Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Per il giornalista lanciatore di scarpe arrivano gli applausi dei conformisti che dimenticano la realtà del mondo arabo, e la correttezza nell'informazione
Testata:La Repubblica - L'Unità - Il Messaggero - Il Manifesto Autore: Elena Dusi - Gabriel Bertinetto - Umberto De Giovannangeli - Anna Guaita - Tommaso Di Francesco Titolo: «Dall´Iraq al mondo arabo è la Rivolta delle scarpe - Iraq l'Intifada delle scarpe contro Bush - Gesto simbolico per l'Islam dissacrata la potenza degli Usa -Ha lanciato le scarpe contro Bush Bagdad in piazza per difenderlo -Il gesto di Bagdad»
Su molti quotidiani del 16 dicembre 2008, la vicenda delle scarpe lanciate contro George W. Bush da un giornalista iracheno e della manifestazioni a suo sostegno viene affrontatata seguendo uno schema piuttosto prevedbile che si ripete piò o meno sempre eguale: malcelata soddisfazione, affermazione che l'episodio proverebbe il fallimento di Bush, omissione di informazioni rilevanti circa il legame tra le manifestazioni e i leader sciita Moqtada al Sadr, comoda dimenticanza del fatto che in nessun paese arabo potrebbe avvenire qualcosa di analogo nei confronti un governante.
Da pagina 14 de La REPUBBLICA, l'articolo di eDall´Iraq al mondo arabo è la Rivolta delle scarpe
«È il nostro campione» rispondono al telefono i colleghi della tv al-Bagdadia a chi chiede informazioni sul "lanciatore di scarpe". Il giornalista Muntazar al-Zaidy è agli arresti, secondo una parlamentare irachena ha una mano rotta, rischia 7 anni di carcere e le sue calzature numero 44 sono sotto sequestro come elemento di prova. Ma anche se il focoso reporter ha mancato Bush come bersaglio, è comunque riuscito a scoperchiare un pentolone ribollente. Bagdad ieri si è di colpo riempita di scarpe, sollevate in aria da migliaia di manifestanti nel baluardo sciita di Sadr City insieme a cartelloni contro Bush e lanciate dai manifestanti contro i blindati Usa di pattuglia in città. Il sito internet iracheno al-Jiran ha messo virtualmente all´asta le calzature del giornalista, raggiungendo un´offerta di 5mila dollari. Nella sola mattinata di ieri, il video della conferenza stampa è stato visto 800mila volte e su Facebook sono nati 200 gruppi in arabo entusiasti per il gesto del "campione". Un gruppo di egiziani intervistati dalla tv al-Hayat ha lanciato una petizione per recuperare il paio di scarpe e metterlo in un museo, perché «è quanto di meglio il mondo arabo abbia a disposizione oggi». Fra i palestinesi circola la barzelletta, riferita da al-Jazeera, che l´Autorità di Abu Mazen abbia ordinato a tutti i giornalisti di presentarsi d´ora in poi alle conferenze stampa a piedi nudi. Muntazar al-Zaidy poi non avrà problemi a trovare un avvocato, perché solo in Iraq 300 professionisti si sono offerti di difenderlo gratuitamente. Da Amman si è fatto avanti Khalil Dulaimi in persona, l´avvocato di Saddam Hussein. «Zaidy deve essere liberato immediatamente. Ha fatto quel che ogni iracheno avrebbe dovuto fare» spiega. «Sto mettendo in piedi una squadra internazionale di 200 difensori per tirarlo fuori di prigione». Alla gara per rappresentare il "lanciatore di scarpe" partecipa anche il sindacato degli avvocati egiziani, di cui fa parte un altro dei difensori di Saddam, Mohammed Munib. I familiari di Muntazar, angosciati, sono da ieri senza sue notizie. Sembra che il 29enne giornalista sia detenuto nella residenza del primo ministro Nuri al-Maliki, circondato dai poliziotti più addestrati del paese. Ma i miliziani del "Fronte del jihad e del cambiamento" con un comunicato mettono in chiaro che sapranno vendicarsi alla loro maniera contro il governo, se al giornalista verrà torto un capello. Un altro gruppo dai modi tutt´altro che teneri, il "Consiglio degli ulema sunniti", saluta il lancio delle scarpe come «un momento storico», che ha dimostrato «quello che gli iracheni pensano dell´occupazione». Dal Libano il movimento sciita Hezbollah definisce Muntazar «un eroe» mentre in Libia Muammar al-Gheddafi ha impiegato meno di un giorno per assegnare al giornalista iracheno un "premio al coraggio". I più orgogliosi di tutti e i primi a difendere Zaidy sono però i suoi datori di lavoro. «Chiediamo alle autorità irachene - è il testo del comunicato letto in diretta tv ieri mattina - la liberazione immediata del giornalista, nel rispetto di quella democrazia e libertà di espressione che il nuovo regime e le autorità americane hanno promesso al popolo iracheno».
