Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Le opinioni di Tony Blair e Walter Laqueur sull'islam che in Arabia Saudita cambia, con molta prudenza
Testata:Corriere della Sera - Il Giornale - L'Opinione Autore: la redazione - Gian Micalessin - Alessandro Litta Modignani Titolo: «Blair: «Leggo ogni giorno il Corano È pieno di rispetto per il cristianesimo» - L'Arabia apre i cinema dopo trent'anni: è subito corsa al posto - Un epitaffio per il vecchio continente»
Da pagina 18 del CORRIERE della SERA del 23 dicembre 2008 , l'articolo"Leggo ogni giorno il Corano È pieno di rispetto per il cristianesimo", che riporta le opinioni di Tony Blair. Alla lettura quotidiana del Corano l'inviato del Quartetto in Medio Oriente dovrebbe aggiungere, ci sembra, qualche informazione sulla realtà attuale, che è quella descritta da Fiamma Nirenstein negli articoli a questo link
Certo è che l'interpretazione del Corano data dai fondamentalisti islamici non è la stessa di Blair.
Ecco il testo:
LONDRA — È passato dalla fede anglicana a quella cattolica professata dalla moglie Cherie, ma questo non impedisce a Tony Blair, ex premier britannico (dal 1997 al 2007) e attuale inviato in Medio Oriente del Quartetto (Onu, Ue, Usa e Russia), di leggere regolarmente il Corano, testo sacro dell'Islam. È stato lo stesso Blair a raccontarlo in un'intervista al settimanale tedesco Die Zeit. «Leggo regolarmente il Corano, praticamente ogni giorno — ha spiegato l'ex leader del New Labour —. Molti cristiani liquidano i musulmani come "quelli che ci odiano", ma nel Corano non c'è il minimo riferimento a Gesù che non sia caratterizzato da un profondo rispetto». L'ex premier ha ribadito che la sua conversione al cattolicesimo non è stata motivata da una critica nei confronti della Chiesa anglicana: «Mia moglie è cattolica, come i miei figli, ed io vado a messa da 25 anni — ha ricordato —, entrare nella Chiesa cattolica è stato per me approdare alla mia patria naturale». Blair ha inoltre sottolineato che «la fede è tutto, perché dà forza»: «Questa forza possono darla anche altre cose, ma la fede permette di rimanere fedeli ai valori nei quali si crede». In politica Tony Blair, 55 anni, ex leader del New Labour, è stato premier britannico dal 1997 al 2007. È l'attuale inviato del Quartetto per il Medio Oriente
Da pagina 15 del GIORNALE, l'articolo di Gian Micalessin "L'Arabia apre i cinema dopo trent'anni: è subito corsa al posto":
In Arabia Saudita la lotta all’oscurantismo si combatte anche nel buio delle sale cinematografiche. Lo stanno scoprendo, in questi giorni, gli entusiasti abitanti di Jedda e Taif. Lì la proiezione di un film infrange per la prima volta le ferree leggi del clero wahabita ispiratore e promotore del bando che portò, trent’anni fa, alla chiusura di tutti i cinema. In quelle due città i sudditi del regno più oscurantista del pianeta fanno la fila per un posto in platea. In quelle città i due unici centri culturali autorizzati all’ardita “prova di cinema” proiettano otto volte al giorno la stessa pellicola per star dietro alla domanda delle folle entusiaste. E a Taif l’assalto alla sala ha già costretto gli spaventati organizzatori a sospendere una delle repliche.
Nelle sale di Jedda e Taif non si riscopre solo l’emozione del cinema. Nelle platee affollate di uomini in turbante e camicioni e nei loggioni gremiti di donne in nero si respira anche il brivido di una rara e audace trasgressione sessuale. Concedere ai due sessi di partecipare alla stessa visione, seppur in spazi diversi, è stata la prima difficile battaglia vinta dai riformisti del grande schermo.
Ma andiamoci piano. Da qui a dire che i cinema sauditi sono pronti a riaprire i battenti ce ne passa. Le proiezioni di Jedda e Taif sono, per ora, un ardito esperimento, una graziosa concessione avviata per volere di re Abdallah in persona. Il film, una commedia intitolata Menahi, è stato sfornato da Rotana, la casa di produzione fondata e controllata dal principe miliardario Al Waleed Bin Talal e l’autorizzazione riguarda solo le città delle due province più moderne e liberali del regno.
