mercoledi` 14 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Corriere della Sera - Il Giorno Rassegna Stampa
12.01.2009 Sconfiggere Hamas per rendere possibile la pace
un' intervista di Alessandra Farkas ad Alan Dershowitz, le analisi di Angelo Panebianco e Mario Arpino

Testata:Corriere della Sera - Il Giorno
Autore: Alessandra Farkas - Cecilia Zecchinelli - Angelo Panebianco - Mario Arpino
Titolo: «Solo la sconfitta di Hamas riaprirà il processo di pace - Si fermi l'aggressione Governi arabi assenti - A Gaza si combatte un conflitto nuovo - L'inutile guerra in una impasse strategica»

Da pagina 8 del CORRIERE della SERA, riportiamo l'intervista di Alessandra Farkas ad Alan Dershowitz, Solo la sconfitta di Hamas riaprirà il processo di pace

NEW YORK — «Israele potrebbe vincere oggi, se lo volesse. Invece per motivi etico-morali ha scelto di usare una forza militare sproporzionatamente debole a Gaza». Alan Dershowitz, il giurista americano docente di Harvard autore di The Case for Peace: How The Arab-Israeli Conflict Can Be Resolved torna a difendere le ragioni dello Stato ebraico. «Israele ha preferito andare coi guanti di velluto perché vuole minimizzare le morti tra i civili. Al suo posto, ogni altro Paese avrebbe raso al suolo Gaza».
Come fa ad esserne sicuro?
«Guardi cosa hanno fatto i russi in Cecenia, i francesi in Algeria, gli inglesi a Dresda e gli americani in Giappone dopo Pearl Harbor. Ma come al solito il mondo s'aspetta una reazione diversa da Israele».
Come lo spiega?
«Israele è l'ebreo tra le nazioni e il mondo lo tratta come storicamente ha trattato gli ebrei. Con un doppio standard. Ma nessun Paese può permettere al nemico di giocare alla roulette russa con la vita dei propri figli».
Come andrà a finire?
«L'obiettivo è chiaro: bisogna disarmare Hamas, impedendole di usare la sua tattica che consiste nel terrorizzare i civili israeliani, costringendo Israele a reagire, per poi nascondersi dietro i civili palestinesi, chiamando le tv per mostrare i bambini morti. Purtroppo i media fanno il gioco dei terroristi ».
Cosa pensa della recente polemica tra Vaticano e Israele?
«Il Vaticano deve stare molto attento a sollevare l'Olocausto perché certe analogie servono solo a riaprire antiche ferite sulla responsabilità di Pio XII nella Shoah. E infatti c'è stata la marcia indietro».
L'Amministrazione Obama deve trattare con Hamas?
«Se abbiamo negoziato con mafiosi, serial killer e Ku Klux Klan possiamo e dobbiamo parlare con Hamas. Però bisogna prima decidere a quale livello e con quali condizioni. Hamas deve prima riconoscere il diritto di esistere di Israele».
Molti hanno criticato il silenzio di Obama su Gaza.
«Balle. Obama non è stato criticato per il suo silenzio ma perché non ha detto ciò che molti volevano sentirgli dire. L'estrema sinistra lo critica per non aver condannato Israele e i gruppi pro-Israele per non averla difesa. Quando Obama avrà giurato, la guerra sarà finita».
Cosa pensa della recente risoluzione Onu sul conflitto?
«Che Israele non è tenuta ad osservare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza in quanto unico Paese al mondo che non ne ha mai fatto parte. Non puoi essere legato a un'istituzione che ti esclude. Il Consiglio di Sicurezza è un club privato che discrimina gli ebrei».
L'America di Obama continuerà ad essere amica di Israele?
«Tutte le scelte lo dimostrano anche se all'Onu ha messo un'ambasciatrice che mi preoccupa, Susan Rice, la quale dovrà comunque rendere conto a Hillary Clinton. Avrei preferito Richard Holbrooke».
Cosa ci riserva il futuro?
«La cosa migliore che può capitare ai palestinesi è che Israele metta Hamas k.o. Potrebbero così tornare a parlare di pace con Israele, riesumando la soluzione che Arafat rifiutò nel 2001».

Sempre da pagina 8 del CORRIERE, l'intervista di Cecilia Zecchinelli allo scrittore Yasmina Khadra ( pseudonimo di Mohammed Moulessehoul), le cui dichiarazioni sono intrise di ostilità verso Israele.

