Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Un premio nobel ambiguo e pericoloso Alessandra Farkas intervista Shirin Ebadi, colpita dalla repressione del regime iraniano, ma indifferente al pericolo dell'atomica degli ayatollah
Testata: Corriere della Sera Data: 22 dicembre 2008 Pagina: 3 Autore: Alessandra Farkas - Andrea Nicastro Titolo: «Ma il dialogo non ha alternative Meglio incontrare Ahmadinejad - E i giovani sfidano il regime sulle note rap»
Da pagina 3 del CORRIERE della SERA del 22 dicembre 2008, riportiamo l'intervista di Alessandra Farkas a Shirin Ebadi, il cui ufficio è stato chiuso dalla polizia iraniana, "Ma il dialogo non ha alternative Meglio incontrare Ahmadinejad". Colpita dalla repressione del regime, il premio nobel per la pace Shirin Ebadi dà nondimeno un messaggio ambiguo e pericoloso sulle sue mire egemoniche e sul suo programma nucleare . Le prime, a suo giudizio dovrebbero essere accettate, mentre il secondo non è più pericoloso di quanto sarebbe quello di qualsiasi altro paese. Il sostegno terrorismo e la volontà ripetutamente proclamata (anche dopo le ipocrite "smentite" ) di cancellare Israele dalla faccia della terra, per Shirin Ebadi non contano, così come non conta l'inganno sistematico a danno della comunità internazionale: gli Stati Uniti dovrebbero a suo giudizio negoziare con Teheran senza precondizioni, dando così tempo al regime di realizzare i suoi piani.
Ecco il testo completo:
NEW YORK — La pressione del regime iraniano aumenta, ogni giorno di più, ma il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi continua a ritenere che il dialogo sia l'unica strada da percorrere. A maggior ragione dopo che sarà avvenuto il cambio della guardia alla Casa Bianca. «Barack Obama dovrebbe non solo rispondere alla lettera di Mahmoud Ahmadinejad ma anche incontrarlo. E senza precondizioni. E' l'unico modo per risolvere gli antichi dissapori tra Iran e Usa: questa crisi non può durare per tutta l'eternità». George W. Bush non rispose ad un'analoga lettera inviatagli dal presidente iraniano nel maggio del 2006. «Fu un errore. Se l'avesse fatto, forse non ci troveremmo nell'attuale impasse. Per questo sono felice della nuova politica di apertura all'Iran annunciata da Obama. L'Iraq ci ha insegnato che la guerra non è la migliore soluzione per risolvere le dispute. Ad un certo punto dovranno pure sedersi attorno allo stesso tavolo e parlare. Non c'è alternativa ». Secondo alcuni Obama potrebbe seguitare la "strategia Rice": negoziati, ma solo se l'Iran abbandona il nucleare. «L'attuale formula del 5+1 perseguita da Condoleezza Rice non funziona perché l'America ha imposto precondizioni che vanno rimosse per permettere un dialogo diretto Usa-Iran. Ripartendo da zero». Anche se l'Iran continua a perseguire l'atomica? «Personalmente sono contrarissima all'atomica, sia essa prodotta dall'Iran, dall'America o da qualsiasi altro Paese. Però non mi piace il doppio standard di Washington che da una parte aiuta India e Pakistan, nazioni nucleari, dall'altra critica l'Iran perché cerca di procurarsela». A chi spetta risolvere il dossier nucleare iraniano? «Alla comunità internazionale, cioè all'Aieia. Ma per far partire il dialogo, l'America deve riconoscere che l'Iran è la nazione più potente della regione e l'Iran deve prendere atto che l'America è la superpotenza mondiale». Quale agenda dovrebbe seguire il dialogo Usa-Iran? «L'America non può solo parlare di nucleare, ignorando il dramma dei diritti umani e della democrazia violati da Teheran. Washington non può, insomma, continuare a preoccuparsi esclusivamente della propria sicurezza». Sarebbe meglio aspettare l'esito delle elezioni iraniane? «Non importa chi sarà l'interlocutore