Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Fonti tutt'altro che imparziali, racconti non verificati, omissioni esempi di informazione inattendibile
Testata:Corriere della Sera - La Repubblica - L'Unità Autore: Lorenzo Cremonesi - Fabio Scuto - Safa Joudeh - Cristina Nadotti - Umberto De Giovannangeli Titolo: «All'Onu restano solo tovagliolini e riso - Morti fame e paura. Ecco l'inferno di Gaza - Il nostro inferno quotidiano - Stanno sperimentando qualcosa- Il labirinto di Hamas sfida mortale per l'esercito di Israele»
Il labirinto di Hamas sfida mortale per l'esercito di Israele
Da pagina 8 del CORRIERE della SERA del 12 gennaio 2009, riportiamo un articolo di Lorenzo Cremonesi su Gaza, "All'Onu restano solo tovagliolini e riso2 . Le informazioni sulle quali si basa Cremonesi vengono da una fonte non certo imparziale, l'eurodeputata, e nota attivista antisraeliana, Luisa Morgantini. La quale, per esempio, accusa Israele di aver sparato anche durante la tregua, ma omette che a violarla per prima è stata Hamas.
Ecco il testo:
RAFAH — Entrano dall'Egitto verso le tre del pomeriggio e rimangono nella Striscia di Gaza per circa due ore. Mentre escono, una serie di esplosioni scuote cielo e terra. Visita lampo quella di ieri per 9 deputati del Parlamento europeo sui luoghi dei bombardamenti. «Sino all'ultimo temevo che gli israeliani potessero bloccarci. Il loro ministro della Difesa aveva posto il veto. Ma poi il personale locale dell'Onu ci ha aiutato e le autorità egiziane non ci hanno fermato», dice al ritorno Luisa Morgantini ( foto), militante di Rifondazione Comunista e «pasionaria» della causa palestinese dai tempi della prima intifada negli anni Ottanta. Qui è arrivata nel ruolo di vicepresidente del Parlamento europeo. Con lei il senatore italiano Alberto Maritati (Pd), che per larga parte del viaggio ha scattato foto con la sua mini-camera. Arrivati sabato notte in bus ad Al Arish, gli europarlamentari ieri a mezzogiorno dubitavano di poter passare. I caccia israeliani continuavano ad effettuare sortite e numerose bombe sono cadute sulla linea del confine egiziano. Poi, il via libera. La delegazione sale sul pulmino dell'Unrwa e viaggia per una decina di chilometri nel cuore di Rafah, nella parte palestinese. «Gli israeliani hanno sparato anche durante la tregua. Ci siamo fermati alla scuola maschile e al centro di distribuzione Onu. Che ora ha ben poco da distribuire, un po' di riso, qualche tovagliolino di carta. La scuola è stata danneggiata dalle bombe», ci dice la Morgantini. Il programma ora è riferire al Parlamento europeo: «Nessuna apertura dell'Ue verso Israele sino a quando Gaza resterà assediata in questo modo».
Si basa su quanto riferito dalla delegazione guidata dalla Morgantini anche l'articolo di Fabio Scuto pubblicato da REPUBBLICA in prima pagina, "Morti fame e paura. Ecco l'inferno di Gaza " .
Rafah, nella striscia di Gaza, è una città fantasma. Palazzi sbriciolati, come se una gigantesca mano li avesse accartocciati e rigettato a terra quello che ne rimaneva, polvere, rovine e morte. Nelle poche strade ancora percorribili solo macchine saltate in aria, sventrate dalle esplosioni, che esalano quell´odore acre della plastica bruciata. E poi scarpe abbandonate, borse, mucchi di stracci che qualcuno in fuga ha pensato fossero troppo ingombranti mentre si corre tra una bomba e l´altra in cerca di un possibile rifugio. In giro non c´è un´anima viva. Sedici giorni di bombardamenti continui hanno riportato Rafah a un Medio Evo moderno. Questo il drammatico scenario che si è trovato davanti ieri la delegazione dei parlamentari europei, guidata dal vice presidente dell´Europarlamento Luisa Morgantini, che oltrepassando con molte difficoltà il valico dall´Egitto, è riuscita a entrare per soli 120 minuti nella Striscia di Gaza, approfittando della «tregua umanitaria» che anche ieri non è stata rispettata. «Gli israeliani hanno sparato anche durante la tregua di tre ore durante la quale siamo entrati», ci racconta, «abbiamo fatto in tempo a vedere la distruzione delle bombe che cadevano, case rase al suolo, auto distrutte, macerie dappertutto, anche accanto alla scuola dell´Unrwa, l´agenzia Onu che assiste i profughi palestinesi e che pure è stata danneggiata». La pattuglia di parlamentari europei (l´altro italiano era il senatore del Pd Alberto Maritati) si sono pigiati dentro