Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La svolta di Fatah, le bolle diplomatiche, il regime di Hamas editoriali che si confrontano con la realtà
Testata:Il Foglio - Corriere della Sera Autore: la redazione Titolo: «Il rischio della bolla diplomatica - Le frustate di Hamas»
Due editoriali da Il FOGLIO del 9 gennaio 2009
Il rischio della bolla diplomatica:
Iglobetrotter della diplomazia sono all’opera già da una settimana per chiudere con una tregua l’offensiva israeliana a Gaza. C’è la troika europea. C’è l’onnipresente uomo del Cairo, Omar Suleiman. C’è Condoleezza Rice che tenta di evitare una risoluzione dell’Onu che di risolutivo non ha nulla. C’è soprattutto Nicolas Sarkozy, che vuole a tutti i costi far siglare una tregua e così, oltre al coinvolgimento dell’Egitto, infila al tavolo dei negoziati anche la Siria, pur se Assad non dà alcun seguito a tanta legittimazione, e anzi se ne approfitta: invece che fermare il lancio dei razzi o restituire il caporale Shalit come ha chiesto Sarkozy, Damasco è il quartier generale degli incontri strategici tra Hamas e le delegazioni iraniane. Il piano franco-egiziano punta a un cessate il fuoco immediato e all’invio di una forza internazionale che, a Gaza, controlli ed eviti il contrabbando di armi. Il modello è quello del sud del Libano del 2006, di Unifil, e conferma il tentativo di dare alla crisi mediorientale un valore globale: non una questione israeliano-palestinese, bensì una questione internazionale. Il problema è l’inefficacia di una missione come Unifil, piegata dai caveat e dalla paura delle cancellerie europee di ritrovarsi troppo impegnate in una guerra che in fondo non vogliono combattere. Così il comandante di Unifil Graziano dice che lì intorno si vedono soltanto cacciatori e poco tempo dopo proprio da lì partono razzi contro Israele. Se è questo che si vuole per Gaza, la frenesia diplomatica diventerà bolla diplomatica. E scoppierà.
Le frustate di Hamas
Sharia e sacrifici umani. E’ quello che Hamas ha saputo offrire alla popolazione palestinese. Anche sotto i razzi d’Israele, mentre i sicari islamici trascinano i ragazzini palestinesi dentro le case obiettivo dei razzi dell’aviazione (ci sono i video a dimostrarlo) per ingrassare il martirologio, il movimento terrorista approva un disegno di legge che introduce nel codice penale di Gaza: frustate, taglio di arti ed esecuzioni per impiccagione e crocifissione. Il disegno di legge è già stato approvato in prima e seconda lettura dal Parlamento di Gaza, con l’unanime voto favorevole di tutti i parlamentari presenti alla seduta. E’ improbabile che il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen sia disposto a ratificare il disegno di legge dopo la terza lettura, come previsto dalla costituzione palestinese. Ma Hamas non avrebbe per questo alcun problema ad applicare la nuova legislazione nella Striscia di Gaza, che è sotto suo completo controllo. La frusta verrà usata su chiunque “si sia dato al gioco d’azzardo, abbia offeso i credo religiosi, abbia diffamato la personalità altrui”. Il disegno di legge autorizza anche i tribunali a comminare il taglio di arti, per lo più quello della mano destra, a chi venga riconosciuto colpevole di furto. Dove sono le organizzazioni per i diritti umani? Dove sono le anime belle che hanno così a cuore la sorte degli omosessuali, considerati feccia da abbattere sotto la sharia? Hamas lo aveva promesso nel 2005: “Imporremo la sharia”. A denunciarlo allora si incassava il sarcasmo dei liberal e dei musulmani modernisti.
Dalla prima pagina del CORRIERE della SERA, l'articolo di Antonio Ferrari "La svolta di Fatah":
E' un silenzio forse strano, certamente inatteso, quello della Cisgiordania dei palestinesi moderati, che desiderano laicamente un'esistenza più dignitosa. Non perché a Ramallah, a Nablus o a Betlemme il cuore non sanguini per le immagini dei civili uccisi e dei feriti, ostaggi di Hamas e bombardati da Israele. Ma perché la gente, nella Cisgiordania che vuol vivere in pace, ha capito che l'unica alternativa è accettare realisticamente l'inevitabile compromesso necessario per risolvere un conflitto tra due diritti: quello di Israele ad essere riconosciuto entro frontiere sicure, senza missili che cadano sulla sua testa, e quello dei palestinesi ad avere il loro Stato. Diciamolo subito. E' un mutamento antropologico e, insieme, intriso di buon senso. Che va oltre le ambizioni del presidente dell'Anp Abu Mazen, fiero sostenitore del dialogo; e che va ben oltre il risentimento del laico Fatah nei confronti del fratello integralista, che non ha esitato ad agire con feroce violenza per neutralizzarlo. E' un mutamento che coinvolge il diffuso sentire di un popolo più maturo, consapevole dei rapporti di forza, degli equilibri internazionali, del desiderio di poter vivere senza essere vittima dell'appartenenza islamica, della coercizione, della paura e del fanatismo. E' stato indubbiamente un grave errore puntare sulle ultime elezioni politiche, nella speranza che gli uomini del Fatah potessero vincerle. Vien da sorridere per le paradossali ingenuità dei palestinesi laici, che in molte circoscrizioni presentarono tre candidati contro quello solitario di Hamas, pur sapendo che uno soltanto sarebbe stato eletto. Era sincero Abu Mazen quando diceva amaramente, anche a noi, che con un po' più di scaltrezza, il risultato sarebbe stato diverso. Verissimo, perché la maggioranza dei palestinesi, che tanto hanno imparato dalla democrazia israeliana, mai si sarebbero piegati alle regole dei bacchettoni estremisti di Hamas, pronti a sacrificare tutto, per conto proprio o per conto terzi, all'appartenenza religiosa e a strategie che non erano nell'interesse del loro popolo. Se si vuole, è questa la novità più dirompente che affiora dalle macerie di Gaza, e che Abu Mazen, pur costretto a ricorrere in pubblico a formule verbali ambigue, ha saputo cogliere. Nel suo pensiero moderato e profondamente laico ormai si identificano gli arabi palestinesi della Cisgiordania, che hanno imparato sulla propria pelle le lezioni della storia. Penso agli impiegati, ai commercianti, agli artigiani che, in un conflitto così delicato e particolare, non hanno mai rinunciato a cercare un accordo con quello che una sterile e pericolosa propaganda descrive come il nemico. Se così non fosse, la Cisgiordania sarebbe in fiamme, pronta a sostenere le pulsioni e le sfide di una «terza intifada», probabilmente suicida ben più della «seconda». Cioè la seconda intifada condotta dall'ormai logoro Arafat. Ma non è soltanto dal mondo palestinese che giunge la novità. L'onda del realismo si allunga all'Egitto di Mubarak, stanco di Hamas dopo aver cercato ostinatamente di convincerlo alla ragionevolezza, e timoroso che il contagio possa riaccendere la rivolta della Jama'a Islamiya, l'ala più estrema del fanatismo egiziano. E si allunga anche alla Giordania del saggio re Abdallah, che, pur guidando un popolo che per la sua maggioranza è di origine palestinese, non ha mai ascoltato le sirene del furore islamico. Ecco perché, dalle ceneri di una guerra onestamente inevitabile, può scaturire davvero una nuova speranza.