Si fermi l'aggressione Governi arabi assenti

Yasmina Khadra, pseudonimo di Mohammed Moulessehoul, è uno degli scrittori «francesi» più noti, premiati e tradotti. Algerino, scrive da sempre in francese, abita a Parigi dal 2001, si definisce «di doppia cultura e pacifista» e in molti suoi libri (usciti in Italia da Mondadori ed e/o) racconta del «dialogo tra sordi» tra Oriente e Occidente. Di uno, L'attentatrice,
è protagonista un chirurgo arabo israeliano che scopre la scelta estremista della moglie solo alla morte di questa da kamikaze. Un percorso che ricorda quello di molti palestinesi, una volta i più laici tra gli arabi, poi consegnatisi ad Hamas.
Cos'è successo, Khadra?
«È facile da spiegare: l'estremismo religioso è ormai la sola reazione dei popoli arabi contro i loro governi, da cui si sentono del tutto dissociati. L'unica alternativa è la chiusura rinunciataria su se stessi. È successo ovunque. In Palestina, Hamas rimprovera all'Anp di aver fatto concessioni a Israele senza niente in cambio. Io respingo in toto questa violenza, i missili. Ma Hamas non è che un bastione dietro a cui cerca di sopravvivere una parte dei palestinesi che da 60 anni ascolta solo bugie e aspetta uno Stato. Perché la violenza più grande e intollerabile viene da Israele: che non rispetta la convenzione di Ginevra, le risoluzioni Onu, i diritti umani. E ora bombarda un popolo prigioniero in condizioni inumane, uccide donne, vecchi e bambini».
Una guerra che Israele imputa ad Hamas.
«Non si può paragonare un gruppo di militanti a un governo con esercito, marina, aviazione. È come se al tempo del Fis in Algeria avessimo bombardato le città. Israele vuole solo guadagnare tempo per continuare ad annientare un popolo, costruire colonie. Dice di volere la pace, ma quale pace? L'aggressione a Gaza avrà conseguenze disastrose, legittimerà gli estremismi nel pianeta».
Con Hamas si deve trattare?
«Certo che sì, come si deve parlare con Israele, con tutti. L'unica via è il dialogo, sempre. Come si può restare in silenzio con le braccia incrociate? Ma oggi, anche su questo, il lassismo della comunità internazionale è enorme. Dei governi arabi, venduti e vigliacchi, della Lega araba, di cui ho chiesto la dissoluzione sulla stampa algerina. Di molti intellettuali arabi, attenti solo ai loro interessi. Di quelli ebrei, che dovrebbero essere i primi a non volere la deriva di Israele anche in nome della Shoah che è stata una tragedia per l'intera umanità. Ma oggi il mondo non riflette più, ha perso la coscienza».
Cosa può fare un intellettuale arabo? Mahmud Darwish diceva di aver abbandonato la politica, ma che il suo scrivere poesia, anche a Ramallah occupata dai tank israeliani, era resistenza.
«Per un intellettuale arabo è difficile fare politica, non si riconosce nei governi, non vuole essere ombra di manipolazioni. Cosa faccio io? Scrivo, parlo, dico alla gente di non aver paura di avere una coscienza: se un giorno vogliamo la pace dobbiamo contribuire a costruirla oggi senza aspettarci gloria. E se gli arabi sono deboli, è la coscienza del mondo, soprattutto l'Unione europea che deve intervenire. La vera forza non sono violenza e brutalità, ma lucidità e coraggio ».

Dalla prima pagina del CORRIERE, l'editoriale di Angelo Panebianco "A Gaza si combatte un conflitto nuovo":