un malridotto pullmino dell´Unrwa che li ha presi a bordo per trasferirisi dal valico di frontiera alla città, che dista solo qualche chilometro. «La parte palestinese di Rafah è semideserta, rispetto a come l´ho vista pullulare di gente in altri momenti, siamo stati in un rifugio ed abbiamo visto donne piangere sconvolte dal dolore per la perdita dei loro figli, mariti, fratelli. Eppure hanno avuto la forza di accoglierci a braccia aperte, con bambini che ci baciavano e gli adulti che ci chiedevano «ma come avete fatto ad entrare?». Dal pullmino, racconta Alberto Maritati, «gli aerei che compivano i raid erano visibilissimi, anche in squadriglia, poi hanno lanciato altre due bombe, si vedevano nettamente i funghi dopo le esplosioni e le colonne di fumo che si alzavano». La deriva umanitaria che sta stringendo la Striscia come un cappio mortale è sotto i loro occhi. La gente resta aggrappata alla vita come può. Negli ospedali la situazione è drammatica. «I medici, gli infermieri sono travolti dall´emergenza, fanno turni massacranti, si opera senza anestetici, con bisturi che non tagliano più, si amputano arti per ferite che altrove potrebbero essere curate». E per i vivi la situazione non è meno terribile. Se è impossibile fare un censimento dei palestinesi rimasti senza casa, è possibile una stima degli sfollati che in queste due settimane hanno cercato rifugio nelle scuole dell´Unrwa: in oltre trentamila vivono nelle aule, nei corridoi, nei cortili nella speranza che la bandiera azzurra dell´Onu li possa proteggere. «Nella scuola "Yasser Arafat" di Rafah sono ammassate centinaia e centinaia di persone, intere famiglie, volti scavati, provati dalla paura e dalle privazioni soprattutto donne e tanti, tanti, bambini, portati via sotto le bombe con quello che avevano addosso. Molti senza nemmeno le scarpe». L´Unrwa è quasi al collasso. «Ha pochissimo da distribuire: ho visto dividere una confezione di pannolini e consegnarne pacchetti singoli, perchè non ce n´è abbastanza, c´è pochissimo latte in polvere. Mi ha detto il direttore dell´Unrwa, John Ging, sono passati per la prima volta dei camion con aiuti dal valico di Kerem Shalom, in Israele». Una goccia per un mare di assetati. I magazzini dell´Unrwa, del Pam, del Wfp nella Striscia sono vuoti, i rifornimenti - dopo quasi due anni di embargo - sono sempre stati modesti, ma adesso la situazione peggiora di ora in ora. «Non dimentichiamo che c´è una popolazione di un milione e mezzo di palestinesi da soccorrere e da sfamare e con la distruzione dei tunnel, nei quali forse passavano armi ma anche tanta merce e tanto cibo, è finita anche un´economia parallela di sopravvivenza». Mentre la delegazione si trovava negli uffici Unrwa sono cadute alcune bombe lanciate dai caccia israeliani, a meno di un chilometro, in uno degli 80 raid che i caccia hanno compiuto ieri nel sud, bombardando sistematicamente tutta la zona di confine con l´Egitto. «La gente correva in preda al terrore e urlando, forse per sfogare la paura», racconta Maritati, «poi dopo l´esplosione, quando si è visto il fungo levarsi in un´altra parte della città, ci sono state grida di esaltazione per essere scampati ancora volta». «Questa guerra è una follia più grave di altre perchè i due avversari si combattono in uno scontro impari», dice ancora con la voce scossa l´ex magistrato, «in mezzo alle case, in zone così densamente popolate, i civili pagano il più alto tributo di sangue». Due ore più tardi il pullmino dell´Unrwa riaccompagna la delegazione al valico di frontiera, spingersi verso nord verso Khan Younis, verso Gaza City non è possibile, la battaglia lì è strada per strada con le truppe israeliane a terra che ingaggiano combattimenti con i miliziani di Hamas che hanno ricevuto l´ordine di non alzare mai bandiera bianca. Aspettando le formalità per ripassare la frontiera, la delegazione ha potuto vedere gli effetti del bombardamento sulla città di un paio d´ore prima. Una fila di cinque-sei ambulanze aspetta di poter entrare in Egitto. A bordo solo feriti gravissimi. Nessun combattente di Hamas. «Erano tutti civili, feriti dalle esplosioni, con arti scomposti. In una c´erano due corpicini avvolti con le bende già completamente intrise di sangue. Per loro la speranza di potercela fare è solo oltre la sbarra di questa frontiera. La comunità internazionale non può restare a guardare».
