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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Corriere della Sera Magazine Rassegna Stampa
18.12.2008 Russia e Israele divisi sulle armi che Mosca fornisce a Libano, Siria e Iran
ma per chi vuole chiudere gli occhi di fronte alla jihad sono entrambi aggressori dell'islam

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera Magazine
Autore: Luigi De Biase - Gregory David Roberts
Titolo: «Israele vs Putin - Sono criminali non terroristi»
Il FOGLIO del 18 dicembre 2008 pubblica a pagina 4 dell'inserto l'analisi di Luigi De Biase "Israele vs Putin".

A fronte delle difficoltà nelle relazioni tra Israele e Russia, causate dalle forniture di armi di quest'ultima al mondo islamico, alcuni accomunano i due paesi per le loro presunte "ingiustizie contro i musulmani".

Per far fronte all'offensiva jihadista, recentemente scatenatasi con l'attentato a Mumbai, sostiene a pagina 59 del CORRIERE della SERA MAGAZINE lo scrittore  australiano  Gregory David Roberts (autore di Shantaram) si dovrebbe appunto "Premere su Russia e Israele" perché diminuiscano queste ingiustizie.

Suscita stupore la scelta del magazine del CORRIERE di pubblicare un commento di questo genere , all'interno di un servizio dedicato ai principali eventi del 2008, sull'attentato di Mumbai, sul quale si poteva scrivere ben altro. Incominciando per esempio a riconoscere e denunciare la matrice antisemita della strage al centro ebraico.
Difficile pensare che il terrorismo jihadista e il fondamentalismo islamico possano essere sconfitti fino a quando li si vorrà vedere come reazioni a precedenti aggressioni al mondo islamico e non come prodotti di una ben precisa ideologia d'odio.
Roberts, poi, non riconosce nemmeno l'esistenza del terrorismo: per lui gli attentatori di Mumbai sono solo criminali comuni.

Ecco il testo dell'articolo del FOGLIO:

