Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La solita zuppa di Sandro Viola e opinioni pro e contro l'attacco ad Hamas Ma le analisi internazionali non condividono la ricetta di Viola
Testata:La Repubblica - Corriere della Sera Autore: Sandro Viola-Lorenzo Salvia Titolo: «L'obbligo del dialogo- Pro e contro»
Su REPUBBLICA di oggi, 28/12/2008, l'editoriale è affidato a Sandro Viola. Il titolo è quello di sempre, " L'obbligo del dialogo ". Mentre un po' di pelo lo ha perso anche Igor Man, Sandro Viola procede, incurante persino dei segnali che tra ieri e oggi giungono da una parte non indifferente del mondo arabo dopo l'attacco di Israele contro Hamas. Viola estrae dal cappello il solito armamentario di accuse che da 40 anni contraddistingue la sua analisi del conflitto israelo-palestinese. Poco importa che la realtà sia sempre più chiaramente un'altra, Viola è affezzionato alla sua, che poi sia finzione poco gli importa. Quel che conta è ripetere la litania di sempre, con i nemici si dialoga. Verremmo vedere lui andare al bar del Grand Hotel X se gli venissero serviti dei pessimi cocktail, mai e poi mai, cambierebbe subito albergo. Ma su Israele Viola non molla, Israele deve venire a patti con chi la vuole distruggere. Ecco il suo articolo:
Attesa e temuta ormai da vari giorni, la rappresaglia israeliana contro Hamas a Gaza, è stata ieri devastante. Ondate di bombardamenti aerei, oltre duecento morti e centinaia di feriti, la più cruenta azione militare su Gaza degli ultimi quarant´anni. Bisogna stare attenti, tuttavia, a non imputare soltanto ad Israele questo nuovo scoppio di violenza con la sua tragica scia di vittime tra la popolazione civile. Dal 19 dicembre, quando era scaduta la tregua tra i fondamentalisti di Hamas e il governo di Gerusalemme, gli artiglieri di Hamas e della Jihad islamica avevano fatto piovere sulle cittadine israeliane del Negev una grandine di razzi Qassam. Missili artigianali, è vero, di limitata forza distruttiva (tanto che in dieci anni non hanno provocato più d´una diecina di vittime), ma capaci lo stesso da far vivere nel panico la popolazione israeliana nelle zone raggiungibili dalla loro portata. Ora, che un governo sia autorizzato a reagire con la forza quando i suoi cittadini sono sotto il tiro dell´artiglieria nemica, questo è indubitabile. In più, la dirigenza di Hamas avrebbe dovuto tenere in conto che il lancio di razzi sul Negev non poteva non suscitare la reazione d´un governo che tra un mese e mezzo si presenterà alle elezioni, ed è perciò deciso a non mostrarsi esitante, debole, dinanzi all´offensiva dei fondamentalisti islamici che controllano la Striscia di Gaza. E´ dunque probabile, come sosteneva ieri su «Repubblica» il più illustre scrittore israeliano, Amos Oz, che Hamas intendesse provocare la rappresaglia d´Israele, augurandosela il più possibile sanguinosa, così da stringere attorno alla sua linea estremista l´insieme del popolo palestinese, compreso quello della Cisgiordania amministrata dai moderati di Abu Mazen. E inoltre aggravando l´isolamento d´Israele nell´opinione pubblica - ma ormai anche tra i governi, compreso quello americano - dell´Occidente. Messa in chiaro la provocazione degli islamisti di Gaza, si deve però dire che il governo di Gerusalemme non è a sua volta privo di responsabilità per questo ulteriore, grave sussulto del conflitto israelo-palestinese. Pur durando nei mesi scorsi la tregua con Hamas, l´esercito israeliano ha infatti tenuto quasi sempre sbarrati i valichi tra Israele e Gaza, contribuendo così ad esacerbare le condizioni di vita d´una popolazione già tra le più miserabili del pianeta. I valichi chiusi salvo che per