Il Vaticano, la Striscia come un lager. Israele replica "Parlate come Hamas - La Striscia è un lager - Gaza è un campo di concentramento - Dicano quello che vogliono la dignità umana è calpestata - La chiesa e la guerra santa - I diritti umani? calpestati dagli islamici -lettera aperta
Ampio spazio alle dichiarazioni antisraeliane di cardinal Martino, senza nessuna condanna del suo ripugnante paragone tra Gaza e "un lager" e dunque tra israeliani e nazisti, sul GIORNALE dell'8 gennaio 2009, a pagina 6nell'articolo di Andrea Tornielli "Il Vaticano, la Striscia come un lager. Israele replica "Parlate come Hamas":
RomaOggi il Papa interverrà nuovamente sulla guerra a Gaza chiedendo che le prossime scadenze elettorali in Israele e nei Territori vedano emergere uomini che possano aiutare la pace, ma a far salire il tono della polemica è stato ieri il botta e risposta tra il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio consiglio per la giustizia e la pace, e il ministero degli Esteri israeliano. Martino, intervistato dal giornale online «sussidiario.net», ha detto: «Guardiamo le condizioni di Gaza: assomiglia sempre più ad un grande campo di concentramento». La risposta non si è fatta attendere ed è stata durissima nei confronti del «ministro» vaticano: «Affermazioni che sembrano provenire direttamente dalla propaganda di Hamas».
Nell’intervista il cardinale Martino aveva detto che «la violenza non risolve i problemi e la storia è piena di conferme», citando come esempio la guerra in Irak. Aveva aggiunto che «in Terra Santa vediamo un eccidio continuo dove la stragrande maggioranza non c’entra nulla ma paga l’odio di pochi con la vita... Nessuno vede l’interesse dell’altro, ma solamente il proprio. Ma le conseguenze dell’egoismo sono l’odio per l’altro, la povertà e l’ingiustizia. A pagare sono sempre le popolazioni inermi. Guardiamo le condizioni di Gaza: assomiglia sempre più ad un grande campo di concentramento». Infine aveva osservato: «Israeliani e palestinesi sono figli della stessa terra e bisogna separarli, come si farebbe con due fratelli. Ma questa è una categoria che il mondo, purtroppo, non comprende. Se non riescono a mettersi d’accordo, allora qualcun altro deve sentire il dovere di farlo. Il mondo non può stare a guardare senza far nulla».
Il paragone con il campo di concentramento non è andato giù agli israeliani e in serata, con una dichiarazione all’agenzia «France Presse», Igal Palmor, portavoce del ministero degli Esteri, ha risposto: «Fare affermazioni che sembrano provenire direttamente dalla propaganda di Hamas e ignorare gli impronunciabili crimini commessi da quest’ultimo, che con la violenza ha fatto deragliare il processo di pace e ha trasformato la Striscia di Gaza in un gigantesco scudo umano, non aiuta la gente ad avvicinarsi alla verità e alla pace». È probabile che ad aumentare l’irritazione israeliana abbiano contribuito anche le dichiarazioni di vari esponenti della Chiesa cattolica di Terra Santa, i quali hanno sottolineato come Hamas debba essere considerato un interlocutore da Israele e dalla comunità internazionale.
Intanto c’è attesa per quanto dirà stamattina Benedetto XVI nel discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, in occasione del tradizionale incontro d’inizio anno. L’intervento del Pontefice, uno sguardo panoramico e articolato sullo stato del mondo, darà, com’è comprensibile, più spazio di quello inizialmente previsto alla crisi scoppiata in Terra Santa, dopo gli eventi degli ultimi giorni.
Ratzinger non formulerà proposte concrete, ma ribadirà la richiesta già avanzata, quella di una tregua, di un immediato cessate il fuoco, ricordando le enormi sofferenze della popolazione e la necessità di far giungere aiuti umanitari. Inoltre insisterà sul fatto che la violenza e l’odio non sono la soluzione dei problemi, ma rischiano di creare nuovo odio e nuova violenza, come insegna la storia recente. La Santa Sede è ben cosciente della responsabilità di Hamas, che ha iniziato gli attacchi con i razzi contro gli insediamenti civili israeliani, ma ritiene sproporzionata la risposta militare messa in atto dal governo di Israele. Una posizione che in questo momento coincide con quella della presidenza dell’Unione europea: il Vaticano insiste per un approccio globale per risolvere dei conflitti in Medio Oriente e sostiene tutti gli sforzi diplomatici che puntano a soluzioni negoziate e durature, che consentano agli israeliani di vivere in pace e sicurezza nel loro Paese, e ai palestinesi di avere finalmente una patria sovrana, dai confini certi.
