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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
18.12.2008 Quando il pregiudizio ideologico falsa la storia
per Sergio Romano gli ebrei hanno sempre vissuto in "insediamenti"

Testata: Corriere della Sera
Data: 18 dicembre 2008
Pagina: 47
Autore: Sergio Romano
Titolo: «L'economia di Israele dall'agricoltura ai chip»

Sul CORRIERE della  SERA del 18/12/2008 , a pagina 47 Sergio Romano risponde ad un lettore sulla coesistenza di una classe politica tanto frammentata e litigiosa come quella israeliana e di una ricerca scientifica avanzata
Romano, oltre ad affermare i governi israeliani hanno commesso molti errori politici (senza specificare quali né quando, però),scrive dell'ammirazione di Indro Montanelli per Israele dovuta ai kibbutz e “al modo in cui i coloni giunti dagli insediamenti ebraici dell’Europa centro-orientale erano riusciti a trasformare alcune fra le zone più ingrate ed ostili della Palestina”.

Gli insediamenti, in realtà, sono città abitate da ebrei situate in Cisgiordania e a Gaza fino al ritiro avvenuto nel 2005.

Quelli che Sergio Romano chiama “insediamenti”  dell'Europa centro-orientale erano invece normalissimi villaggi e quartieri cittadini.

Questo scambio di termini suggerisce  che anche gli ebrei europei fossero dei “coloni” che, in quanto tali, e in conformità alla vulgata corrente, non avessero diritto di vivere dove vivevano. Questo effetto forse non è voluto, ma resta il fatto che l’errore storico e lessicale è significativo e rivelatore: nell’immaginario di Sergio Romano non c’è ebreo separato dal conflitto israelo-palestinese.

Ecco il testo dell'articolo, “L’economia di Israele dall’agricoltura ai chip”.

Ritengo che Israele, da un lato, rappresenti la democrazia con la più alta frammentazione partitica e la più elevata litigiosità politica — ne è un esempio il fatto che è l'unico Paese, tra le democrazie moderne, le cui legislature parlamentari durino meno di quelle italiane — ma che dall'altro lato lo Stato ebraico sia invece la più avanzata nazione nei campi della ricerca medico-scientifica, tecnologica, agricola, militare, nonché feconda di ottima produzione artistica e intellettuale. Come si possono, secondo lei, sposare queste due evidenti contraddizioni?
Paolo Ficara
ficarapaolo@tiscali.it Caro Ficara,
All'origine dell'ammirazione di Indro Montanelli per lo Stato israeliano vi era una constatazione che ritornava frequentemente nei suoi articoli. Dopo avere avuto fama di abili banchieri — osservava Montanelli —, gli ebrei hanno dimostrato al mondo di essere splendidi contadini. Pensava naturalmente ai kibbutz e al modo in cui i coloni giunti dagli insediamenti ebraici dell'Europa centro-orientale erano riusciti a trasformare alcune fra le zone più ingrate e ostili della Palestina.
Oggi il giudizio di Montanelli sarebbe alquanto diverso. Gli israeliani continuano a non essere particolarmente noti per le loro virtù finanziarie e ne hanno dato una prova scegliendo un ebreo americano, Stanley Fischer (allora vice-presidente di Citigroup), per la presidenza della loro Banca centrale. Ma l'epopea dei kibbutz si è conclusa. Lo smagliante spirito del Bund (la grande organizzazione politico-sindacale degli ebrei polacco-lituani) si è appannato. L'agricoltura rimane una partita importante del bilancio dello Stato, ma ha ceduto il passo ad altre attività. Fra queste la più interessante è per l'appunto quella delle nuove tecnologie e delle loro diverse applicazioni, con un particolare riferimento alla sanità, alle telecomunicazioni e agli armamenti. È certamente vero, d'altro canto, che la democrazia israeliana è rissosa, litigiosa, estremamente frammentata e fisiologicamente instabile. Esiste un rapporto fra instabilità politica e modernità tecnologica? Ne ho parlato a lungo con Vittorio Dan Segre, professore emerito dell'università di Haifa, fondatore dell'Istituto di studi mediterranei dell'Università di Lugano e autore, fra l'altro, di «Le metamorfosi di Israele», apparso recentemente presso Utet. Ecco il risultato della nostra conversazione.
I governi israeliani hanno commesso molti errori, anche nei momenti decisivi della storia dello Stato, e il sistema politico ha dato prova di grande debolezza. Ma la fragilità e l'instabilità hanno aperto un varco attraverso il quale sono impetuosamente passati lo spirito d'iniziativa, il coraggio imprenditoriale e la «hutzpah», una parola di origine yiddish usata ormai anche negli Stati Uniti che significa audacia, impudenza, sfacciataggine. Il successo delle start-up (le imprese scattanti che cominciano con pochi mezzi e raggiungono rapidamente obiettivi straordinari) è in buona parte il risultato di questa effervescenza creativa, favorita dalla brevità e dal «lasciar fare» dei governi. Naturalmente questo sistema presenta anche ricadute negative: corruzione, criminalità, un enorme divario fra gli emolumenti di un dirigente industriale e il salario degli operai. Ma vi sono stati altri momenti della storia in cui intelligenza e spregiudicatezza hanno prodotto miracoli economici. Accadde nell'Inghilterra del Settecento descritta da Bernard de Mandeville in un libretto, «La favola delle api», di cui esiste una traduzione italiana a cura di Giuseppe Di Leva. Accadde nell'America dei «baroni dai denti d'acciaio», costruttori di ferrovie e creatori di imperi industriali fra Ottocento e Novecento. Ed è accaduto durante gli ultimi anni in Israele dove i baroni sono giovani e maneggiano i chip meglio dell'acciaio.

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