Tbilisi. Un alto funzionario del governo israeliano è a Mosca da due giorni per chiedere al premier russo, Vladimir Putin, di interrompere le forniture militari all’Iran. Il funzionario si chiama Amos Gilad ed è un ex militare al lavoro per l’ufficio Diplomazia e sicurezza della Difesa. Il suo rapporto sarà decisivo per il futuro delle relazioni fra i due paesi: la Russia, dicono fonti di Gerusalemme, sta per consegnare agli ayatollah un sistema di difesa costituito da missili S300, capaci di colpire obiettivi a 150 chilometri di distanza. Nei mesi scorsi, il portavoce degli Esteri russo, Andrei Nesterenko, ha dichiarato che il Cremlino non ha alcuna intenzione di vendere armi “in regioni che sono, per usare un eufemismo, poco stabili”. L’intelligence israeliana teme invece che le trattative con Teheran siano riprese almeno da due settimane. La questione è particolarmente delicata per Gerusalemme: il programma nucleare iraniano prosegue alla centrale di Busher nonostante le sanzioni decise dall’Onu; secondo l’authority internazionale dell’atomo, l’Aiea, il paese ha uranio a sufficienza per armare i missili a lunga gittata che testa con successo dall’inizio dell’anno; pochi giorni fa, il presidente della Repubblica islamica, Mahmoud Ahmadinejad, ha fornito nuovi dettagli sulle priorità della sua politica estera. “Il regime sionista sarà presto cancellato dalla mappa”, ha detto durante un comizio. L’acquisto degli S300, dice il quotidiano Jerusalem Post, renderebbe più complicato un eventuale attacco preventivo contro le installazioni militari iraniane. Ma l’affare con l’Iran è soltanto l’ultimo colpo di Vladimir Putin in medio oriente. Da novembre, il Cremlino tratta con la Siria per piazzare una partita di missili Iskander, gli stessi che saranno schierati nell’enclave di Kaliningrad, al confine orientale dell’Europa, in risposta alle basi dello scudo spaziale americano in Polonia e Repubblica Ceca. Con Damasco c’è già un accordo, quello che consente alle navi russe di fare porto a Tartus e Latakia, nel Mediterraneo. Ieri il ministero degli Esteri russo ha confermato che la Russia regalerà al Libano dieci Mig-29. “Non è altro che una forma di assistenza tecnica e militare”, sostiene il viceministro degli Esteri Mikhail Dmitriyev. Per Beirut rappresenta molto di più, dato che il paese non ha neppure i radar che permetterebbero di guidare il volo dei Mig: la sua flotta area è formata da dodici elicotteri e da una manciata di caccia degli anni Cinquanta. Il Libano è un paese sull’orlo della guerra civile la cui stabilità dipende in larga misura dalle milizie sciite e filo iraniane di Hezbollah. Nel sud, al bordo con Israele, i Caschi blu dell’Onu con il compito di controllare il disarmo del movimento. Poche settimane fa, il capo dell’esercito americano in medio oriente, David H. Petraeus, ha ricordato al premier di Beirut, Fouad Siniora, che gli Stati Uniti non permetteranno l’ingresso di artiglieria in Libano. Ieri Mosca ha offerto il proprio sostegno per addestrare un centinaio di avieri libanesi e non ha escluso la possibilità di fornire altre armi alle truppe di terra. “Sono sorpreso, questa è la visita più importante della mia vita”, dice il capo della Difesa di Beirut, Elias Murr. Le commesse militari del Cremlino sono gestite da una società pubblica, Rosoboronexport, che controlla il 98 per cento della vendita di armi russe. Non si tratta sempre di grandi affari: all’inizio di novembre, un sommergibile nucleare destinato alla marina indiana è esploso in acqua provocando la morte di venti persone. Il mese scorso, il dipartimento del Tesoro americano ha rinnovato le sanzioni contro le Guardie della Rivoluzione. Il provvedimento ha colpito anche le compagnie che hanno a che fare con questa milizia iraniana. Rosoboronexport era una di queste: secondo Washington, ha fornito al regime di Teheran aiuto per la costruzione di armi di distruzione di massa. Ma per il Cremlino, l’Iran “non è in grado di costruire la bomba atomica”. Con gli ultimi affari in Siria, in Iran e in Libano, Putin modifica l’equilibrio delle forze in tutta la regione. La Russia fa parte del Quartetto, il gruppo diplomatico che comprende Unione europea, Onu e Stati Uniti istituito a Madrid nel 2002 per sorvegliare il processo di pace nel medio oriente. Mosca vuole ospitare la prossima conferenza fra Israele e l’Autorità nazionale palestinese. Per il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, “la situazione degli ultimi mesi dimostra che il vertice non può più essere rimandato”. Sarebbe potuto andare in scena la scorsa estate, se il Cremlino non fosse stato impegnato con l’invasione della Georgia. Alcuni analisti credono che il sostegno ai paesi canaglia del medio oriente sia una ritorsione contro il governo di Gerusalemme, il migliore partner militare di Tbilisi. Altri, come Charles King della Georgetown University, ritengono che Mosca lavori a un nuovo ordine globale. King ha spiegato il proprio punto di vista in un saggio sull’ultimo numero della rivista Foreign Affairs. La guerra d’agosto nel Caucaso dimostra che il Cremlino non ha più intenzione di confrontarsi con le organizzazioni multilaterali: fornisce combustibile atomico all’Iran, firma accordi con la Siria, manda i bombardieri in volo sull’Artico e le fregate a mollo nei mari caldi del Sudamerica, nel giardino di casa dell’America. Mentre la Casa Bianca affronta il periodo della transizione, il presidente russo, Dmitri Medvedev, propone all’Argentina di costruire un mondo “non più dominato dagli Stati Uniti” e chiede ai paesi europei un nuovo patto di difesa che superi la Nato. Ora vuole scrivere un nuovo finale al processo di pace in medio oriente.

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