pochissimi giorni al mese (cinque giorni in tutto, per esempio, questo dicembre), hanno significato un arrivo sporadico e insufficiente dei rifornimenti di derrate, gasolio e medicinali. Fermi anche i camion con gli aiuti alimentari dell´Onu, che servono a far mangiare i due terzi del milione e mezzo di palestinesi che vivono nella Striscia. Lunghe interruzioni dell´energia elettrica, quindi niente luce né acqua corrente. E il tutto, a sentire autorevoli commentatori della stampa israeliana, senza vere motivazioni in materia di sicurezza e antiterrorismo. Una forma di «punizione collettiva», misura contraria al diritto internazionale. Ma la domanda più rilevante da porsi mentre fumano le rovine di Gaza city e si seppelliscono i morti, è se la rappresaglia di ieri abbia un senso, un´efficacia politica e militare. Domanda che scaturisce dalla storia dei quarantun anni dell´occupazione israeliana in Palestina. Quante sono state infatti le severe risposte dell´esercito di Israele alle azioni di guerriglia, agli attentati, alle rivolte dei palestinesi? E quale risultato ne è scaturito se non nuove spirali di violenza, altri attentati, una progressiva radicalizzazione dei palestinesi? Questo è il punto. Ed esso rimanda a tutte le occasioni perdute da Israele (e dai palestinesi, è ovvio) per giungere ad un compromesso che avrebbe consentito ai due contendenti di vivere in pace. Ormai dimissionario dopo che un tribunale lo ha posto sotto accusa per corruzione, ma in carica sino alle elezioni di febbraio, il primo ministro israeliano Ehud Olmert s´è pronunciato a questo proposito in modo estremamente chiaro. Lo ha fatto a novembre nel corso di un´intervista a «Yedioth Ahronot», il più diffuso quotidiano d´Israele, ripubblicata nell´ultimo numero della «New York review of books». Intervista che si può riassumere così: la politica d´Israele verso i palestinesi ha mancato di realismo e lungimiranza, è stato un fallimento. Per cui a questo punto, sostiene Olmert (che non proviene dalla sinistra bensì dalla destra, e che non ha mai avuto a che fare col movimento pacifista), per evitare nuove tragedie non resta che rimediare agli errori del passato. «Non solo dobbiamo perciò ritirarci da tutti o quasi tutti i territori occupati. Ma anche dalla Gerusalemme araba. Io sono stato il primo, e per decenni, a voler mantenere il controllo dell´intera città, ma oggi so che non è possibile». Politici e militari israeliani, continua Olmert, hanno completamente sbagliato la concezione della politica di sicurezza necessaria a Israele. I militari in specie, che ancora pensano e si muovono come ai tempi della guerra d´Indipendenza o della campagna nel Sinai. «Per loro è sempre questione del numero di carri armati, di mantenere le posizioni su questa o quell´altra collina, di controllare pezzo a pezzo i territori palestinesi. Ma queste sono idee completamente superate, fuori dalla realtà. Chi può davvero pensare che se avanziamo su un´altra collina, per qualche altro centinaio di metri, questo risolverà il problema essenziale della nostra sicurezza?». Interrogativo cui oggi, dopo i bombardamenti su Gaza, se ne può aggiungere un altro: chi può pensare che una nuova rappresaglia stroncherà la spinta dei palestinesi per mettere fine all´occupazione della Cisgiordania, e per quanto riguarda la popolazione di Gaza (che non è più occupata) il suo bisogno di vivere in modo accettabile, esportando i suoi prodotti agricoli e ricevendo cibo, medicine e il gasolio necessario a tenere la luce accesa, a riscaldarsi d´inverno, a non cucinare sugli sterpi? Israele sta oggi entrando in una fase critica, tra le più critiche (sia in politica interna sia nei rapporti