari di sicurezza ai valichi, con la riapertura di Rafah sotto la supervisione dell'Unione europea. Terza fase: ritiro delle truppe israeliane e apertura di tutte le frontiere. Quanto tempo servirà? Non si sa. Quanto dovrà durare il cessate il fuoco? L'Egitto avrebbe chiesto almeno un anno. Se il diavolo sta nei dettagli, però, i dettagli sono mille. E tutti da definire. Hamas, sobillato dal solito Ahmadinejad che da Teheran prevede «la fine vicina, Israele non può continuare a esistere», Hamas per bocca di Khaled Meshaal non accetta un ritiro israeliano al ralenti: «Il nemico deve andarsene subito. Questa guerra ha segnato la storia. Noi non rifiutiamo la tregua, ma la resa. Il dopo-Gaza dev'essere molto diverso dal pre-Gaza». Israele non si fida troppo degli osservatori: «Non tolleriamo tregue che permettano a Hamas di riarmarsi e riorganizzarsi con comodo», avverte Olmert. Quanto alla forza internazionale, si va da equilibristi: Hamas non la vuole sul suo territorio, a meno che sia turca; l'Egitto non la vuole su suolo egiziano; Israele la vuole supportata da una squadra tecnica, tedesca e americana, che impianti un sofisticato sistema di monitoraggio a Rafah (la Rice ha già detto che il progetto è pronto). Oggi si celebra il terzo Venerdì della Rabbia, in tutto il Medio Oriente. Se è vero che la guerra sta finendo e che la pace stia cominciando, non si vede. Il diavolo lavora benissimo.
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