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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - La Stampa Rassegna Stampa
13.01.2009 Dietro Hamas, l'Iran
le analisi del Foglio e di Francesca Paci

Testata:Il Foglio - La Stampa
Autore: la redazione - Francesca Paci
Titolo: «Nei sotterranei di Gaza - Salpano gli aiuti iraniani “Il vero nemico è l’Egitto”»
Dalla prima pagina del FOGLIO del 13 gennaio 2009, l'articolo "Nei sotterranei di Gaza  L’Iran fa pressione su Hamas “Non accettate il cessate il fuoco egiziano o vi tagliamo i soldi" :

Gerusalemme. L’Iran sta esercitando pressioni dure sui vertici di Hamas: non accettate la proposta di cessate il fuoco con Israele che arriva dall’Egitto, altrimenti vi tagliamo i finanziamenti (50 milioni di dollari soltanto nel 2006) e il resto degli aiuti che vi arrivano, in armi e consiglieri militari. Secondo il Jerusalem Post, che ha sentito fonti del governo egiziano coinvolte direttamente nelle trattative, Teheran si è messa subito in mezzo, e ha spedito a Damasco due emissari di spicco, il presidente del Parlamento Ali Larijani e il generale dei servizi segreti Said Jalili, a incontrarsi con la leadership di Hamas. Ora, come scrive il settimanale egiziano Roz al Yousef, i capi del gruppo palestinese sono tra il martello Iran e l’incudine Siria. Teheran impedisce loro di raggiungere un accordo su Gaza con l’Egitto e Damasco – che li ospita fisicamente – li ricatta e li intimidisce, per ricordare il vincolo di obbedienza che hanno contratto negli anni accettando denaro, armi e protezione. L’intervento precipitoso degli iraniani è il segno che la leadership palestinese a Gaza sta cercando una soluzione rapida, rapidissima, al conflitto perché si sente in apnea. La terza fase dell’operazione Piombo fuso, diretta a snidare gli appartenenti al gruppo casa per casa all’interno dei centri abitati nella Striscia, potrebbe cominciare da un momento all’altro. Ormai da diciassette giorni i capi dentro Gaza operano in modalità “prima di tutto cerchiamo di sopravvivere”, si sentono braccati, cambiano rifugio ogni notte, si muovono sfruttando tunnel scavati l’anno scorso, perché sapevano da tempo che la guerra sarebbe arrivata nella Striscia. Secondo l’International Herald Tribune, i generali israeliani vedono – ed è la prima volta che succede – che la volontà di combattere dell’ala militare di Hamas sta cedendo. Un ufficiale che preferisce rimanere anonimo dice al giornale che sul campo i combattenti di Hamas e i fanatici ancora più duri del Jihad islamico commettono errori e tradiscono la mancanza di ordini. “Posso dire con molta sicurezza che da due giorni i loro capi vogliono il cessate il fuoco – dice l’ufficiale – e invece i capi rimasti a Damasco vogliono combattere fino all’ultimo palestinese”. Una settimana fa il capo dello Shin Bet, Yuval Diskin, ha detto al gabinetto di guerra che i capi di Hamas stanno nascondendosi sempre più spesso nei sotterranei dell’ospedale di Shifa, perché sanno che l’aviazione israeliana non li colpirà, per non uccidere i pazienti civili e il personale medico ai piani superiori. Il complesso è un rifugio conosciuto da tempo. Secondo il ministro della Sicurezza, Avi Dichter, sabato scorso, giorno di paga di Hamas come ogni 10 del mese, i membri dell’organizzazione che ancora si potevano spostare in relativa sicurezza sono andati all’ospedale per ricevere le paghe dei militanti. “Ma per arrivare fin laggiù – dice Dichter – devi prima attraversare un’area affollata da mezzo milione di palestinesi, e loro lo sanno”. Tra i calcoli sbagliati da Hamas c’è la reazione per nulla solidale della Cisgiordania. A dispetto delle manifestazioni anti Israele, gli uomini di Fatah stanno lavorando (e rilasciando dichiarazioni) per diventare i nuovi guardiani dei valichi della Striscia con l’Egitto. Un incarico vitale, che darebbe loro il controllo dell’area. Due anni dopo essere stati cacciati da Hamas con le armi, sono pronti a prendersi la rivincita. “I loro leader sono responsabili della morte di centinaia di palestinesi. Ismail Haniyeh e Mohammed Zahar dovrebbero essere processati come criminali di guerra”, hanno fatto sapere ieri dal palazzo dell’Autorità nazionale palestinese di Ramallah.

Da pagina 7 de La STAMPA, l'articolo di Francesca Paci "Salpano gli aiuti iraniani “Il vero nemico è l’Egitto” ":


Comunque finisca la guerra una cosa è certa: la Gaza che Israele ha lasciato nel 2005 confinava con l’Egitto, quella che affronta oggi confina definitivamente con l’Iran». Mamoun Fandy, analista dell’International Institute for Strategic Studies, utilizza una metafora geografica per descrivere il conflitto a bassa intensità che si combatte nelle retrovie della Striscia di Gaza. La nave iraniana appena salpata carica di aiuti per i palestinesi porta lo scontro finora solo verbale in mare aperto. A chi vincerà, il compito di ridisegnare la mappa del Medio Oriente.
La lotta per l’egemonia regionale risale al presidente egiziano Nasser, campione del panarabismo quando la leadership era una questione interna. La discesa in campo di Teheran cambia le carte in tavola. «L’unico Stato non arabo è entrato nel gioco delle superpotenze accreditandosi come paladino dei palestinesi», nota l’editorialista del New York Times Thomas Friedman. Col fallimento del piano di pace saudita e il ridimensionamento di Riad, restano in corsa due attori, nemici da sempre, l’Egitto e l’Iran.
Teheran non ha mai perdonato l’apertura del Cairo a Israele. Nel 1981 gli ayatollah intitolarono una strada a Khaled Islambouli, l’assassino di Sadat, l’uomo che aveva vendicato l’accordo di tre anni prima a Camp David. Oggi il «movimento degli studenti che cercano giustizia», un gruppo integralista vicino ai pasdaran, mette una taglia d’un milione di dollari sulla testa del presidente egiziano Mubarak, l’erede di Sadat, reo, sostiene la vulgata, d’aver affiancato l’esercito israeliano nell’offensiva contro Hamas.
Ha un bel da fare l’Egitto ad adoperarsi per la tregua: le vittime dell’operazione Piombo Fuso scaldano gli animi musulmani e l’avversario soffia sul fuoco. «L’Iran preme su Hamas perché non molli» scrive Khaled Abu Toameh sul Jerusalem Post, citando fonti dell’esercito egiziano. Secondo la ricostruzione del giornalista, due emissari iraniani, il presidente del Parlamento Ali Larijani e Said Jalili, avrebbero incontrato a Damasco il leader di Hamas in esilio Khaled Meshal e il segretario della Jihad Islamica Ramdan Shallah minacciando la sospensione della fornitura di armi in caso di resa e vanificando gli sforzi pacificatori del capo dell’intelligence egiziana Omar Suleiman.
L’esito della partita di Gaza è cruciale. Dietro la sorte di un milione e mezzo di palestinesi allo stremo, c’è la sfida all'Egitto che gli ayatollah accusano di temporeggiare perfino sul via libera all’allestimento di un’ospedale da campo finanziato dall’Iran al confine con Gaza.
Mubarak gioca in difesa tenendo d’occhio il Qatar che, proponendosi come mediatore alternativo più gradito ad Hamas, si scalda a bordo campo. Al Cairo l’appello del ministro degli Esteri iraniano Manuchehr Mottaki che ieri ha chiesto una serrata anti-Israele ai Paesi islamici che «sfortunatamente hanno relazioni politiche con il regime sionista» è caduto nel vuoto.
«L’Egitto e gli Stati arabi pragmatici condannano ufficialmente l’uccisione dei civili ma sotto sotto sperano che Israele regoli i conti con Hamas una volta per sempre» osserva Zvi Mazel, ex ambasciatore israeliano al Cairo. Un equilibrismo complicato con il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad che tira via la rete della fratellanza araba invitando il mondo musulmano a sostenere l’«eroica resistenza palestinese» per una nuova intifada.
«Hamas è finito tra l’incudine siriana e il martello iraniano, spero sappia che sta combattendo una guerra per conto terzi» dice Karam Jaber, editorialista del settimanale egiziano Roz Al Youssef. Secondo il connazionale Magdi Khalil, direttore del Middle East Freedom Forum del Cairo, «sposando l’agenda iraniana, Hamas ha messo in crisi la soluzione “due popoli per due Stati”».
Che vinca l’Iran o l’Egitto, gli idealisti radicali o i pragmatici, come li definisce l’analista israeliano Moshe Marzuk, la cartina del Medio Oriente uscirà rivoluzionata dallo scontro. Con l’eccezione dei palestinesi condannati a restare sullo sfondo.

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