mercoledi` 14 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






La Stampa - Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
13.01.2009 I combattimenti a Gaza, le divisioni nel governo israeliano, la crisi di Hamas
una rassegna di cronache e un'intervista di Francesco Battistini ad Amos Gilad

Testata:La Stampa - Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Aldo Baquis - Davide Frattini - Francesco Battistini - la redazione
Titolo: «Parla Haniyeh “Le bombe non ci piegano - «Tregua». «No, guerra a oltranza» Hamas si spacca sulla strategia - «Continuano? Continuiamo anche noi» - Nei sotterranei di Gaza»
Da pagina 6 de La STAMPA  del 13 gennaio 2009, la cronaca di Aldo Baquis
 "
Parla Haniyeh “Le bombe non ci piegano”".
Baquis riferisce della "guerra di informazione" tra Israele e Hamas, ma manca di sottolineare l'asimmetria tra l'informazione proveniente da una democrazia nella quale i media sono liberi e la propaganda di un gruppo totalitario. Più scorretta la titolazione redazionale, che riporta solo le affermazioni di Hamas.
La conclusione dell'articolo non spiega che i partiti arabi israeliani che una commissione della Knesset ha proposto di escludere dalle elezioni (la decisione potrebbe essere ribaltata dalla corte suprema) si oppongono di fatto all'esistenza di Israele e hanno avuto contatti con gruppi terroristici come Hezbollah.

Ecco il testo:


«Dopo 17 giorni di questa folle guerra, ormai è chiaro: Gaza non si spezzerà, Gaza, a Dio piacendo non cadrà, Gaza vincerà, la fede vincerà, la Palestina vincerà». Questo il messaggio registrato ieri nel suo bunker da Ismail Haniyeh, diffuso in serata dalla televisione Al Aqsa di Hamas ai pochi abitanti della Striscia che ancora possono avvalersi della corrente elettrica.
Haniyeh ha elogiato la capacità di resistenza della popolazione di Gaza sotto i bombardamenti israeliani e ha assicurato che Hamas, al fianco della lotta armata, è disposto ad assecondare ogni iniziativa diplomatica «che costringa le forze israeliane a ritirarsi e a cessare gli attacchi, nonché preveda la riapertura dei valichi».
Mentre Haniyeh parlava, l'esercito israeliano era impegnato a rafforzare anche con unità di riservisti le posizioni attorno a Gaza City (una metropoli di 800 mila abitanti) e a setacciare le zone occupate in precedenza alla ricerca di bunker e di magazzini di Hamas. Un deposito di razzi, ha detto un portavoce a Tel Aviv, è stato trovato in una moschea. «Hamas sta crollando sotto i nostri colpi», ha annunciato il ministro della infrastrutture Ben Eliezer.
Fra Israele e Hamas infuria una vera guerra di informazioni contrastanti. Israele sostiene ad esempio di aver ucciso 360 miliziani (fra i 917 palestinesi uccisi a Gaza dal 27 dicembre) mentre Hamas quasi non parla delle proprie perdite. Ieri Hamas ha annunciato di aver rapito un soldato israeliano, che sarebbe stato poi ucciso dal fuoco dei suoi perché non cadesse in prigionia: la smentita israeliana è stata categorica. «Nessun soldato rapito, né ucciso», ha tagliato corto un portavoce.
Anche sulle armi utilizzate dall’esercito sono divampate polemiche. «Le bombe al fosforo - ha accusato Haniyeh - bruciano la nostra gente». Immagini di bambini palestinesi gravemente ustionati sono state trasmesse ieri anche dalla televisione israeliana, Canale 10. «Ogni arma utilizzata dai militari - ha replicato un portavoce militare a Tel Aviv - rispetta i dettami delle convenzioni internazionali. Israele non usa armi che non siano in dotazione anche in altri eserciti occidentali».
Manca sincronia, lamentano alcuni osservatori israeliani, fra l’esercito - che ha già completato la seconda fase della operazione Piombo Fuso e che da giorni resta pericolosamente attestato sulle stesse posizioni - e i vertici politici di Gerusalemme che ancora lavorano ad una intesa diplomatica che permetta di concludere il conflitto. «Siamo vicini a raggiungere i nostri obiettivi» ha reso noto ieri Ehud Olmert. Ma Israele dipende dall'Egitto, e dalla sua volontà di sigillare o meno il confine fra il Sinai e Gaza da dove transitano copiosi i rifornimenti militari per Hamas.
Anche ieri, sulle città nel sud di Israele (fra cui Beer Sheva, Ashqelon e Ashdod) sono caduti una ventina di razzi che hanno provocato danni, ma non vittime. Alla Knesset gli animi si sono scaldati quando una commissione ha stabilito che non potranno partecipare alle elezioni di febbraio due partiti arabi (Balad e Raam-Taal) che si oppongono al carattere ebraico di Israele. «Una decisione fascista», ha esclamato il parlamentare arabo Ahmed Tibi.