dell'America dopo le elezioni del prossimo giugno perché qualsiasi presidente deve seguire gli ordini del-l'Ayatollah: il leader supremo ». La comunità internazionale dovrebbe chiudere un occhio sul fatto che l'Iran è tra i massimi sponsor del terrorismo? «L'Iran sponsorizzò Hezbollah in Libano? Certo, ma non dimentichiamoci che oggi Hezbollah è entrato nel governo e quindi non si può più dire che sia un gruppo terroristico ». Che dire del sostegno dato ad Hamas e alla Jihad islamica? «In Iran ogni decisione avviene dietro porte chiuse, senza la possibilità di controllo e critica come nelle democrazie. Per questo, quando Ahmadinejad parla, il mondo non gli crede. Teheran non ha un governo trasparente: questo è il vero problema da cui scaturiscono tutti gli altri, dal terrorismo al nucleare ». E la minaccia di spazzare via Israele dalle mappe geografiche? «Ahmadinejad ha poi ritrattato, dicendo che non vuole davvero attaccare lo Stato Ebraico. Ancora una volta il mondo non gli ha creduto. Un problema che ha anche in patria, dove da tanto tempo la gente non lo prende sul serio. Io non lo sto più neppure ad ascoltare». E' ottimista sul futuro? «Nel mio Paese oggi c'è speranza e ottimismo. Agli oltre 2 milioni di iraniani che risiedono in Usa ed hanno 10 milioni di parenti in Iran preme molto il riavvicinamento tra le due nazioni promesso da Obama. Egli dovrà evitare gli errori di George W. Bush, che con la guerra all'Iraq ha solo peggiorato il dramma del terrorismo nel mondo, fornendo una scusa in più ai jihadisti».
Da pagina 2 e 3 del CORRIERE della SERA la cronaca di Andrea Nicastro sulla , "E i giovani sfidano il regime sulle note rap".
Un articolo che racconta sia l'evoluzione della società civile iraniana, sia la repressione del regime e che per questo è utile confrontare con la disinformazione di quanti, come per esempio Farian Sabahi sulla STAMPA, sfruttano l'esistenza del dissenso per suggerire l'idea di un'apertura e di un pluralismo che in Iran il potere continua in realtà a negare alla popolazione.
Ecco il testo:
TEHERAN — E che importa? C'è qualcuno che lo pensa davvero. Shirin Ebadi è sotto pressione, ma la resistenza al regime iraniano prosegue e non c'è incursione di polizia che possa fermarla. È stata proprio l'ex giudice premio Nobel a teorizzare quest'atteggiamento con il suo «non voto» alle elezioni. Il sistema — ragiona la Ebadi — non accetta candidati liberi e allora la società civile ignori il sistema fino a che questo non sarà costretto a cambiare. Una sorta di resistenza in parallelo, di lotta negli interstizi e tra le contraddizioni del regime. Un approccio molto iraniano, come quando davanti agli occupanti arabiipersianinonsioppo- serofrontalmente, ma scelsero di assorbire la nuova religione musulmana e trasformarla nello sciismo, qualcosa di ancora più rigido. Amir Azizmohamadi è un esperto di movimenti giovanili. «Immaginate solo cinque anni fa un padre iraniano, tradizionalista il giusto, che risponde al telefono di casa e intercetta la chiamata di un ragazzo per la figlia. Chi è? Perché telefona? Sei uscita con lui? Ti proibisco... Oggi quello stesso padre guarda la ragazza seduta al computer tutte le sere. Lui pensa soddisfatto che stia studiando serenamente protetta in casa e lei invece chatta e scrive a decine di ragazzi assieme. Il gap tecnologico tra adulti e figli è incolmabile. Questi ragazzi non si possono controllare». Andate a Teheran Nord alle nove di sera durante un weekend. Le arterie a tre, quattro corsie sono intasate. È come essere parcheggiati in un drive-in. È lo struscio da Paese petrolifero con il prezzo della benzina calmierato. I giovani si guardano dai finestrini, le fanciulle allentano il nodo del