«Per il momento i permessi del ministero dell’Informazione e dal governatore della Mecca valgono solo per Jedda e Taif», ammette Ibrahim Badi, portavoce di Rotana. Anche così, anche con la benedizione di un sovrano convinto che il primo produttore mondiale di greggio non possa convivere con leggi degne di un regno medievale, non è facile. Il capo della polizia religiosa, la potentissima “Commissione per la prevenzione del vizio e la promozione della virtù” emulata altrove soltanto dai talebani afghani, è già sul piede di guerra. «La nostra posizione è chiara: il cinema è malvagio e va messo al bando, abbiamo già sufficienti malvagità contro cui lottare, non abbiamo certo bisogno anche di quella», ha tuonato subito dopo l’inizio delle proiezioni Ibrahim al Ghaith, numero uno della Commissione e secondo per autorità religiosa soltanto al Gran Muftì Sceicco Abdul Aziz al-Shaikh. Stavolta però il super sbirro della morale islamica ha aperto bocca troppo presto. Due giorni dopo la minacciosa dichiarazione, Ibrahim al Ghaith deve ridimensionare la propria foga ammettendo che alcuni film, tra i quali certamente quelli benedetti da re Abdallah, vanno tollerati se non violano la legge islamica. La brusca retromarcia la dice lunga sull’importanza attribuita ai “cinema paradiso” di Jedda e Taif da re Abdallah, ma anche sull’asprezza di uno scontro capace di contrapporre il sovrano ad un clero wahabita considerato, tradizionalmente, il garante e il fideiussore della purezza religiosa della casa regnante.
Da L'OPINIONE "Un epitaffio per il vecchio continente" di Alessandro Litta Modignani, recensione di "Gli ultimi giorni dell’Europa" di Walter Laqueur:
In questo periodo il pessimismo è di gran moda. Non sfugge alla regola Walter Laqueur, ebreo nato in Slesia nel 1921, rifugiatosi in Palestina nel ‘38, emigrato negli Stati Uniti nel ‘58, storico dei fascismi europei vecchi e nuovi. Aprendo il suo libro “Gli ultimi giorni dell’Europa – Epitaffio per un vecchio continente” (224 pagine, Marsilio) si capisce subito che è stato scritto prima della crisi finanziaria e del crollo delle Borse: meno male, sennò chissà quante altre conferme negative l’autore vi avrebbe trovato, e non a torto. L’Europa è avviata verso un declino ormai irreversibile, sostiene Laqueur, destinato a una forte accelerazione nei prossimi decenni. Il vecchio continente ha conosciuto alti e bassi nel corso del Novecento, ma la grande ripresa dopo la seconda guerra mondiale è stata l’ultima: il Welfare State ha garantito agli europei livelli di benessere mai toccati prima, che ora però si stanno trasformando in un cappio mortale. Due sono gli elementi fondamentali su cui lo storico basa la sua analisi: il fattore demografico e il fenomeno immigratorio. Il primo indica per gli europei linee di tendenza catastrofiche. Le cose andrebbero benino per Francia e Regno Unito, che avrebbero rispettivamente 43 e 45 milioni a fine secolo. Molto più grave il calo tedesco, dagli 82 milioni di oggi ai 32 del 2100. Per non parlare di Italia e Spagna. Il nostro paese passerebbe dai 57 milioni attuali ai 15 milioni del 2100; l’altro calerebbe da 39 fino 12 milioni di abitanti. E così via: “Fra cent’anni la popolazione europea sarà solo una minima parte di quella attuale e in duecento anni alcuni paesi potrebbero sparire completamente”. Fra le cause del calo, la diffusione dei contraccettivi, il lavoro femminile a tempo pieno, la crisi della famiglia, il desiderio di una vita edonista e de-responsabilizzante, cioè senza figli.
Tutti queste previsioni, osserva Laqueur, non tengono conto dell’immigrazione nei decenni a venire. E qui entra in campo il secondo grande fattore critico: la crescita smisurata e inarrestabile del flussi esterni. L’autore punta l’indice soprattutto contro l’immigrazione musulmana, la più dirompente, ingovernabile e irriducibile. Gli immigrati non vogliono saperne di integrarsi, anzi odiano proprio quei paesi che hanno aperto loro irresponsabilmente le porte. I giovani rifiutano l’istruzione e indugiano nella disoccupazione e nel degrado, forieri di grandi violenze, come ha dimostrato la rivolta delle periferie inglesi e francesi. Impietosi i capitoli terzo e quarto, dove l’autore analizza l’irresponsabilità delle classi dirigenti europee nel non aver saputo vedere ciò che stava accadendo; nell’avere offerto con troppa facilità i benefici del welfare a milioni di persone, senza valutarne le conseguenze in termini economici; e nel non essere in grado di riformare questi insostenibili meccanismi di spesa. Se l’analisi è spietata, nel finale il libro appare meno convincente. Laqueur pone una raffica di domande angosciose ma qui l’analisi si fa debole e contraddittoria. Enfatizza alcuni aspetti paradossali, evoca lo spettro di Stati binazionali, suggerisce la necessità di un appeasement come male minore, ma trascura completamente gli elementi di forza e la capacità reattiva delle società aperte. L’Europa vanta tradizioni millenarie, ha prodotto la civiltà liberale, possiede grandi risorse culturali: occorre avere fiducia nella forza di volontà degli individui, la cui libertà sia seriamente minacciata. Altrimenti, la giusta critica di Laqueur contro la politica dei governi europei, finirebbe con il trasformarsi in un atto di accusa senza appello contro la democrazia stessa.
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