Dal CORRIERE della SERA (pagina 11)
"«Tregua». «No, guerra a oltranza» Hamas si spacca sulla strategia ", di Davide Frattini:


GERUSALEMME — Al Cairo sono andati in cinque. Tre da Gaza, due da Damasco. Ma in queste settimane di guerra, dentro ad Hamas, i voti si pesano, non si contano. I leader nella Striscia sarebbero stati favorevoli a un cessate il fuoco, dalla Siria è arrivato l'ordine di mantenere una linea oltranzista.
Ismail Haniyeh e Mahmoud Zahar sono costretti da diciassette giorni a nascondersi nei bunker. Prima di chiudere i telefonini ed entrare in clandestinità, hanno lasciato il comando agli ufficiali dell'esercito fondamentalista. Sarebbero loro, guidati da Ahmed Jaabari, di fatto il capo di Stato maggiore, a decidere la strategia. Sarebbero loro a seguire le direttive di Khaled Meshaal, da Damasco.
«Anche se Haniyeh dovesse accettare una tregua — spiega Anat Kurz, dell'istituto per la Sicurezza nazionale a Tel Aviv —, l'ala militare potrebbe continuare a combattere ». «I miliziani hanno il controllo delle strade e della situazione. È pericoloso perché non rispondono al premier deposto», commenta dalla Cisgiordania un analista palestinese, al Jerusalem Post. Che ha raccolto anche lo sfogo di un dirigente del Fatah: «Gli iraniani stanno usando Hamas per indebolire il presidente Abu Mazen e i Paesi arabi moderati».
Su questo sono d'accordo gli israeliani. «Il regime di Teheran sta obbligando Meshaal, un esiliato palestinese, ad accettare i suoi dettami — commenta Guy Bechor, ricercatore del centro interdisciplinare di Herzliya —. Quello che gli ayatollah non hanno osato fare in Libano, lo stanno imponendo ai palestinesi: sacrificarsi per gli interessi iraniani».
La linea di comunicazione Damasco-Gaza sarebbe interrotta e le mosse non sarebbero più coordinate. I due inviati spediti dalla Siria per rinfoltire la delegazione al Cairo sarebbero stati una sorpresa preparata dal politburo all'estero. «In Siria, si oppongono all'invio di una forza internazionale, formata da soldati arabi o europei — scrive il quotidiano
Haaretz —. Meshaal le ha definite "truppe di occupazione". Nella Striscia, i leader accetterebbero la presenza di caschi blu».
Haniyeh ha fatto emergere dai sotterranei un discorso registrato. «Il nemico non ci ha spezzato», proclama. Elenca le condizioni per una tregua, che sono le stesse fissate da Meshaal, sabato scorso. Eppure l'intelligence dello Stato ebraico evidenzia i segnali di rottura nella guida dell'organizzazione. «Negli ultimi giorni, abbiamo ricevuto segnali da Gaza: la leadership è pronta a un cessate il fuoco — spiega una fonte al New York Times
—. A Damasco, vogliono combattere fino all'ultimo palestinese ». Da Ramallah, Ahmed Abdel Rahman, portavoce del Fatah, commenta con sarcasmo le parole di Meshaal: «A sentirlo su Al Jazeera, sembrava che i tank di Hamas stessero circondando Tel Aviv. È evidente che non è mai stato a Gaza, che non sa di cosa sta parlando ».