internazionali) della sua esistenza. Alcuni giorni fa il quotidiano Haaretz riportava la frase d´un esponente del governo Bush, pronunciata a commento della posizione Obama-Hillary Clinton su un´immediata risposta nucleare americana nel caso che Israele venisse attaccata dall´Iran con armi nucleari. Diceva il collaboratore di Bush: «Intervenire? Bisognerebbe sapere a quel punto come spiegare a un cittadino del Kansas che ci facciamo coinvolgere in una guerra atomica perchè l´Iran ha bombardato Haifa. E dopo tutto, a che servirebbe intervenire dopo che le città israeliane saranno già state distrutte?». Olmert ha quindi ragione quando dice che Israele non può essere più sicuro soltanto mettendo l´esercito su questa o quell´altra collina, continuando con le rappresaglie e affidandosi alla protezione americana. A minacciarlo sono adesso i lanciamissili di Hamas a sud e di Hezbollah a nord, le agghiaccianti promesse iraniane di cancellare lo Stato degli ebrei dalla carta geografica, e l´emergere nel mondo politico, in quello accademico e nell´opinione pubblica degli Stati Uniti, di sempre più voci che chiedono una modifica, un allentamento, del rapporto con Israele. Così, dice Olmert, la sola idea di sicurezza possibile è adesso trattare con i nostri avversari. Avremmo dovuto cominciare a farlo trent´anni fa, sfortunatamente non lo si è fatto, ma ormai è certo che non ci sono altre soluzioni. Trattare con tutti, e persino con chi non riconosce, come gli estremisti di Hamas, l´esistenza d´Israele.
Sul CORRIERE della SERA, due servizi di Lorenzo Salvia, con interviste pro e contro l'intervento a Gaza. AN, con Ronchi, a favore. Contro, la solita troupe, comunisti e verdi vari, con l'aggiunta di Bobo Craxi (non par vero, in memoria di papà) più Franco Cardini, che si fregia del titolo di storico cattolico. Eccoli:
Lorenzo Salvia: " E AN si schiera con Israele "
ROMA — Gli appelli arrivano da sinistra e da destra: adoperarsi per fermare le armi in modo da riaprire la strada ad un pur difficile dialogo. E la posizione ufficiale del governo italiano resta di equilibrio, con l'obiettivo dei due popoli e due Stati, Israele e Palestina. Una posizione che condivide anche Alleanza nazionale e quindi pure Andrea Ronchi, il ministro per le Politiche comunitarie, che però almeno in parte si smarca: «Israele ha fatto bene perché — dice — ha tutto il diritto di esistere, mentre la sua esistenza viene messa a rischio. Ed ha tutto il diritto di difendere i suoi confini, quando questi vengono attaccati in modo così violento». Anche per Ronchi l'obiettivo di fondo è quello dei due popoli e dei due Stati. «Ma è fondamentale che in questo momento — spiega— tutta l'Unione Europea si stringa attorno allo Stato di Israele. Come ministro per le Politiche comunitarie mi adopererò in questo senso. Bisogna difendere a tutti i costi l'unica vera democrazia di quell'area difficile del mondo, un Paese che, non dimentichiamolo, qualcuno ha detto di voler cancellare dalla cartina geografica ». C'è chi difende il diritto di Israele ad esistere ma dice che la reazione di questi giorni è sproporzionata: cosa ne pensa? «Quello che è sproporzionato — risponde Ronchi — è mettere sullo stesso piano attacco e difesa. Si parla troppo della reazione di Israele e troppo poco degli attacchi di Hamas. Non bisogna dimenticare che è stata Hamas a violare la tregua, lanciando centinaia di razzi contro Israele». Il ministro per le Politiche comunitarie dice che saranno raccolti gli inviti che arrivano anche al governo italiano per fermare la violenza e far riprendere il dialogo: «Il dialogo e la pace vanno sempre bene, prenderemo iniziative in tal senso. Ma a patto di