foulard e sfoderano mèches e trucchi da teatro dell'opera. Tutti smanettano sui cellulari. Accendete il bluetooth del vostro e troverete almeno venti richieste di connessione. Sono i vicini di coda che sperano di far conoscenza. «Le mie canzoni viaggiano più su cellulari e mp3 che su cd. In una sola notte arrivo a 20-30mila download per ogni nuovo singolo». Il «padrino del rap persiano» racconta al Corriere del suo successo. Ha 24 anni e tutti gli atteggiamenti della star. Arriva in ritardo all'appuntamento, è evasivo e laconico, abituato alla lode, alla venerazione dei fan. «Certe cose non si possono spiegare, bisogna viverle o fare rap», sentenzia. Ma Sorush Lashkari, nome d'arte Hichkas, «nessuno », ha davvero un successo clamoroso, soprattutto se si considera che in Iran il suo rap è, sarebbe, illegale. Sorush non può farsi riconoscere per strada, altrimenti si ferma il traffico. Non c'è adolescente a Teheran che non conosca a memoria i suoi versi mai approvati dall'ufficio censura: «Sono cresciuto in questa giungla qui/ Sei tu che mi hai tirato su così/ Non mi ammanettare/ Altrimenti mi obblighi a gridare». Il suo rap è un altro esempio di opposizione per vie parallele. «Non faccio politica — assicura — racconto solo ciò che accade in strada. Perché ci prendete sul serio? Noi siamo solo bimbi impazziti, quel che facciamo e diciamo non conta nulla. Cantiamo quel che ci pare senza pensare alle conseguenze. Mi arrestano? E perché dovrebbero se non faccio niente di male?». Ignorare l'autorizzazione ufficiale alle liriche e alle musiche, per lui è nulla. «Non chiedo di stampare cd, non chiedo di fare concerti. È vietato mettere musi Sorush Lashkari, nome d'arte Hichkas, «nessuno», ha 24 anni ed è la star del rap persiano, genere peraltro illegale in Iran ca gratuita in rete?». Quattro mesi fa lui e gli altri tre più importanti rapper persiani sono stati arrestati. Con Sorush c'erano Shain Felakat («Disperato »), Reza Pishrou («Pioniere»), Sina Motezad («Opposto»). Tutti rilasciati su cauzione. «Non è stato così male — sostiene Sorush —. Anche i secondini più giovani erano miei fan». Proprio durante gli anni di Ahmadinejad sindaco sono stati installati a Teheran degli enormi schermi pubblicitari, anche dieci metri per cinque. In piazza Karach, nella parte più povera e tendenzialmente conservatrice della capitale, ce n'è uno dei più imponenti. Dentifrici, lavatrici, automobili si propongono con contorno di madri di famiglia sorridenti e debitamente velate come si conviene alla legge della Repubblica Islamica. Qualche mese fa lo scandalo. Un hacker iconoclasta e impertinente è riuscito a entrare nel sistema di controllo del tabellone e per dieci minuti sulla piazza è comparsa una foto pornografica. Per scavalcare i divieti sulle manifestazioni politiche oggi gli studenti si occupano della qualità della mensa e sfilano in corteo (ufficialmente) per quella. Il regime reagisce. Si confronta con le stesse armi. Il presidente Ahmadinejad ha un suo blog. L'ha usato due volte per rivolgersi ai cittadini del Grande Satana. «Nobili americani», ha scritto. Sono almeno sessantamila i blog in lingua farsi sul web, uno dei Paesi virtuali più attivi. Contro il successo dei rapper, la tv di Stato ha prodotto un documentario in cui si descrivono i rapper come satanisti, blasfemi, drogati che bevono sangue. Quando hanno mostrato un video di Sorush, l'hanno interrotto con dei «biiip » come a coprire parolacce che in realtà non esistevano. «Me l'hanno raccontato, io non l'ho visto — ribatte Sorush —. Chi vuole conoscermi sa chi sono veramente. Niente sesso o parolacce nelle mie canzoni, non fanno parte della nostra cultura».
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