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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Corriere della Sera - Il Giornale Rassegna Stampa
15.01.2009 Hamas si divide sulla tregua
il ruolo della mediazione egiziana, i dubbi dello Shin Bet, le minacce di Bin Laden

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera - Il Giornale
Autore: la redazione - Davide Frattini - la redazione
Titolo: «Piombo fuso divide Hamas in due, i leader di Hamas chiedono la tregua - Il «faraone» Suleiman: da spia a negoziatore -I dubbi dei servizi segreti: la forza degli integralisti è quasi intatta»
Dalla prima pagina del FOGLIO del 15 gennaio 2009, riportiamo l'articolo "Piombo fuso divide Hamas in due, i leader di Hamas chiedono la tregua".

Gerusalemme. Hamas va in pezzi prima ancora che l’esercito di Israele porti a termine l’operazione militare nella Striscia di Gaza. Dopo venti giorni di guerra, il gruppo islamista è diviso in due tronconi: da una parte la classe dirigente in esilio a Damasco, dall’altra i miliziani rimasti nella Striscia e sfiancati dall’offensiva di Tsahal. Ieri pomeriggio, il fronte palestinese del gruppo “ha reagito con favore” alla proposta di pace scritta dai mediatori europei e mediorientali. La notizia della possibile svolta, battuta dall’agenzia araba Mena, è arrivata mentre gli uomini di Hamas erano al Cairo con il capo dei servizi segreti egiziani, Omar Suleiman. “In linea di massima siamo d’accordo con la proposta egiziana”, hanno detto i palestinesi alla televisione al Arabiya. Poche ore più tardi, fonti in Siria del movimento hanno negato l’accordo. L’ultimo inviato di Hamas al Cairo avrebbe dovuto raggiungere Damasco ieri notte per fare rapporto al leader, Khaled Meshaal: lui cerca ancora di far passare le proprie condizioni (il ritiro di Israele dalla Striscia e la riapertura dei valichi con l’Egitto), i luogotenenti di Gaza pensano soltanto a come raggiungere la salvezza in Sinai. Secondo il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, “si profilano i contorni di un cessate il fuoco. Il testo dell’accordo presentato da Suleiman prevede che la Striscia passi sotto il controllo di Abu Mazen e dall’Anp. Una forza internazionale come quella al lavoro in Libano sorveglierà il processo di pace. L’ipotesi è sostenuta anche dal segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki- Moon, che ha cominciato ieri, proprio dal Cairo, il suo viaggio in medio oriente. Il negoziatore israeliano Amos Gilad è atteso domani in Egitto per ritirare la proposta, che sarà consegnata al premier di Gerusalemme, Ehud Olmert. Il governo è diviso sul modo di proseguire la guerra ma ha un punto comune: nessuno deve parlare con Hamas, serve una vittoria netta per riportare la serenità nel sud del paese e dimenticare la guerra contro Hezbollah del 2006. Olmert vuole continuare la campagna militare, approfittando di una “occasione storica”, come l’ha chiamata tre giorni fa il generale Youv Galant, quella di “risolvere il problema Hamas”. Il ministro degli Esteri, Tzipi Livni, chiuderebbe qui l’operazione, senza alcun accordo con i terroristi. E’ il principio dell’unilateralismo strategico di Ariel Sharon, usato durante il ritiro nel 2005 da Gaza. Oggi “quando loro sparano noi dobbiamo rispondere al fuoco”, dice Livni. Il capo della Difesa, Ehud Barak, vorrebbe un “cessate il fuoco umanitario” lungo sette giorni. Le sue parole non sono piaciute agli uomini di Olmert, che lo accusano di non avere “responsabilità nazionale”. Tra i due c’è una differenza fondamentale: Barak parteciperà alle elezioni di febbraio, Olmert no. La posizione del premier è molto vicina a quella di Benjamin Netanyahu, il leader del Likud considerato il “falco” della scena politica israeliana. “Alla fine del giorno ci deve essere un solo risultato – dice Netanyahu – il regime di Hamas abbattuto”. Nella Striscia è stato un altro giorno di guerra. Le vittime, dice l’Onu, hanno superato quota mille, mentre la Croce rossa ha escluso che Tsahal abbia usato “in modo improprio” armi al fosforo bianco. Tre razzi Katyusha sparati dal Libano hanno colpito il villaggio Kfar Hamam, nel nord di Israele. Poche ore dopo, l’esercito di Beirut ha trovato e distrutto tre postazioni di lancio armate con missili Grad. Hezbollah nega ogni responsabilità, gli elicotteri dell’Idf pattugliano il confine ma pochi pensano che il Partito di Dio abbia davvero intenzione di aprire un nuovo fronte di battaglia. Il grosso degli scontri avviene nella parte nord di Gaza City, dove un aspirante kamikaze è stato ucciso pochi istanti prima che si facesse saltare in aria. Fuori dalla città, i miliziani hanno ferito in modo grave un soldato di Israele in un attacco con armi anticarro. Per i vertici dell’esercito, Piombo fuso ha raggiunto tutti gli obiettivi possibili e i funzionari dell’Onu dicono che l’operazione potrebbe finire presto. Ora torna a farsi vivo anche il leader di al Qaida, Osama bin Laden, che ha chiamato a raccolta i mujaheddin, mentre l’Iran manda aiuti ai miliziani di Gaza. Ieri una nave di Teheran è stata respinta dalla marina israeliana. Il governo Olmert è vicino al proprio obiettivo: tre importanti leader di Hamas sono morti, gli altri sono nascosti nelle gallerie di Gaza e studiano la fuga verso l’Egitto. Ora Hamas può soltanto evitare la disfatta.