Sempre dal CORRIERE l'intervista di Francesco Battistini al consigliere politico del ministro della Difesa, Ehud Barak, Amos Gilad, «Continuano? Continuiamo anche noi»  :


GERUSALEMME — Generale, che succede? Perché ha rinviato la sua visita al Cairo?
«Non ho rinviato nulla. Non si viaggia tanto per viaggiare. Si va quando serve. I negoziati li posso condurre anche da questa stanza. Ho i telefoni, il pc, parlo ogni ora con gli egiziani, coi turchi, coi palestinesi...».
L'israeliano che appare di meno e conta di più, nella trattativa per cessare il fuoco su Gaza, è un generale a riposo. È il potente consigliere politico del ministro della Difesa, Ehud Barak, e si chiama Amos Gilad: «Uno che influisce sulla politica del governo — l'ha descritto il quotidiano Haaretz — più di tanti che stanno sopra di lui». Da due anni e mezzo, il generale discute il prezzo della liberazione del caporale Gilad Shalit. Sette mesi fa, negoziò la tregua che poi Hamas non ha voluto rinnovare. Dall'inizio di Piombo Fuso, va e viene dall'Egitto e il suo interlocutore è Omar Suleiman, altro potente che comanda gli 007 egiziani. Perché è lì che si spegne quest'incendio: Barak ha chiesto ad Amos Gilad di concentrarsi sulla questione dei tunnel e «chiuderli, questi maledetti tunnel».
Ma quanti ne sono rimasti?
«Non può immaginare».
Ne parla anche con Hamas?
«Direttamente, no. Hamas è un'organizzazione terroristica. Ma è evidente che, quel che dico, lo dico perché sia Hamas ad ascoltarlo».
Vede segni di resa?
«Non so dirlo. Aspettiamo alcune risposte sia dall'Egitto che dalla Siria. Finora è fallito tutto, hanno lasciato che la grande sofferenza del popolo palestinese proseguisse e ci rimettessero i civili».
I civili muoiono anche perché è Israele a bombardarli. E anche Israele rifiuta ogni proposta di tregua...
«Noi abbiamo sempre detto che sarebbe stata lunga e difficile. Loro, invece, prima hanno pensato che non avremmo mai attaccato, poi che non saremmo entrati a Gaza, poi hanno realizzato che il mondo arabo non li sosteneva, quindi hanno cercato d'avvicinare Abu Mazen e l'Anp dopo averli buttati fuori. Tutto, pur di non prendere l'unico impegno che conta: non lanciare razzi. Continuano? Continuiamo anche noi. E alla fine ditemi di chi è la responsabilità di tante sofferenze palestinesi».
È l'ultima settimana di guerra?
«Non so. Una tregua può essere vicina o lontanissima. Troppe variabili. Il punto importante è che l'Egitto s'è reso conto della minaccia rappresentata da Hamas».
Molti Paesi, compresa l'Italia, hanno dato disponibilità per una forza internazionale al valico di Rafah.
«L'Italia sta già su altri scenari, come il Libano. Ma questo non è il Libano. E in quest'area le forze internazionali non hanno mai successo, se si tratta di controllare il contrabbando d'armi, le infiltrazioni terroristiche. Ma ce li vede i soldati italiani, danesi o svedesi che fanno intelligence e bloccano i Qassam che arrivano a Gaza? Rafah, poi, è al confine con l'Egitto. E l'Egitto non potrà mai accettare la presenza d'una forza militare straniera, una minaccia alla sua sovranità. È un punto delicato».
Allora chi dovrebbe pattugliare? I poliziotti dell'Autorità palestinese?
«Noi cooperiamo con tutti. Ma credo anche che l'Anp faccia gl'interessi dei palestinesi. Se vogliono, gli egiziani sono perfettamente in grado di darci la sicurezza che ci serve da quella parte della Striscia. Io mi fido di loro».
Significa che andrà al Cairo appena si sblocca questo punto?
«Nei negoziati conta la sostanza, non la stanza del colloquio. Al momento giusto, farò il viaggio giusto».
È ottimista?
«Con Hamas, l'ottimismo non me lo posso permettere. Ci ha già illuso troppe volte».