Un passaggio del discorso del Pontefice dovrebbe contenere anche un riferimento alle consultazioni elettorali previste sia in Israele che nei Territori palestinesi, formulando l’augurio che vengano scelti uomini in grado di aiutare il processo di pace. Per il momento è fissata la data delle elezioni in Israele, mentre quelle nei Territori sono state rimandate e si prevede un prolungamento del mandato di Abu Mazen. Anche se non sono state prese decisioni in merito, l’ipotesi della visita papale in maggio – peraltro mai annunciata ufficialmente dalla Santa Sede – rimane ancora valida. Ma è chiaro che gli ultimi sviluppi saranno attentamente valutati e più il conflitto si protrae, più l’ipotesi si allontana.
L’intervento di Ratzinger, che avrà di fronte i diplomatici di tutto il mondo, non sarà focalizzato soltanto sui problemi del Medio Oriente. Molto spazio sarà dato all’Africa, alle sue guerre dimenticate e alle emergenze umanitarie. Un altro argomento sarà la crisi economica e finanziaria internazionale e della mancanza di principi etici che l’hanno provocata. Infine è previsto che Benedetto XVI faccia un accenno alla laicità.
Luciano Gulli nell'articolo "Tra i cristiani che vivono in mezzo all'odio" racconta la loro condizione a Gaza
Parole col contagocce, al cellulare, finchè non pronuncio il nome di un padre francescano che conosciamo entrambi e che mi ha fatto da tramite. Chiamiamolo Yusef, e facciamo che Helen sia il nome della moglie. «Va bene. Così va bene», si tranquillizza Yusef. «Nessuno sa dire che cosa accadrà nei giorni e nei mesi futuri. Hamas, nonostante i bombardamenti di questi giorni è ancora forte, e noi cristiani di Gaza siamo una piccola comunità...», sospira Yusef al telefono.
Qualcuno mi aveva detto di cercarli in un certo bar di piazza della Mangiatoia, dove una torma di turisti spagnoli succhia cappuccini o, alternativamente, cannelli di narghile. Ma quando sono arrivato non c'erano più.
Marito e moglie, insieme con una coppia di loro parenti, erano all'hotel "Golden Park" di Beit Sahour, ai piedi di Betlemme, la cittadina della Grotta dove gli angeli annunciarono ai pastori la nascita di Gesù. Yusef e la moglie erano saliti da Gaza a Betlemme in occasione del Natale per rispettare un vecchio voto fatto da Helen. E sono rimasti tagliati fuori dagli avvenimenti. Un'ora fa, quando hanno sentito della finestra di 3 ore accordata dagli israeliani per far affluire aiuti umanitari verso la Striscia sono partiti di carriera, sperando di riuscire a forzare il blocco. «Abbiamo lasciato i nostri tre figli ai nonni. Finora tutto bene, sì, grazie a Dio...».
La vita ai tempi di Hamas, posto che sia prudente parlare di Hamas al passato remoto, non è stata facile, per Yusef e il migliaio di cristiani riuniti a Gaza sotto il mantello dell'unica parrocchia retta da padre Manuel Musallam, 70 anni. Un parroco e una dozzina di suore (Le Rosary Sisters, le Piccole Sorelle di Gesù, le suorine di Madre Teresa). Ecco, le divisioni del Papa a Gaza son queste.
«Nessuno ci ha perseguitati, non è questo che intendo; anche se negli occhi dei miliziani c'è sempre quel sorrisino di scherno, di compatimento. Del resto, siamo una comunità così piccola. A chi possiamo dare fastidio? - si domanda Yusef -. È stata la scelta tragica di Hamas di rompere la tregua, e la rottura con l'Egitto, che ha risposto sigillando il valico di Rafah, a rendere insostenibile la situazione per noi di Gaza». Il terrore dei bombardamenti, la fame, la mancanza di energia elettrica, l'attesa della prossima bomba, il numero spaventoso di gente senza lavoro, costretta alla mendicità, e l'odio come collante di una popolazione che somiglia sempre più a una bolgia di ratti pronti ad azzannarsi fra loro. Questo racconta Yusef. «Quelli di Hamas non parlano con quelli di Al Fatah e viceversa. È il tempo dell'odio, come se fossimo due nazioni. Ecco, questa è stata la vita al tempo di Hamas».
Anche con Israele, naturalmente, Yusef non è tenero. «Per sopravvivere in tempi normali, Gaza ha bisogno di settecento Tir carichi di aiuti al giorno, ma ultimamente Israele ne faceva passare una ventina. Non è terrorismo, questo? Il risultato è che quello che costava dieci centesimi ora costa dieci dollari».
I bambini, e la pietà e lo sdegno suscitato dalla vista di quei morticini... «Ah, ma non dimentichi i vivi. Molti vivono con un senso di nausea permanente, si fanno la pipì addosso, non riusciamo a nutrirli correttamente». Domando: non avete paura di rientrare a Gaza, sotto le bombe? «Sì, naturalmente - risponde Yusef -. Ma lì sono i nostri figli, lì sono le nostre case. Noi siamo palestinesi. Non possiamo fuggire senza attirarci l'odio di Hamas che già ci tollera come infedeli».
Come finirà? «Non lo so - risponde sconsolato Yusef -. L'importante è che smettano di spararci addosso indiscriminatamente, facendo pagare a tutti le colpe di pochi. Al futuro non voglio neppure pensare. Noi siamo cresciuti senza poter fare scommesse sul futuro. L'altro giorno, io e mia moglie abbiamo sentito parlare di perdono, di riconciliazione. Ma erano parole che facevano parte dell'omelia pronunciata da un padre francescano, durante la messa. A Gaza non si sa neppure cosa siano, quelle parole».
Alcuni titoli dei quotidiani dell'8 gennaio riportano le parole del cardinal Martino senza indicare chi le ha pronunciate, come se fossero un fatto. Ad esempio: La STAMPA apagina 8: "La Striscia è un lager", Il GIORNO a pagina 10: "Gaza è un campo di concentramento".
Su La REPUBBLICA, a pagina 3, Marco Politi intervista il cardinal Martino, che continua a ignorare il fatto che Hamas si fa scudo delle vite dei civili palestinesi:
CITTÀ DEL VATICANO - «Dicano quello che vogliono. La situazione a Gaza è orribile». Con tanti anni passati alle Nazioni Unite da nunzio vaticano, assistendo ai dibattiti più roventi nel Palazzo di Vetro, il cardinale Renato Martino non si lascia impressionare da bordate propagandistiche né da attacchi personali. Il presidente del Consiglio vaticano Giustizia e Pace sa di essere nel solco di una decennale linea della Santa Sede. Come disse una volta l´allora Segretario di Stato cardinale Sodano: «Né i kamikaze né i carri armati risolveranno i problemi della Terrasanta».
Eminenza, al ministero della Difesa israeliano l´accusano di parlare come Hamas.
«Ah sì? Che dicano pure».
Il suo paragone sulla Striscia che assomiglia ad un campo di concentramento ha suscitato scalpore.
«Io dico di guardare alle condizioni della gente che ci vive. Circondata da un muro che è difficile varcare. In condizioni contrarie alla dignità umana. Quello che sta succedendo in questi giorni fa orrore. Ma quando parlo, si tenga conto di tutte le mie parole. A proposito di Milano ho affermato che è orribile quando si bruciano bandiere. Ho condannato i gesti di odio, so di essere stato apprezzato».
Quindi?
«Certe accuse non mi toccano. Nelle mie parole non c´è nulla che possa essere interpretato come antisraeliano».
Benedetto XVI non ha solo incoraggiato i costruttori di pace, ha anche giudicato una «violenza inaudita» ciò che accade da quando sono cominciati i bombardamenti su Gaza.
«Lo dico pure io. La situazione è veramente triste. La violenza genera violenza. Ciò che negli ultimi tempi era stato raggiunto attraverso il dialogo tra palestinesi e israeliani, ora viene completamente distrutto».
Hamas ha denunciato la tregua.
«Esatto. E i razzi di Hamas non sono certo confetti. Li condanno. Entrambe le parti hanno di che rimproverarsi. Israele ha certamente il diritto a difendersi e Hamas deve tenerne conto. Ma che dire quando si ammazzano tanti bambini, quando si bombardano scuole delle Nazioni Unite, pur essendo in possesso di tecnologie che permettono persino di individuare una formica sul terreno?».
In base alla sua esperienza diplomatica quale può essere la via d´uscita?
«Le due parti devono tornare sui propri passi. Israele ha diritto a vivere in pace, i palestinesi hanno diritto ad avere il proprio stato».
Sì, ma concretamente?
«Cosa si fa in famiglia quando due fratelli litigano? Anzitutto si dividono, poi si parla energicamente con l´uno e con l´altro».
Tradotto in politica?
«E´ urgente dividere le due parti. Serve una forza internazionale di interposizione. Il presidente Bush ad un certo momento è parso volerla, poi non lo ha fatto».
Giorni fa l´Osservatore romano ha pubblicato in prima pagina un´analisi che diceva testualmente: lo Stato ebraico non può più continuare a pensare di essere sicuro affidandosi esclusivamente alla soluzione militare, la sola idea di sicurezza possibile deve passare attraverso il dialogo con tutti, persino con chi non lo riconosce.
«A mio parere Hamas deve entrare in prospettiva di negoziato. Sedersi a un tavolo è già non uccidersi. Io spero che la tregua di tre ore possa trasformarsi in una tregua più lunga. Se Israele vuole vivere in pace, deve fare la pace con gli altri».
Però Hamas ha nel suo statuto l´obiettivo di distruggere Israele.
«Hamas non rappresenta tutti i palestinesi. Io non difendo Hamas: se vogliono una casa, se vogliono uno Stato palestinese, devono capire che la via imboccata è sbagliata».
Sull´Osservatore romano lei ha dichiarato che l´unica via resta il dialogo tra le religioni abramitiche. Ne è sempre convinto?
«Sedersi a un tavolo è già mettere in moto un processo. Io sto pregando per questo».
Sul rapporto tra la Chiesa e la guerra tra Occidente fronte jihadista, l'editoriale del FOGLIO "La chiesa e la guerra santa":
Il molto bellico Novecento è stato percorso, da Benedetto XV al Papa oggi regnante, da una forte corrente di delegittimazione religiosa della guerra. Lo racconta assai bene lo storico Daniele Menozzi in un suo libro pubblicato dal Mulino. Benedetto XVI nel 2007 era arrivato alle soglie di una compiuta teorizzazione della nonviolenza come modo d’essere del cristiano. Fu come l’accenno a una rottura rispetto alla tradizionale e secolare dottrina della guerra giusta e alla sensibilità cristiana verso la garanzia civile della agostiniana “tranquillitas ordinis”, elementi ribaditi nel Catechismo della chiesa cattolica e in molti altri pronunciamenti. Il cammino è accidentato, non si presenta come un tutto coerente, e soprattutto viene rimesso in questione dai nudi fatti del nuovo secolo al suo inizio. Specialmente dalla guerra di civiltà a sfondo religioso che ha sostituito le tensioni conflittuali della lotta di classe e della guerra civile europea, fattori dominanti nella scena mondiale lungo i cento anni precedenti. Il ripudio della guerra santa in ogni sua forma, anche in quella della crociata, paralizza oggi la chiesa e consegna la sua beatitudine spirituale a una condizione di impotenza nel rapporto con il mondo com’è. Nel mondo infatti una guerra santa, un jihad, è in atto e fa persino capolino nell’islam europeo e nelle manifestazioni politiche e di preghiera intorno alle cattedrali. Naturalmente il problema non è quello di proclamare una crociata contro la guerra santa islamista, ma occorre difendere la società aperta e le sue radici liberali e giudeo-cristiane con qualcosa di diverso dal silenzio o dalle retoriche della contaminazione. E’ un compito laico, al quale anche i cattolici devono collaborare. Se non altro perché è attorno ai loro simboli che si addensa in Europa la tempesta.
Ennio Caretto intervista Michael Novak, sul CORRIERE della SERA a pagina 10 e 11, " I diritti umani? calpestati dagli islamici":
WASHINGTON — L'accusa a Israele di aver trasformato Gaza in un enorme campo di concentramento scuote Michael Novak, il più eminente filosofo conservatore cattolico americano. «Nel Vaticano — dichiara — sembra esserci una corrente pronta a colpevolizzare Israele nelle crisi più gravi. Ma questo è in contrasto con la posizione assunta da Paolo Giovanni II prima e Benedetto XVI poi». «La questione morale di fondo — aggiunge Novak — è la seguente: qual è il modo migliore di tutelare i diritti umani dei palestinesi a Gaza, tramite Hamas o Israele?