Dal CORRIERE della SERA, a pagina 8, riportiamo un approfondimento, come sempre interessante e corretto di Davide Frattini sulla figura del mediatore egiziano, Omar Suleiman,  Il «faraone» Suleiman: da spia a negoziatore  :

Sempre sul CORRIERE  in "Un piatto di minestra per gli sfollati", reportage di Lorenzo Cremonesi da Gaza, curiosamente viene ripetuto più volte che la popolazione di Khan Younis non sarebbe preoccupata tanto dalle bombe, quanto dall'embargo economico e dalla disoccupazione.
I palestinesi, ci informa, Cremonesi, fin dall'inizio dei bombardamenti hanno ricevuto avvertimenti dagli israeliani affinché lasciassero le loro case. Non sembra proprio, dunque, che la Striscia di Gaza sia quell'inferno dove nessun luogo è sicuro che ci viene raccontato da un certa "informazione".
Resterebbe da chiarire, e Cremonesi non lo fa, che a Gaza non c'è stata e non c'è una crisi umanitaria, dato che Israele ha sempre assicurato e continua ad asscurare il flusso dei beni essenziali, anche sotto il fuoco dei razzi di Hamas. 

Ecco l'articolo di Frattini:


GERUSALEMME — A Qina, dov'è nato settantatré anni fa, i clan dettano ancora le norme del codice d'onore, ogni torto impone la vendetta. Dalla polvere e dalla povertà dell'Alto Egitto, ha risalito il Nilo verso il Cairo. La stessa via percorsa dai fondamentalisti che si è trovato a combattere: lui è diventato generale, loro sceicchi dei Fratelli Musulmani.
Omar Suleiman è il capo dell'intelligence egiziana, spia che fa da consigliere al presidente Hosni Mubarak. Ministro senza portafoglio, è stato per lungo tempo senza volto: solo nel 2000 il suo nome e il ruolo sono diventati pubblici. Indossa abiti di sartoria e cravatte raffinate, incontra diplomatici e leader internazionali. Resta più militare che politico, l'ufficiale di fanteria che Gamal Abdel Nasser aveva mandato a studiare dai sovietici, per poi richiamarlo con un avvertimento: «Torna da anti- comunista».
Le trattative di queste settimane per raggiungere un cessate il fuoco (era stato lui a negoziare la precedente tregua di sei mesi) sono state pilotate da questo soldato taciturno, che appare poco in televisione per dire ancora meno. Ha combattuto gli israeliani in due guerre (nel 1967 e nel 1973), adesso si fidano di lui. Come i dirigenti di Hamas: sanno che Suleiman è lo stratega della lotta contro gli integralisti, gli chiedono di risolvere le beghe interne (la crisi con i cugini palestinesi del Fatah) e gli scontri con lo Stato ebraico.
Gli analisti lo indicano come il nuovo faraone, un possibile successore a Mubarak. Con il presidente, l'alleanza si è saldata tredici anni fa. Il generale gli ha salvato la vita, quando ha imposto di usare l'auto blindata in una visita ad Addis Abeba.
Il convoglio venne attaccato da un commando di estremisti, nessun'altra macchina avrebbe resistito al fuoco ravvicinato di undici kalashnikov. Suleiman era seduto al fianco di Mubarak, da allora non si è più allontanato. «Rappresenta un ponte tra l'esercito e i servizi di sicurezza — commenta Robert Springborg, direttore del London Middle East Institute — e questo lo mette in una posizione cruciale: ha le mani nella politica egiziana, senza doversele sporcare. Controlla anche la linea diplomatica del Paese».
Suleiman ha coltivato i rapporti con i Bush, padre e figlio, durante le due guerre del Golfo. Agli americani garantisce un approccio equilibrato, al Cairo — se dovesse diventare presidente — i due miliardi di dollari l'anno, elargiti dagli Stati Uniti in aiuti militari ed economici. «È un moderato, un uomo rispettabile — racconta un funzionario dell'amministrazione che ha lavorato con lui, alla rivista
Atlantic Monthly —. Ma quasi nessuno conosce le sue idee politiche».
Ibrahim Issa, direttore del giornale Al Dustur, si è chiesto in un editoriale «Quando si deciderà a parlare? ». «La gente ha bisogno di sapere come la pensa, avere informazioni su di lui. — scrive Issa, che in marzo è stato condannato a sei mesi in carcere per un articolo sulla salute di Mubarak —. Tutta questa riservatezza non è più giustificata ».
Gli egiziani lo hanno visto per la prima volta in faccia ai funerali di Hafez al-Assad, otto anni fa. Marciava solenne con Mubarak, in diretta da Damasco. «Non si sono lasciati sfuggire il lato simbolico — continua l'Atlantic —. L'apparizione in pubblico di Suleiman è legata a un funerale e a una successione al potere».