Chiunque abbia, se non altro per ragioni anagrafiche, un passato, è portato a leggere i conflitti di oggi alla luce degli schemi mentali di ieri. Per decenni il conflitto israeliano-palestinese venne interpretato in Occidente con gli schemi della guerra fredda. A lungo, dopo la rottura delle relazioni diplomatiche fra l'Urss e Israele, quel conflitto fu parte, pur con le sue peculiarità, del confronto politico e militare fra mondo occidentale e mondo sovietico. Per tutti coloro che in Europa occidentale simpatizzavano per l'Urss e per «la lotta dei comunisti a favore dell'emancipazione del Terzo Mondo», Israele era un avamposto dell'imperialismo americano.
Contavano anche le peculiarità del conflitto e i loro riflessi in Europa. Dopo il '73, con la crescita del prezzo del petrolio e l'uso politico dell'energia da parte dei Paesi produttori, trattare con i guanti governi e opinione pubblica arabi diventò vitale per un'Europa assetata di energia: la causa palestinese acquistò pertanto sempre maggiore popolarità fra noi mentre le ragioni di Israele di fronte al «rifiuto arabo» persero progressivamente terreno nella considerazione delle opinioni pubbliche europee (anche fra molti di coloro che erano schierati contro l'Urss su altri fronti). Se a ciò si sommano le memorie antiche, le influenze, più o meno sotterranee, del pregiudizio cristiano antigiudaico, si comprende molto degli atteggiamenti europei verso il conflitto israeliano-palestinese, per lo meno dalla fine degli anni Sessanta in poi. Il passato pesa sul presente ed è comprensibile che riflessi automatici portino ancora oggi tanti a leggere l'attuale scontro a Gaza con le categorie del passato. Ma è singolare che ciò avvenga al prezzo di una grande rimozione. Sono due i fatti nuovi che hanno determinato un cambiamento qualitativo del conflitto israeliano- palestinese e che tanti sembrano voler rimuovere. In primo luogo, l'irruzione della religione, e più precisamente dell'islam politico, nel conflitto. Certo, il conflitto israeliano-palestinese continua ad essere anche ciò che è sempre stato: uno scontro fra due popoli per il dominio territoriale. Ma da tempo non è più soltanto questo. Il rafforzamento di movimenti come Hamas in Palestina e Hezbollah in Libano ha cambiato radicalmente il quadro. Come il fatto che quei movimenti siano interni a una galassia islamista che, in ogni angolo del mondo, si riconosce nelle stesse parole d'ordine e afferma la propria identità contro gli stessi nemici (i musulmani moderati, l'Occidente corrotto e materialista, l'entità sionista, gli infedeli, a qualunque credo appartengano). In queste condizioni, pensare alle soluzioni del conflitto nei modi che erano ancora plausibili ai tempi degli accordi di Oslo non è più possibile. «Pace contro territori» è un compromesso realistico (anche se, ovviamente, difficile da imporre agli estremisti delle due parti) se i principali attori in gioco hanno scopi esclusivamente politici.
Ma diventa assai più arduo se per una delle parti in gioco (nel caso specifico, Hamas e, dietro Hamas, l'intera galassia dell'estremismo islamico mondiale) rinunciare alla distruzione di Israele significherebbe violare un tabù religioso, peccare di blasfemia. Il secondo fatto nuovo, che cambia la natura del conflitto, è dato dallo scontro per l'egemonia fra l'islam sciita guidato dall'Iran e quello sunnita. Non è un caso che, nella vicenda di Gaza, i governi arabi sunniti si siano fin qui mossi con prudenza. Nella speranza, non dichiarata, che Israele riesca a ridimensionare Hamas (gruppo sunnita ma legato all'Iran). E non è un caso, come mostra l'assenza di sommovimenti anti-israeliani in Cisgiordania, che anche Fatah, il movimento oggi guidato da Abu Mazen, speri nel ridimensionamento degli odiati «nemici-fratelli» di Hamas. Nulla di tutto ciò si spiegherebbe se i due fatti citati (l'irruzione dell'islam politico e il ruolo dell'Iran) non avessero cambiato i termini del conflitto israeliano-palestinese.
Ma la rimozione incombe. Sorprende, ad esempio, scorrere un recente intervento sul conflitto a Gaza, apparso su Repubblica, dell'ex ministro degli Esteri Massimo D'Alema, uomo informato dei fatti, e constatare che né la parola Iran né la parola jihad vi trovino posto. È come se per D'Alema nulla di sostanziale fosse cambiato nel corso degli anni: quello israeliano-palestinese viene ancora interpretato come uno scontro fra uno Stato e un movimento irredentista, un conflitto, vecchio di mezzo secolo, per il dominio territoriale in Palestina. Se non che, il conflitto israeliano-palestinese è questo ma non è più soltanto questo. A causa del carattere politico-religioso di Hamas e della volontà di potenza iraniana. Segni di rimozione appaiono anche le reazioni di certi laici nonché di esponenti di spicco della Chiesa cattolica di fronte alla preghiera di massa organizzata dalla fratellanza musulmana contro il nemico sionista (al termine di raduni in cui si bruciano le bandiere di Israele), di fronte cioè a manifestazioni che vedono impegnati i sostenitori di Hamas presenti all'interno dell'islam italiano ed europeo. Se la paura del fondamentalismo islamico può spiegare le reazioni flebili e sommesse di molti di quei laici, il caso della Chiesa cattolica, come ha mostrato Ernesto Galli della Loggia sul Corriere di ieri, è più complesso. La Chiesa sembra oggi divisa fra la sua antica diffidenza (quando non si tratti di aperta ostilità: vedi le parole del Cardinal Martino su Gaza) per Israele, e la presa d'atto, ben chiara negli scritti e nei discorsi di Papa Benedetto XVI, del fatto che la violenza del fanatismo religioso sia oggi la minaccia più grave per la civile convivenza. E anche per le prospettive di pace in Palestina.

A pagina 18 del GIORNO, Mario Arpino sostiene l'inutilità della risposta israeliana ad Hamas, prodotto della "impasse strategica" nella quale Israele sarebbe stata posta dal gruppo islamista palestinese e dal libanese Hezbollah.
Una tesi pessimistica che contrasta con le informazioni sulla crisi politica e militare di Hamas, sorpresa e fortemente indebolita dall'azione israeliana.


Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera e al Giorno cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@corriere.it
segreteria.redazione.milano@monrif.net

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT