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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Rassegna Stampa
17.12.2008 Le scarpe lanciate contro Bush: un'occasione per esercitazioni ideologiche
come quella di Ascanio Celestini

Testata:
Autore: Ascanio Celestini
Titolo: «Se le «cavallette» decidono di ribellarsi»

Antiamericanismo patologico, incapacità di percepire la minaccia del terrorismo, sostanziale benevolenza verso il totalitarismo islamista e verso le dittature del mondo arabo in nome degli stereotipi terzomondisti.

L'UNITA' non perde occasione di mostrare il perdurare di questi enormi limiti, per esempio, il 17 dicembre 2008, pubblicando l'articolo di Ascanio Celestini "Se le «cavallette» decidono di ribellarsi", che riportiamo:

Un miliardo e duecento milioni di islamici infestano il mondo.Cavallette che ci rubano il lavoro, violentano le nostre donne, impacchettano le loro femmine sottomesse dietro veli e palandrane, bombardano grattacieli americani con aeroplani ripieni di gente, fanno esplodere metropolitane e autobus, organizzano sassaiole contro militari indifesi, si ubriacano nei nostri quartieri pisciando sui muri, spacciano droga intossicando i bravi ragazzi che sono la futura classe dirigente, fanno sobbalzare i grassi nel sangue occidentale con polpette fritte e panini unti, impuzzoniscono i sedili di splendenti mezzi pubblici dove profumati cristiani depositano i propri igienici deretani.Sono gli stessi che appena gli capita svestono le loro castissime donnesvendendolenelle strade malfamate delle nostre città.Sono zozzoni irrecuperabili e se noi non fossimo moderne personcine democratiche fino al midollo dovremmo raschiare nel fondo del pensiero lombrosiano e dire che sono razze inferiori. Persino imigliori, i pochi laureati tra questi scimmiotti, nonostante abbiano avuto l'onore di essere ammessi al discorso di addio del buon George W.Bush, si sfilano le scarpe e gliele lanciano addosso. Questa potrebbe essere una versione dei fatti.Magari non con tutte queste immagini insieme.Magari il termine «scimmiotto » potrebbe essere usato in un bar romano e caciarone dove l'islamico è visto come violentatore, ubriacone e piscione puzzolente. Forse nella terra del carroccio si preferisce immaginarli comeladri di lavoro e terroristi che si riuniscono in moschea nonostante qualche onesto attivista padano porti il proprio suino da passeggio a orinare da quelle parti.È probabile che nel mezzogiorno baciato dal sole i temibili venditori di kebab e falafel impauriscano gli stimabili cittadini per la loro morfologia visibilmente differente dai tratti ariani caratteristici di questo spicchio d'Italia e certamente ai più accorti non potrà sfuggire che questi pezzenti sbarcati in gommone sono naturalmente spinti a traviare i giovani mediante spaccio di droga. Certo che l'ALTRO è proprio difficile immaginarmelo come me.Se mi accorgo che c'ha qualcosa di diverso devo subito metterlo un palmo più in basso rispetto al mio grado di civiltà, igiene, rispetto, eccetera.In più questi islamici ci fanno paura perun sacco di motivi, e non ultimo per il fatto che c'hannounDio che si chiama in maniera differente dal nostro."Ma Dio in arabo si dice Allah" mi ricorda un'amica.Ma quale Dio in particolare? Un cattolico arabo (e ce ne sono) come chiamerebbe il suo Dio? E un ebreo che si esprime in quella lingua? L'amica mi dice che Allah è solo una parola.Comela parolaDio oGod.Certo che la questione è complicata, un fedele dell'Islam spesso enfatizza la doppia elle, considera il suo essere superiorecomeunico e indivisibile, tradizionalmente gli attribuisce novantanove nomi.Certo che quel Dio nonha figli eGesucristo è solo un profeta.Certo che l'etimologia ci racconta molto del significato di un vocabolo.Certo che le parole non sono soltanto la loro definizione sul vocabolario. Perché poi ci stanno le persone, esseri umani con nome e cognome proprio, con la propria cultura, individui che prendono quelle parole e le usanocomesi usaun paio di scarpe. Ci entrano dentro e ci vanno a passaggio. E scambiarsi le scarpe è difficile, figuriamoci scambiarsi il cervello, lo sguardo, la cultura. Allora quando il giornalista iracheno Muntadar Al Zeidi scaglia le proprie scarpe contro Bush sento gli esperti che interpretano il lancio come il segno di massimo disprezzo nella sua cultura perché i piedi sono la parte più impura del corpo e imporre il contatto con le suole è davvero un'offesa pesante. Tanto più che il lanciatore ha accompagnato il gesto chiamando «cane» il suo bersaglio.Capisco, ma 'sta volta vorrei cercare di restarmene anch'io chiuso nella mia cultura.Chiuso comeil padano incazzoso, il romano caciarone o ilmeridionale impaurito. Sicuramente quel giornalista non pensava a quello che ho pensato io, ma dalle mie parti le scarpe ricordano i morti.I defunti che si mettono in viaggio per l'altro mondo e tocca aiutarli a arrivarci sani e salvi.Allora ci stanno quelli che tolgono le scarpe perché renderebbero troppo pesanti i piedi a un poveretto che non ha più la forza dei viventi. Qualcuno gliele mette, ma evita i lacci che lo potrebbero legare al nostro mondo impedendogli di partire.Qualcun altro invece gli lega i piedi per paura che le gambe si aprano appena arrivato alla porta incastrandolo nell'anta che tradizionalmente rimane mezza chiusa.Certe volte addirittura il viaggio nell'al di là si fa da vivi per evitarsi fatiche in uno stato che non possiamo nemmeno immaginare. Allora le scarpe si gettano via e si camminascalzi sui sassi per conoscere il dolore che si proverà attraversando il ponte trafitto di spade che porta dall'altra parte. Sefosse questo il significato della scarpa lanciata, se per ognimorto i nostri capi di stato dovessero ricevere una scarpata in testa... in aria volerebbero più scarpe che uccelli.l’attacco, neanche fosse stato un kamikaze pronto ad immolarsi.L’insipienza del presidente che dichiarò «missione compiuta» il 1˚ maggio del 2003 - cinque anni e mezzo di inferno fa - l’ha buttata in farsa.Bush è un ragazzone del Texas, che regala stivali ai capi di Stato in trasferta nel suo ranch.Il suo è un mondo che adora gli speroni.E le scarpe che gli sono piovute addosso non ne avevano. «Mettiti nelle mie scarpe», per gli anglosassoni è lo stesso che dire «mettiti neimiei panni», guarda le cose dal mio punto di vista. Perché la scarpa conserva l’impronta del piede di chi l’ha portata, un pezzo della sua storia: la strada fatta che ha consumato le suole, le pieghe della pelle che ha assorbito la forma del suo contenuto.«Mettiti nelle mie scarpe».Bush non sembra averlo mai fatto quando i suoi bombardieri seminavano ordigni «taglia margherite», prima dei titoli di coda, quando si è accorto che non era su un videogame.Bombe «taglia margherite »:unnomepoetico perdire che dove cadevano non sarebbe sopravvissuto neppure uno stelo d’erba. Mucchi di scarpe agli angoli delle strade. Scarpe spaiate, impolverate, sporche di sangue. Chissà perché i morti le perdono subito nell’esplosione delle bombe, sotto alle macerie delle case distrutte, nella follia dei kamikaze che divampano tra la folla.Da quando la guerra è ufficialmente «finita» 98.133 persone sono state uccise in Iraq, 98.133 paia di piedi che non camminano più.Le loro scarpe finite chissà dove. «Cane», ha gridato Muntazer Al-Zaidi, il lanciatore di scarpe, già diventato un eroe, conunostuolodi avvocati pronti a difenderlo e una nascente intifada dei mocassini che sommerge di vergogna gli occupanti americani. Da noi «cane» non è una vera offesa, porta con sé il sentore stantio degli insulti di una volta.I militari statunitensiusavano cani - per gli islamici animali immondi - per perquisire le case dei civili iracheni, suscitando ribrezzo e sommosse.Da noi anche un mocassino lanciato è più uno sberleffo che un’offesa umiliante.E invece un paese intero si è riconosciuto in quel paio di scarpe volanti: letteralmente l’Iraq è quel paio di scarpe.Due modi diversi di guardare le stesse cose, la guerra degli occupanti e degli occupati.Due mondi diversi. E una distanza e unasofferenza troppo grandi per pensare che quella di Baghdad sia solo la comica finale.Non sarà una risata a seppellire le guerre di Bush

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