A mio giudizio è tramite Israele, che sosterrebbe uno Stato della Palestina non terrorista». Il filosofo conclude che «sarebbe di notevole aiuto se, mentre esorta Israele a cessare le ostilità, il Vaticano deplorasse la condotta di Hamas».
L'accusa di monsignor Martino l'ha sorpresa?
«Sì. Ricordo che discutendo in Vaticano di rifugiati nel 2003, io osservai che alla fine della seconda guerra mondiale ce n'erano 40 milioni e tutti furono sistemati, tranne quelli nei Paesi più ricchi, i Paesi arabi. E per quale ragione? Per ché i campi dei rifugiati servono per la propaganda contro Israele, per tenere alta la tensione».
Ma le critiche a Israele non sono giustificate?
«Paiono un riflesso condizionato, come se la corrente colpevolista del Vaticano pensasse che Israele non sia uno Stato permanente. Se attaccato dai missili, qualsiasi Stato avrebbe reagito come Israele. I suoi critici non notano che molti Paesi arabi oggi sono contro Hamas. L'Iran l'appoggia soltanto tiepidamente: ha problemi economici e politici e sponsorizzare Hamas non è popolare al suo interno».
Lei invece colpevolizza Hamas.
«È chiaro che ha voluto provocare Israele, ma non si sono levate critiche nei suoi confronti. In Europa Israele non viene spalleggiata e Hamas non viene denunciato quando dovrebbero esserlo. Non voglio dare consigli al Vaticano, ma perché non lo fa presente?».
Perché Israele proteggerebbe i diritti umani a Gaza più di Hamas?
«Perché Hamas non ha fatto nulla per migliorare la vita dei palestinesi. Adesso addirittura li strumentalizza. Se ci fosse uno Stato della Palestina in pace con Israele, i suoi cittadini godrebbero dei diritti umani esattamente come i cittadini israeliani. La soluzione politica della crisi è sempre quella, i due Stati in pace».
A che strumentalizzazione allude da parte di Hamas?
«Le faccio un esempio. Hamas lancia i missili contro Israele dal terreno di una scuola, poi l'abbandona mentre le forze israeliane rispondono. Così aumentano le perdite civili. Non protestare contro abusi del genere è fare il gioco di Hamas».
Di seguito, una lettera aperta al Cardinal Martino,di Emanuel Segre Amar:
Il Cardinale Martino ha paragonato Gaza ai lager nazisti!
Non sapendo come rivolgermi a lui direttamente, spero che qualche lettore di
IC possa fargli pervenire questa mia personale risposta.
Eccellenza, si rende conto dell'assurdità delle sue parole?
Immagino che nella sua lunga vita abbia visto le fotografie dei reclusi nei
lager nazisti. Erano tutti scheletrici, con l'occhio spento, senza un
briciolo di energia, disperati.
E immagino che abbia visto le foto degli abitanti di Gaza. Io non ne ho
visto uno in condizioni neppure lontanamente paragonabili, mentre li vedo
sempre tutti ben nutriti, pieni di forze (per fortuna, per carità!), e con
la voglia di uccidere il nemico.
Immagino che abbia visto le immagini dei convogli che arrivavano nei lager
nazisti. Erano tutti vagoni piombati che trasportavano carne da macello
(mescolata ai cadaveri di chi era già morto).
Immagino che abbia visto le immagini dei convogli che arrivano a Gaza (e se
non le conosce, posso, a semplice richiesta, farle pervenire tante immagini.
Sono lunghe file di camion che trasportano enormi quantità di cibo. Se poi
Hamas non lo distribuisce tra gli abitanti, la colpa non può essere che di
chi governa la striscia.
C'è solo un paragone che le posso concedere.
I lager erano pieni di gas destinato ad uccidere il maggior numero possibile
di ebrei.
E Gaza è piena di armi destinate ad uccidere il maggior numero possibile di
ebrei.
Ora le chiedo, Eccellenza. Come già durante la seconda guerra mondiale si
dava la colpa agli ebrei, così è anche oggi?
Emanuel Segre Amar
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