Da pagina 24 de L'UNITA', l'articolo di Gabriel Bertinetto"In Iraq l'Intifada delle scarpe contro Bush":
Muntazer al-Zaidi, l’uomo che domenica si è tolto le scarpe dai piedi e le ha scagliate contro George Bush durante una conferenza stampa a Baghdad, è diventato in poche ore il beniamino delle folle irachene. Cosa per nulla sorprendente in un Paese dove l’amministrazione repubblicana di Washington è riuscita a suscitare sentimenti anti- yankee anche fra molti che cinque anni fa accolsero gli americani come liberatori. Già si dicono pronti ad assisterlo gratuitamente in tribunaleben duecento avvocati, capitanati da Khalil al-Dulaymi, che difese Saddam nel processo conclusosi con la sua impiccagione. Perché, spiega Khalil, Muntazer è un «eroe nazionale». «Gli Usa occupano l’Iraq -continua il legale- e ognimezzo di resistenza è legittimo, anche il lanciodelle calzature ». Migliaia di persone,per lo più seguaci del predicatore sciita Moqtada al-Sadr, sono scese in strada a Baghdad ed a Najaf,maanche a Kirkuk, Mossul e altre città, per esprimere la propria solidarietà verso l’autore della clamorosa contestazione. Scarpe di cartone in formato gigante sono state trionfalmente portate in giro dai dimostranti. Forse per la prima volta nella storia delle proteste popolari, un oggetto così letteralmente terra-terra ha sostituito nel cuore deimanifestanti la figura di un leader amato ritratto sui cartelli, o un programma di lotta riassunto in uno slogan esibito sugli striscioni. A Najaf un lancio collettivo di sandali ha accolto il transito di un convoglio militare americano.Undilagante desiderio di emulazione. Abu Hussein, 48 anni, un abitante di Baghdad, esprime il senso di liberatoria euforia provocato inmolti concittadini dall’exploit di Muntazer: «È stato il lancio del secolo. Bushsimerita quello che gli è capitato, perché non ha mantenuto le promesse fatte agli iracheni». Il governo locale definisce «barbaro e vergognoso» il gesto di Muntazer al-Zaidi, che, se riconosciuto colpevole di aggressione premeditata, rischia una condanna sino a sette anni di reclusione. Se gli andrà bene, se la caverà con un’ammenda. Per ora è agli arresti, piuttosto malconcio per le percosse subite dagli addetti alla sicurezza, che devono avere sfogato su di lui la rabbia per essere stati così platealmente beffati. La scena è avvenuta sotto gli occhi delle telecamere, e il filmato ha fatto il giro delmondo. Nello spazio di poche ore l’avevano già visto sul sito online Youtube almeno 600mila utenti. Bush, che ieri ha proseguito il viaggio in Asia con una tappa a Kabul, ha fatto di tutto per minimizzare l’accaduto. Con i giornalisti al seguito si è sforzato di scherzarci su, sottolineando il fatto di avere schivato i proiettili e definendo «bizzarra» l’esperienza vissuta. «Unapersona non rappresenta il popolo iracheno -ha aggiunto-. Evidentemente voleva attirare l’attenzione su di sé». Maè inevitabile che l’episodio passi alla storia per la sua valenza simbolica, a significare la fallimentare uscita di scena del principale responsabile della sciagurata avventura militare mesopotamica. «Dopo l’11 settembre, questo è il secondo peggiore sfregio arrecato agliStati Uniti», commentavaunabitante diMosul, JasminAbdullah, paragonando con scarso senso della misura il gesto di Muntazer agli attentati terroristici del 2001. Esagerazioni in cui affioraun odio anti-Usa radicato, diffuso, e però respinto da una parte almeno della popolazione.AKirkuk il meccanico curdo Saman Qadir, che trascorse cinque anni nelle galere di Saddam, giudica del tutto sbagliato il comportamento di Muntazer: «Per quel che mi riguarda, avrei piuttosto cosparso di fiori il suolo su cui erano passati i piedi di Bush ». Al Baghadiya, la televisione di Muntazer, chiede l’immediato rilascio, «in armonia con l’era democratica e la libertà d’espressione che ci hanno promesso le autorità statunitensi ». Il volto del reporter campeggiava ieri sugli schermi dell’emittente, che per tutta la giornata non ha fatto altro che trasmettere musiche patriottiche.Un collega, Haider Nassar, afferma che «Muntazer era maldisposto vero le forze della coalizione », che accusava di essere all’origine del bagno di sangue in Iraq dopo l’invasione. A qualcuno aveva confidato che, se gli si fosse presentata l’occasione, avrebbe messo in atto esattamente quello che ha fatto domenica. Era solito iniziare i collegamenti televisivi con una frase sintomatica: «Vi parlo da Baghdad, città occupata». Un anno fa era stato vittima di un misterioso sequestro. Sconosciuti l’avevano aggredito mentre si recava a piedi in redazione, trascinandolo via in auto. Avevano usato la sua cravatta per bendarlo, e le stringhe delle scarpe per legargli le mani. Prima di lasciarlo libero, l’avevano malmenato e gli avevano fatto domandesul suomestieredi giornalista.
Da pagina 25 l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Renzo Guolo "Gesto simbolico per l'Islam dissacrata la potenza degli Usa":
Le «scarpe volanti» di Baghdadanalizzate daRenzo Guolo, studioso del mondo islamico,docente di Sociologia dell’Islam all’Università di Torino. «Quel gesto - sottolinea Guolo - ha una valenza simbolica con una forte ricaduta politica: quelle scarpe scagliate contro Bush dimostrano la perdita della residua sacralità” del leader più potente della Terra». Da un presidente uscente, Bush, a quello entrante: «La priorità in politica estera per Barack Obama - rimarca Guolo - è sicuramente il fronte afghano-pakistano». Come leggere quelle «scarpe volanti » lanciate contro George W.Bush? «Si è trattato di gesto del tutto politico che dimostra non solo l’insofferenza diun singolo verso l’affermazione di Bush rispetto al fatto che la guerra in Iraq non è ancora finita. Quel gesto probabilmente è stato condiviso da molti nel mondo islamico, non solo per l’avversione nei confronti del presidente americano uscente, ma perché il bilancio politico della guerra in Iraq è ritenuto assolutamente negativo nell’universo della mezzaluna ». C’è anche una valenza simbolica in quel gesto? «Certamente sì ed è una valenza simbolica che contiene in sé una forte connotazione politica. Quelle scarpe scagliate contro Bush dimostrano la perdita della residua sacralità” del leader più potente della Terra». Qualèper ilmondoislamico la percezione dell’iper potenza mondiale, gli Stati Uniti d’America? «La percezione dell’America di Bush è molto negativa. Una parte del mondo islamico, ovviamente quello non simpatizzante con il movimento islamista, spera che l’elezione di BarackObama possa costituire una cesura con quel passato, anche se per il nuovo leader della Casa Bianca i vincoli geopolitici saranno molto pesanti, ed egli dovrà tenerne inevitabilmente conto». Quelle«scarpevolanti»hannoriacceso i riflettori internazionali sull’Iraq. Come sintetizzare la realtà dell’Iraq oggi? «È una realtà ancoramolto instabile, che la presenza americana tiene ancora in qualche modo in forma, dal momento che una volta che l’ultimomarine lascerà Baghdad, esploderanno i conflitti tra i diversi gruppi etno-confessionali in relazione agli equilibri istituzionali e anche alla distribuzione delle risorse petrolifere, con il rischio che Arabia Saudita, Iran e Turchia cerchino di esercitare un rilevante ruolo in un Paese, l’Iraq, ancora molto diviso al suo interno ». DaBushaObama.In politicaestera quale sarà la priorità nell’agenda del nuovo presidente Usa? «La priorità è sicuramente il fronte afghano-pakistano, laddove è nato tutto. Uno scenario che però può essere affrontato solo in una dimensione regionale. Non esiste questione afghana senza questione pakistana, non esiste questione pakistana senza questione indiana. Nel nuovo “game” asiatico, le mosse vanno fatte in tutto lo scacchiere».
Anche "Ha lanciato le scarpe contro Bush Bagdad in piazza per difenderlo" di Anna Guaita, da pagina 17 del MESSAGGERO si presta ai rilievi che valgono per gli articoli sopra riportati.
Considerazioni a parte devono essere fatte per l'editoriale di Tommaso Di Francesco, "Il gesto di Bagdad", pubblicato in prima pagina dal MANIFESTO. Vi si chiede l'incriminazione di Bush per "crimini di guerra", cioè per l'"aggressione" contro la dittatura di Saddam. Di Francesco, da parte sua, è un ostenitore impenitente dei crimini della rivoluzione culturale cinese. Non stupisce che voglia processarechi ha deposto un tiranno responsabile della morte del massacro di centinaia di migliaia di iracheni.
È illuminante il gesto di Baghdad, il lancio da parte del giornalista Muntazer al Zaidi delle sue scarpe contro Bush in piena conferenza stampa con il premier iracheno Al Maliki. Due scarpate che danno nuovo ruolo al giornalismo e che, pure se precise quanto a traiettoria e forza impressa, sono state purtroppo schivate dal patetico interessato. L'intero Medio Oriente chiede la libertà per il giornalista subito arrestato che rischia sette anni di carcere. Ora sappiamo che si affaccia sulla scena globale un nuovo sport povero, dopo la recente vittoria dell'Afghanistan ai mondiali di «calcio di strada»: il lancio di scarpe contro il tiranno. Un agone da omologare per le prossime Olimpiadi. E da praticare, magari a casa nostra. Ma tornando allo sfortunato Iraq, dove l'ancora per poco presidente americano ha ricordato che «la guerra non è finita», il gesto atletico di rabbia e protesta esprime contenuti che vanno ben al di là della rilevanza teatrale. I giornali americani parlano di «tragedia finita in farsa», qualcuno elogia perfino Bush per la schivata, altri ricordano le scarpate sui banchi dell'Onu del leader sovietico Khruscev. Stavolta è all'ordine del giorno proprio il ruolo diretto della Casa bianca nella devastazione provocata in Iraq dalla scelta di guerra ad ogni costo di George W. Bush. Il lancio di scarpe, insieme a concludere degnamente, come un marchio indelebile, la presidenza Bush, apre con il suo disprezzo impotente e tardivo, il capitolo delle responsabilità del presidente uscente, non solo storiche ma penali e criminali. CONTINUA|PAGINA12 Troppo poco si è riflettuto sulle ammissioni di Bush sulla guerra in Iraq. «Mi sono sbagliato...», «Mistake», ha dichiarato, ma confermando la «necessità della guerra» (sic) anche di fronte all'inesistenza delle armi di distruzione di massa. Ancora una volta scaricando le colpe sulle «informazioni sbagliate» dell'intelligence. Quando tutti ben ricordano che la Cia di George Tenet negava la presenza di armi di distruzione di massa e solo dopo la sceneggiata all'Onu di Colin Powell le «confermò». Tanto che, di fronte ad un conflitto con l'Iran, stavolta è la Cia a mettere le mani avanti ricordando che no, Tehran è ben lontana dall'avere l'atomica. L'affermazione di «errore» vuole cancellare l'orrore dell'occupazione militare. Che ha provocato: 75.000 morti secondo «Body Count» il sito internazionale che conta le vittime irachene, per il ministero della sanità di Baghdad 150.000 morti e secondo la rivista scientifica Lancet ben 650.000 vittime. Solo venerdì scorso un rapporto del Senato Usa ha accusato Bush e Donald Rumsfeld del sistema di torture praticato ad Abu Ghraib e prima ancora in Afghanistan e Guantanamo. Domenica è esploso lo scandalo dei conti gonfiati del Pentagono. Il fatto è che la portata della crisi economica internazionale cambia il sipario. Ma la questione del diritto internazionale si riaffaccia ad ogni angolo buio. Perché non è escluso che proprio la profondità di questa crisi economica riacutizzerà lo scenario mondiale dei conflitti, almeno sul controllo delle fonti energetiche decisive. Il peso delle scelte di guerra e dei bilanci della difesa dopo l'11 settembre sono un'eredità pesantissima per il neoeletto Barack Obama. Che però ha promesso la chiusura di Guantanamo e delle sue nefandezze illegali. Così torna d'attualità il nodo mai sciolto del non riconoscimento da parte degli Stati uniti del Tribunale per i crimini di guerra dell'Onu che chiede di processare anche i militari statunitensi colpevoli di massacri contro i civili. Ecco allora che, sia internazionalmente sia all'interno per timore d'una resa dei conti sulle malefatte di guerra, la cosiddetta ammissione d'«errore» di Bush proprio queste domande vuole eludere: Bush è un criminale di guerra? Ce n'è abbastanza perché una corte di diritto internazionale lo metta sotto accusa per crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio? Sì, Bush è un criminale di guerra. Anche per molti giudici e giuristi internazionali, vista anche la vastità degli eccidi. Ma tutto concorre a definire una sorta di imperscrutabile immunità: nessuna corte azzarderà mai una tale incriminazione. Una immunità spaventosa. Se, com'è certo, fosse confermata, chi impedirà nuove stragi di massa fatte in nome delle ultime armi di distruzione di massa «trovate» o della nuova guerra «umanitaria»? In una parola, del terrore della guerra giustificato per fermare il terrorismo? È tempo di lanciare le nostre scarpe.
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