Da pagina 13 del GIORNALE, "I dubbi dei servizi segreti: la forza degli integralisti è quasi intatta":

Nel diciannovesimo giorno di «Piombo Fuso» i morti palestinesi a Gaza superano quota 1010, seicento dei quali civili, ma per Israele la vittoria, almeno quella finale, resta lontana. I dati diffusi dallo Shin Bet parlano chiaro. Nei primi 18 giorni d’offensiva Hamas è riuscito a lanciare 570 missili contro Israele, 40 dei quali, nei giorni 17 e 18. Questo dato dimostra, secondo i servizi segreti interni israeliani, che l’ala militare dell’organizzazione è ben lontana dall’essere fuori gioco, riesce ancora a coordinare le cellule incaricate dei lanci ed ha ancora a disposizione un numero rilevante di testate nascoste in arsenali non individuati. I conti son presto fatti. Le stime di dicembre davano in oltre 150 le testate di tipo Grad contrabbandate nelle Striscia mentre quelle lanciate in questi 19 giorni sono circa 60. Hamas disporrebbe dunque di almeno un centinaio di missili a lunga gittata.
I dati sugli effettivi ancora in grado di combattere sono ancora più scoraggianti. Il grosso dei circa 400/450 miliziani caduti sono stati uccisi dai bombardamenti aerei del primo giorno perché colti di sorpresa all’interno delle basi dell’organizzazione. Ben pochi di loro appartenevano, però, alle Brigate Ezzedin Al Qassam, l’impenetrabile e addestratissimo braccio armato forte di circa 1500 combattenti. Secondo alcune stime soltanto un centinaio di combattenti di questa forza d’élite sarebbero stati eliminati o feriti. Tutto il resto dei miliziani caduti apparterebbe alle varie forze di sicurezza e polizia di Hamas che nella Striscia contano circa 15mila uomini in divisa. Un’altra consistente porzione di miliziani morti e feriti arriva dalle file delle organizzazioni che combattono al fianco dell’organizzazione fondamentalista come la Jihad Islamica, le Brigate Martiri di Al Aqsa e i Comitati di Resistenza Popolare. Quanto al destino della leadership politica e militare nella Striscia la questione è più complessa.
Ismail Hanyeh e Mahmoud Zahar, leader dell’ala più pragmatica e di quella più intransigente, sembrano sopravvissuti ai combattimenti, ma la loro decisione di mettersi in salvo nei bunker segreti dell’organizzazione mentre la popolazione faceva i conti con le bombe israeliane rischia di privarli di seguito e consenso. Ancora mistero fitto invece sulla sorte di Ahmed Jabari, l’invisibile capo delle Brigate Ezzedin Al Qassam dato per morto o ferito, secondo alcune voci, nelle prime fasi dei bombardamenti.

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