Sempre su La REPUBBLICA, a pagina 11 l'articolo "Il nostro orrore quotidiano" di Safa Joudeh è incentrato su un racconto assolutamente non verificato:
Storie di "ordinaria quotidianità" iniziano ad affiorare dalle labbra dei sopravvissuti di Gaza. Come questa della famiglia Attar. L´ha raccontata stasera mio zio, dottore nella squadra dei Medici senza frontiere, appena rientrato, pallido, dai rifugi dell´Unrwa, per valutare lo stress post-traumatico fra gli sfollati. La famiglia Attar è lì da cinque giorni. Abitavano ad Atatra, nel Nord: madre, padre, nonna e otto figli fra i 10 e i 22 anni. Circa una settimana fa, delle unità della fanteria israeliana irrompono d´improvviso: buttano giù a calci la porta e li raggruppano in una stanza. Altri perquisiscono la casa, la devastano, requisiscono i loro risparmi: 2000 dollari nascosti in un cassetto. Bendano adulti e bambini, li fanno uscire, poi con un tank demoliscono la casa. La famiglia viene condotta a piedi in un edificio, e stipata nell´ingresso con altre 70 persone. Lì passano un giorno, senza cibo né acqua, guardati a vista dai soldati. L´indomani arrivano altri militari. Rilasciano le donne, portano i maschi (anche il bambino di 10 anni) bendati, in un luogo poco distante, all´aperto. «Pareva un enorme cratere scavato da un bulldozer nel terreno», dice il piccolo Attar. «Ci hanno spogliati e legati». Trascorrono così tre giorni; solo una volta ricevono pane secco. Agli adulti chiedono coi mitra puntati informazioni su Hamas, nessuno dei civili ne aveva. Al piccolo, dettagli sui frequentatori della moschea. Il padre e un figlio vengono arrestati, gli altri liberati. I tre fratelli s´incamminano seminudi, sperando che un´auto li soccorra. Ma lungo la via la colonna dei maschi liberati è colpita da un caccia. Muore anche il fratello maggiore. I due più piccoli rintracciano mamma e sorelle al rifugio Unrwa. E lì scoprono che la nonna non c´è più: anche le donne, poco dopo il rilascio, sono state decimate dalle bombe.
A pagina 11 sospetti e informazioni fuorvianti sul presunto uso di armi che Israele "sperimenterebbe" sulla popolazione di Gaza, e che in realtà sono state studiate per circoscrivere nello spazio il raggio dei loro effetti distruttivi, risparmiando dunque il maggior numero di civili.
"Stanno sperimentando qualcosa" di Cristina Nadotti:
Prima sono arrivate le fotografie nei blog, immagini terribili di cadaveri di bambini con il volto annerito o il corpo smembrato, poi le denunce delle associazioni per i diritti umani e dei medici degli ospedali di Gaza. Tsahal è accusato di usare bombe al fosforo e "Dime", armi che provocano il distacco degli arti e, alla lunga, il cancro. L´utilizzo di bombe al fosforo, secondo testimoni oculari, non è documentato solo dalle tipiche ustioni che si riscontrano su cadaveri e feriti, ma anche dalle scie bianche nel cielo sopra la Striscia di Gaza. Human Rights Watch, pur riconoscendo che il fosforo bianco in apparenza è utilizzato solo per creare cortine fumogene a protezione delle truppe, impiego questo «in linea di principio ammissibile secondo il diritto internazionale», ha detto di avere fotografie che provano le vittime e i disastri che in realtà queste bombe stanno causando. Tsahal in risposta ha diffuso un comunicato in cui afferma che «le armi usate da Israele sono accettate dalle leggi internazionali». Il sospetto che Tsahal stia sperimentando le "Dime", le bombe che causano un´esplosione radioattiva di breve raggio, si ha, secondo i medici norvegesi degli ospedali di Gaza, dal tipo di ferite di alcuni cadaveri. Le Dime rilasciano infatti microschegge che tranciano tessuti molli e tendini e i feriti sono destinati a morte sicura poiché le schegge impercettibili restano nei tessuti, provocando il cancro. Mark Regev, portavoce del primo ministro israeliano, ha dichiarato ad Al Jazeera che Israele «usa armi impiegate dalle democrazie dell´Onu». Le Dime, efficaci in un breve raggio di azione, sono state create dall´aviazione statunitense per limitare i danni collaterali e non sono inserite negli elenchi di armi proibite.
A pagina 21de L'UNITA' l'articolo di Umberto De Giovannangeli "Il labirinto di Hamas sfida mortale per l'esercito di Israele" descrive con ammirazione il sistema di bunker, tunnel e trappole predisposto dall'organizzazione terroristica.
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