Da Il FOGLIO , in prima pagina, l'atricolo "Nei sotteranei di Gaza - Olmert ha l'occasione di risolvere il problema Hamas, ma Livni e Barak pensano alle elezioni vicine":

Gerusalemme. La troika d’Israele non è d’accordo su come proseguire la guerra nella Striscia. Al diciassettesimo giorno, l’operazione Piombo fuso è ferma alla fase due “e mezzo”. Dopo i bombardamenti aerei e dopo il primo ingresso delle forze di terra – con scontri violenti – nel cerchio esterno della Striscia, i carri hanno circondato i grossi e sovraffollati centri abitati, e attendono l’ordine di avanzare. Diecimila riservisti sono stati chiamati in servizio attivo e mandati a sostituire le truppe più addestrate, per permettere a queste di entrare e sostenere i combattimenti che tutti prevedono saranno più furiosi, e anche, come sostengono alcuni analisti, per mettere pressione su Hamas, sempre più bisognosa di un cessate il fuoco. Il ministro della Difesa, Ehud Barak, e il ministro degli Esteri, Tzipi Livni, vorrebbero la cessazione del conflitto in tempi rapidi, “il prima possibile”. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, che ha fonti nel governo, Livni sostiene che per proseguire l’offensiva potrebbe danneggiare Israele dal punto di vista diplomatico e svuotare di significato la terribile efficacia della deterrenza fin qui dimostrata. “Questo è quello che io chiamo deterrenza: ora sanno che la prossima volta che ci attaccheranno, saranno colpiti e danneggiati”, ha detto ieri il ministro alla radio. “Non negozierò con Hamas, e non serve che firmino alcunché con me. Quello che dicono è senza senso. Come ho detto prima, quando loro sparano, noi dobbiamo rispondere al fuoco”. Il ministro della Difesa, Ehud Barak, teme soprattutto la penetrazione delle forze di terra nei settori di Gaza più popolati. Entrambi, Livni e Barak, si presenteranno alle prossime elezioni del 10 febbraio, fra meno di un mese, e vogliono incassare ora il maggior dividendo politico dell’operazione Piombo fuso. L’offensiva israeliana nel quadrilatero sovraffollato di Gaza occupato militarmente da Hamas è costata la vita a centinaia di civili palestinesi e ha messo sotto pressione – come mai era successo in precedenza – il gruppo islamista. Abbiamo dato un colpo spaventoso contro Hamas, abbiamo ridotto il lancio di razzi e la minaccia contro l’area meridionale del paese e finora abbiamo registrato pochissime perdite fra i soldati, pensano i due ministri: adesso è il momento di sospendere. L’operazione di terra, tra i vicoli e le viuzze dei centri abitati, potrebbe trasformarsi in un periodo indefinito di combattimenti urbani contro un nemico disperato, stile Fallujah – due giorni fa è stato ucciso un volontario saudita di al Qaida, veterano di Afghanistan e Bosnia – e le perdite potrebbero crescere, fra i nostri soldati e fra i civili palestinesi, che sono già stati colpiti duramente e le cui sofferenze stanno scatenando proteste in tutto il mondo. Il calcolo del premier Olmert – a dispetto del suo motto personale “Quando è abbastanza è abbastanza” – è diverso. L’esercito e la maggioranza del gabinetto di guerra lo appoggiano nel proseguire l’operazione. “Abbiamo la possibilità, che si presenta una volta sola a generazione, di risolvere il problema Hamas”, dice il generale Yoav Galant. I militari ricevono i rapporti che non hanno mai ricevuto prima: la pressione sul gruppo islamista è spaventosa, stanno per cedere, mollare ora sarebbe un errore. Per il primo ministro e per i vertici militari sarebbe l’occasione per dimostrare che gli errori commessi durante la guerra in Libano contro Hezbollah nel 2006 sono stati studiati a fondo e che Gerusalemme ha recuperato la proprie chance di vittoria sui nemici.

Per inviare la propria opinione alla redazione del La Stampa, il Corriere della Sera e Il Foglio cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@lastampa.it
lettere@corriere.it
lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT