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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio-Corriere della Sera-La Stampa Rassegna Stampa
28.12.2008 Le analisi che aiutano a capire
di Carlo Panella, Antonio Ferrari, Gadi Taub, Francesca Paci

Testata:Il Foglio-Corriere della Sera-La Stampa
Autore: Carlo Panella-Antonio Ferrari-Gadi Taub-Francesca Paci
Titolo: «Vari»

Guerra contro Hamas. In questa pagina, editoriali e commenti. Carlo Panella sul FOGLIO analizza con grande capacità di sintesi la situazione nel campo musulmano. Antonio Ferrari e Gadi Taub sul CORRIERE DELLA SERA scrivono in chiare lettere che Israele non aveva alternative, è il mondo che deve capire la natura del terrorismo. Francesca Paci sulla STAMPA riporta le opinioni dell'esperto militare israeliano Martin van Creveld. Ecco gli articoli:

IL FOGLIO- Carlo Panella: " Il disegno di Hamas "

Con Gaza insanguinata, quante possibilità ci sono di un accordo fra Siria e Gerusalemme sul Golan? Quante che Abu Mazen possa prolungare il proprio mandato presidenziale che scade il 9 gennaio? E quante ne ha ora Barack Obama di imporre una logica di svolta in medio oriente? Le risposte negative a queste domande spiegano perché Hamas abbia voluto imporre a Israele l’obbligo di questa risposta ai suoi attacchi iniziati 45 giorni fa. Dal 6 novembre scorso a oggi sono più di 500 i razzi delle Brigate Ezzedin al Kassem tirati da Gaza contro le città israeliane di Ashkelon e Sderot. Pioggia iniziata dopo che l’esercito israeliano aveva bloccato la costruzione di un tunnel che doveva servire a replicare l’azione in cui nel 2006 era stato rapito il caporale Shalit. Hamas ha fatto saltare l’accordo di pacificazione con al Fatah di Abu Mazen. Poi ha vanificato tutti i tentativi di Israele di evitare una risposta armata. Nonostante l’annuncio della fine della tregua, siglata il 19 giugno scorso, Israele ha atteso ancora, ma i razzi non hanno lasciato spazio se non a una risposta inflessibile. Risposta che tutto il mondo sapeva inevitabile e che nessuno ha fatto alcunché per evitare. Condivisa invece dalla Casa Bianca, che si è limitata a chiedere che “si evitino vittime civili”, non criticando quella “sproporzione” nell’uso della forza che viene rimproverata a Israele da governi europei senza vergogna per la propria cinica impotenza. Vittime civili volute da Hamas che – anche dopo il preavviso del raid – ha usato donne e bambini come scudi umani a protezione dei propri leader. Quanto succede è inserito nel disegno delineato da Ahmadinejad. Hamas, come Hezbollah, come l’Iran degli ayatollah, come la Siria, rivendicano la “missione” di “eliminare Israele dalla faccia della terra”. Per farlo, devono convincere la umma musulmana che le armi sono l’unico mezzo e che i governi arabi che propugnano i “piani Fahad” sono traditori. Oggi a Gaza, domani in Libano.

CORRIERE DELLA SERA- Antonio Ferrari: " I disperati della Striscia e le mire dell'Iran "

Nessuno sa dire quando si esaurirà la rappresaglia di Israele contro gli estremisti islamici palestinesi, decisa in risposta alla pioggia di missili Qassam sulle città più esposte dello Stato ebraico. Il mondo è impressionato dalla devastante durezza degli attacchi aerei, che non risparmiano vittime civili.Ma il mondo forse sottovaluta il nefasto potenziale offensivo di Hamas, sempre meno partito politico e sempre più organizzazione terroristica, che ora minaccia una nuova campagna di attentati suicidi; sempre meno preoccupata per i problemi del popolo palestinese e per le quotidiane sofferenze degli abitanti di Gaza, e sempre più espressione di ciniche volontà esterne ai suoi confini, in particolare delle mire espansionistiche e aggressive degli ayatollah sciiti di Teheran.
Se le emozioni, accese dalle immagini dei bombardamenti e dalle conseguenze su una popolazione stremata proprio a causa della feroce ostinazione di Hamas, si intensificano, non si possono sottovalutare né dimenticare le ragioni di quanto sta accadendo. La tracotanza degli estremisti islamici ha sfibrato il legittimo potere istituzionale dei palestinesi laici, guidati da Abu Mazen. Al punto che le elezioni presidenziali, che si sarebbero dovute tenere il 9 gennaio, alla scadenza naturale del mandato, sono state rinviate sine die. Non esistono infatti le condizioni perché il popolo della Palestina possa esprimere democraticamente la propria volontà politica. Il voto, in questa cornice drammatica, diventerebbe un'occasione per moltiplicare le violenze dello scontro, ormai fatale, tra chi crede nel dialogo con la controparte israeliana, e chi vi si oppone, pronto al ricatto terroristico.
Illuminanti non sono soltanto le manifestazioni di sostegno ad Hamas che si stanno moltiplicando nei campi-profughi palestinesi del Libano, ma l'atteggiamento dell'Hezbollah, punta avanzata dell'Iran a Beirut, quindi sul Mediterraneo. Hezbollah non minaccia soltanto Israele, ma si scaglia velenosamente contro i regimi arabi moderati, accusandoli di tradimento. Primo obiettivo l'Egitto, che da sempre cerca un'impossibile mediazione tra il laico Fatah e gli integralisti di Hamas, seguito dall'Arabia Saudita e dalla Giordania. Tutto questo dimostra che il vero obiettivo, da conseguire ad ogni costo sulla pelle dei disperati di Gaza, è la lotta per il potere tra i baldanzosi sciiti, resi più forti dalla guerra all'Iraq, che puntano a radicalizzare lo scontro fino alle più estreme conseguenze, utilizzando cinicamente sia Hezbollah sia Hamas, e i sunniti, che rappresentano la stragrande maggioranza del popolo arabo.
In attesa dei primi passi del presidente americano Barack Obama, crescono le incognite anche sulle elezioni israeliane, che si terranno il 10 febbraio. I sondaggi dicono che il favorito è il leader del Likud, quindi della destra, Benjamin Netaniahu, che prepara il grande rientro su una linea di intransigenza. In vantaggio sul ministro degli Esteri Tzipi Livni, rappresentante del partito centrista Kadima, fondato da Ariel Sharon. Con il leader laburista Ehud Barak, attuale ministro della Difesa, in posizione più defilata. Ma se fra i tre protagonisti della campagna elettorale esistevano differenze, quantomeno di metodo, sull'atteggiamento da tenere nei confronti di Hamas, ecco che la fine della tregua le ha cancellate. La Livni ha promesso che, se eletta, farà in modo di rovesciare il vertice estremista che si è impossessato della striscia di Gaza. E lo stesso Barak, partito da posizioni quasi attendiste, è passato sul fronte della fermezza più assoluta, e ora guida l'offensiva contro gli estremisti islamici.
Questo per dire che chiunque vinca le elezioni israeliane, il destino di Hamas sarà quello di un regime da combattere e possibilmente da abbattere, costi quel che costi.

CORRIERE DELLA SERA- Gadi Taub: " Perchè Destra e Sinistra sostengono questi raid "

Per gli israeliani, di destra o di sinistra, è chiaro che l'incessante martellamento di razzi contro la popolazione civile non può essere più tollerato. Non è questione di opinione politica, né prerogativa di Israele. E' solo che gli israeliani hanno impiegato molto, troppo tempo per arrivare a questa conclusione.Immaginate 12.000 missili che si abbattono su Milano, su Dallas, o su Liverpool. Gli italiani, gli americani o gli inglesi non resterebbero a lungo con le mani in mano. Certo, non tanto a lungo quanto ha fatto Israele. Ma nel caso di Israele si applicano sempre, stranamente, due pesi e due misure. Hamas può permettersi di puntare i suoi missili contro la popolazione civile, infischiandosene delle responsabilità, mentre una qualsiasi reazione israeliana, per quanto accuratamente siano stati scelti gli obiettivi strategici, viene subito bollata come crimine di guerra. E' impossibile vincere a questo gioco — fermare cioè il lancio dei razzi — se una parte rispetta le regole e l'altra no.
E' triste che si sia giunti al punto in cui solo un raid massiccio può metter fine a queste aggressioni. Se la comunità internazionale, come pure Israele, avesse adottato misure più stringenti — un boicottaggio economico, la sospensione delle forniture di gas fino alla cessazione totale degli attacchi missilistici — si sarebbe potuto evitare l'intervento militare. Ma se Hamas non si assume mai le proprie responsabilità, e se Israele deve farsi carico dell'incolumità dei cittadini di Gaza, mentre il governo di Gaza non se ne preoccupa minimamente, allora Hamas può permettersi il ruolo dell'aggressore che veste anche i panni della vittima. Israele si è ritirato da Gaza unilateralmente, riconoscendo che l'occupazione non poteva protrarsi all'infinito. Ma da allora Hamas non ha fatto altro che dimostrare a Israele che il ritiro è stato una pessima idea. E per tutta risposta lo Stato ebraico è diventato bersaglio dei missili palestinesi.
Sotto queste circostanze, il raid israeliano contro Gaza non è soltanto giustificabile, ma addirittura necessario per tutti coloro che credono che occorra metter fine anche all'occupazione della Cisgiordania. Perché per fare il passo successivo Israele deve sapere con certezza che è possibile impedire le aggressioni missilistiche, che potrebbero colpire Tel Aviv e Gerusalemme in caso di ritiro da quella regione. Per questo motivo i sostenitori della pace sono anch'essi favorevoli al raid su Gaza. E hanno ragione sia sotto il profilo morale che da un punto di vista pragmatico. Tra non molto si leveranno da ogni parte del mondo grida di condanna contro Israele, ma fino a quel momento Israele deve dimostrare a Hamas che è pronto a pagare il prezzo, anche internazionale, per ristabilire un deterrente. Qualunque altra azione sarebbe una resa ai nemici della pace.

LA STAMPA- Francesca Paci: " Anche l'Egitto teme Hamas "

Il dado è tratto, ma la partita è già finita. Secondo Martin van Creveld, uno dei massimi storici militari internazionali, l’offensiva israeliana a Gaza è bell’e conclusa. Almeno per ora. Il professor Van Creveld, che ha scritto una ventina di libri sulla guerra e la strategia bellica, spiega che l’arma più efficace contro la tattica di logoramento adottata dai miliziani di Hamas è la sorpresa, agire all’improvviso e rapidamente.
Professor Van Creveld cosa accadrà nei prossimi giorni? E’ verosimile l’ipotesi di un’offensiva israeliana via terra nel caso Hamas risponda ai bombardamenti con razzi più potenti di quelli lanciati nelle settimane scorse o, come minacciano i miliziani, con attentati kamikaze?
«Dopo quanto abbiamo visto non succederà granché d'altro. Credo che l’attacco aereo più importante ci sia già stato. Un raid mirato sugli obiettivi che Israele considera strategici. L’operazione, in questo senso, è riuscita e ha ottenuto un risultato amplificato dalla repentinità e dalla velocità. Hamas è stato colto alla sprovvista dalla decisione improvvisa del ministro della difesa Ehud Barak. Ora però l’effetto sorpresa sta svanendo, a Gaza hanno cominciato a realizzare cosa è accaduto e si stanno organizzando. Il blitz israeliano, se possiamo chiamarlo così, è ormai praticamente concluso. Mi stupirei se ci fosse un intervento di terra nel giro di pochi giorni. Ma a questo punto uno scontro a bassa intensità potrebbe andare avanti per settimane».
Il ministro degli esteri Tzipi Livni ha dichiarato che, se eletta premier a febbraio, avrebbe rovesciato il regime di Gaza. Qual è l’obiettivo del raid israeliano?
«L’obiettivo israeliano è chiarissimo: la fine del lancio di razzi da Gaza. Nonostante le immagini che stanno facendo il giro del mondo in queste ore, Israele vuole la pace. Nient’altro».
Quando Hamas ha deciso di non rinnovare la tregua con Israele e ha ripreso il lancio sistematico dei razzi sulle cittadine del Negev sapeva che la reazione non sarebbe tardata. Dove punta Hamas?
«Per interpretare la strategia di Hamas bisogna capire che questa è una guerra asimmetrica. Loro la chiamano resistenza e presuppongono che finché non vengono sconfitti la vittoria è a portata di mano. Per questo hanno bisogno di prove di forza, devono mostrare i muscoli. L’obiettivo è il tempo, durare, tenere in scacco il nemico che ha a disposizione forze superiori».
Il 20 gennaio Barack Obama s’insedia alla Casa Bianca con un agenda estera impegnativa, diversi fronti aperti, le spese militari da bilanciare con la crisi economica, la sfida nucleare degli ayatollah iraniani. Alla luce degli avvenimenti di queste ore, non le sembra che il Medio Oriente sia stato un po’ sottovalutato?
«L’arrivo di Obama alla Casa Bianca non cambierà di molto lo stato del conflitto israelo-palestinese. Conta poco che in campagna elettorale il nuovo presidente si sia concentrato di più sull’Iran, l’Iraq, l’Afghanistan. Il problema non è se Obama abbia o meno sottovalutato Hamas e la situazione a Gaza. Basta guardare alla storia delle relazioni tra Stati Uniti e Israele per capire che, con l’eccezione sui generis della presidenza Carter, la partecipazione americana è stata sempre poco incisiva e lo sarà anche in questo caso. Cosa diceva Colin Powell? Prometteva che avrebbe fatto chissà cosa, miracoli. Ogni volta è la stessa storia, ascoltiamo grandi propositi a cui non segue nessun intervento reale sul terreno».
Venerdì il ministro degli esteri Tzipi Livni era al Cairo per un vertice con il presidente Mubarak. Qual è il ruolo dell’Egitto in questa nuova crisi?
«Si tratta di un risveglio brusco anche per l’Egitto. A lungo, dopo l’evacuazione israeliana da Gaza, il presidente egiziano Mubarak e l’establishment governativo hanno gioito della situazione senza curarsi di Hamas e di come stesse crescendo, una potenza minacciosa al confine israeliano ma anche al confine egiziano. Oggi improvvisamente l’Egitto si rende conto del pericolo. Non può dirlo apertamente ma farebbe di tutto perché Hamas venisse fatto fuori, su questo c’è una specie di alleanza informale tra Egitto e Israele».

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