non mettere in discussione il diritto di Israele a difendersi. Per troppo tempo l'Europa è stata un ventre molle rispetto ai tanti distinguo che si fanno su Israele, frutto di vecchi e odiosi pregiudizi». Chiudere la porta ad Hamas non può favorire comportamenti ancora più violenti e pericolosi? «Non credo proprio. Bene fece il presidente Gianfranco Fini, quando era ministro degli Esteri, a lavorare per inserire Hamas nella lista delle organizzazioni canaglia. Sono terroristi e, ricordiamolo, il terrorismo è legato con un filo rosso al fondamentalismo che è un pericolo direttamente per noi, per l'Europa, per l'Italia e per il mondo intero. Noi siamo con Israele ieri, oggi e domani. Perché non ci siano più madri costrette a mandare i propri figli a scuola su due autobus diversi. Nella speranza che almeno uno non venga colpito da un missile ». L'Europa «E' fondamentale che in questo momento tutta l'Unione Europea si stringa attorno allo Stato di Israele»
Lorenzo Salvia: " Da Latorre a Bobo Craxi, sbagliato attaccare Hamas "
ROMA — A Marco Rizzo, europarlamentare dei Comunisti italiani, bastano sei parole: «Il governo di Israele è terrorista». Jacopo Venier, responsabile esteri dello stesso partito, ne trae le conseguenze: «Bisognerebbe incriminare i governanti israeliani e portarli all'Aja in catene. Sono criminali di guerra, peggio di Milosevic». Nella storia infinita della guerra in Medio oriente hanno sempre preso le difese dei palestinesi. E non cambiano idea adesso dopo i 200 morti nella striscia di Gaza e nemmeno dopo l'annuncio di Hamas di riprendere gli attacchi kamikaze. Sinistra radicale, certo. Ma non solo. «Quella israeliana è una risposta quantomeno sproporzionata», dice il socialista Bobo Craxi, già sottosegretario agli Esteri nell'ultimo governo Prodi. E la parola chiave, tra chi critica il governo di Israele per i bombardamenti, è proprio questa, sproporzionata. Colpe da una parte e dall'altra ma responsabilità che pesano in modo diverso. «Non si possono mettere sullo stesso piano — dice ancora Venier — un'organizzazione politica e militare, come Hamas, ed uno Stato che si dice democratico. E invece il governo di Israele sta scendendo allo stesso livello di chi pianifica un attentato contro i civili. Gravissimo». Sul perché di questo cambiamento dice la sua Paolo Ferrero, il segretario di Rifondazione comunista che si trova proprio a Gerusalemme: «È inaccettabile che le esigenze elettorali dei vari partiti del governo israeliano determinino nei fatti una escalation militare che rischia di rimettere a ferro e fuoco la Palestina e tutta la regione». E la stessa analisi trova sostenitori anche a destra. «Fino ad oggi — dice per la Destra Francesco Storace — abbiamo definito terrorista Hamas. Ma non mi sembra che dall'altra parte siano agnellini». Israele terrorista? «Lasciamo perdere gli slogan, diciamo che in questa occasione il governo di Israele si è dimostrato eccessivamente sbrigativo». Se a suo tempo Massimo D'Alema invitò a non chiudere le porte del dialogo con Hamas, adesso è il dalemiano Nicola Latorre a riprendere il filo: «Non è il momento di misurare le responsabilità da una parte e dall'altra. Quello che mi preoccupa è che in Israele molti vedano nell'iniziativa militare l'unica via di uscita. E questo può essere pericoloso». Anche lo storico cattolico Franco Cardini, pur condannando le azioni di Hamas, si rivolge ad Israele: «Spero che siano loro, gli amici israeliani, ad interrompere questa spirale di vendetta. Spetta a loro perché sono più forti e sanno di esserlo: l'unica decisione davvero coraggiosa sarebbe quella di fermare le armi».
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