Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Due difese, zoppicanti, di Pio XII che confermano il fatto storico dei silenzi
Testata:La Stampa - Avvenire Autore: Giacomo Galeazzi - Antonio Airò Titolo: «I dubbi di Pio XII “Ma sul nazismo il silenzio è giusto?” - Pio XII: «I documenti ci daranno ragione»»
La pubblicazione completa dei diari di Giovanni XIII e un discorso del giugno del 43 di Pio XII proverebbero l'infondatezza delle accuse a Papa Pacelli e le buone motivazioni della sua condotta. E' quanto sostengono Loris Capovilla ,segretario personale di Giovanni XXIII, in un'intervista sui diari pubblicata da La STAMPA e Antonio Airò in un articolo pubblicata da AVVENIRE. In realtà, ciò che emerge dall'una e dall'altro, è soltanto la conferma, ancora una volta, che i silenzi ci furono. E, almeno fino a che gli archivi vaticani non saranno completamente aperti alla consultazione, non potranno non influire sul giudizio storico circa la figura di Pio XII.
Da pagina 33 della STAMPA del 9 dicembre 2008, riportiamo l'intervista di Giacomo Galeazzi a Loris Capovilla, "I dubbi di Pio XII “Ma sul nazismo il silenzio è giusto?” ":
Arcivescovo Loris Capovilla, segretario personale di Giovanni XXIII. A cosa si riferiva Pio XII quando chiese consiglio a Roncalli sul “silenzio circa il contegno del nazismo”? «Alla persecuzione degli ebrei. In Vaticano arrivavano gravi informazioni, soprattutto dalla Polonia occupata dai tedeschi. Pio XII aveva il dubbio che, parlandone, avrebbe peggiorato la situazione. “Accontento una parte, ma l’altra non capirebbe”. Interpellò Roncalli, delegato pontificio a Istanbul, del quale aveva stima. Dell’Acqua mi raccontò che, di fronte a una richiesta, Pio XII rispose: “Solitamente non concediamo questo, ma come si fa a dire di no a Roncalli?». Da papa apprezza il conservatore Siri. Perché? «Giovanni XIII trovò Siri presidente della Cei e lo confermò nell’incarico. Aveva ampiezza di vedute verso l’opposizione e la resistenza ai suoi piani e desideri. Non dubitò mai della buona fede degli oppositori. Anzi li scusava, cercava di spiegarne le azioni e di trattarli con indulgenza e carità fraterne. “Possono esserci divergenze di strategia, ma siamo d’accordi sui pilastri”, ripeteva. Il 5 febbraio ‘59 accolse in Vaticano anche don Primo Mazzolari, definendolo la “tromba dello Spirito Santo della bassa padana”, malgrado le sue critiche ad una Chiesa che voleva “dei poveri e ricca solo d’amore”. Non era l’uomo delle facili illusioni. Non vedeva immediata l’unità dei cristiani, ma si incamminò in quella direzione. Il laico Mauriac lo vide aprire il Concilio scendendo dal trono per dire: “la mia persona conta niente” e capì che “aveva aperto una fessura” attraverso cui passa lo spirito». Perché Roncalli definisce Hitler «un anormale d’eccezione»? «Hitler agiva talmente fuori dalle norme da essere inclassificabile. E’ uno dei pochi giudizi negativi nei diari. Per prudenza e delicatezza Roncalli usa formule tipo “mi dicono”. Come quando riceve il capo del Sant’Uffizio, Ottaviani che gli riferisce su Padre Pio e annota: “Se risponde a verità quanto mi è stato detto, siamo al disastro”. Se gli esprimevo un parere, mi rispondeva: ”Andiamoci cauti, ho bisogno di sentire più di un giudizio”. Lui la Curia la conosceva fino a un certo punto. Sapeva che la Chiesa non è stata affidata agli angeli ma agli uomini. Scelse Tardini come Segretario di Stato e gli disse “Voi qui al centro avete tanti mezzi, ma un povero nunzio come fa?». Non dimenticava gli anni in Bulgaria e a Parigi, le questioni dei preti operai e di Teilhard de Chardin gestite non da lui, ma dal Sant’Uffizio. In Francia parlava di fede con Saragat e la moglie, conobbe De Gasperi alla conferenza di pace. Da Papa definì Moro “statista di primo piano” e aveva un filo diretto con Fanfani attraverso Dell’Acqua. Se oggi Obama è presidente è anche perché lui nel ‘60 creò il primo cardinale nero».
Da AVVENIRE , l'articolo di Antonio Airò "Pio XII: «I documenti ci daranno ragione» ":
Il 13 giugno 1943, Pentecoste, Pio XII riceveva in udienza 25.000 operai giunti da tutt’Italia a conclusione delle celebrazioni per i suoi 25 anni d’episcopato. «Il materno cuore della Chiesa tutrice delle giuste aspirazioni del popolo lavoratore»: con questo titolo, la stampa cattolica pubblicava il discorso esaltante la dignità del lavoro e la dottrina sociale della Chiesa contro «i falsi profeti che dicono bene al male e male al bene, e, vantandosi amici del popolo, non consentono tra capitale e lavoro e tra datori di lavoro ed operai quelle mutue intese che mantengono e promuovono la concordia sociale per il progresso e l’utilità comune».
La definizione di «falsi profeti» era piaciuta a Vittorio Emanuele III, come lo stesso re avrebbe dichiarato 4 giorni dopo al nunzio in Italia Francesco Borgongini Duca ,in un incontro in cui il rappresentante della Santa Sede faceva però notare come i giornali italiani avessero eliminato nelle loro cronache «tutte le parole di pace» pronunciate in quell’occasione: «La pace che vuole il Papa ¿ aveva detto il nunzio ¿ è la pace con giustizia, non la pace disastro».Il discorso di Pio XII cadeva in un momento difficile per il nostro Paese. Le truppe anglo americane avevano occupato Pantelleria e si preparavano a sbarcare in Sicilia. Ma il Re - riferiva il nunzio al cardinale Luigi Maglione, segretario di Stato - non riteneva possibile questa ipotesi. Le sorti della guerra, anche se ancora incerte, sembravano pendere a favore degli Alleati, mentre il Papa moltiplicava i suoi sforzi per arrivare a una soluzione del conflitto.
Il riconoscimento di Roma «città aperta», evitando quindi i minacciati bombardamenti degli anglo-americani (numerose città italiane erano già state devastate), era uno dei tasselli non secondario dell’impegno del Papa. Anche se ciò si scontrava con la decisione degli Alleati, che volevano la resa incondizionata dell’Italia. Mussolini, nonostante i sintomi di disfacimento del regime, continuava a lanciare proclami di sicura vittoria. La Germania di Hitler era ancora forte nonostante l’insuccesso nella Russia di Stalin e il nazismo aveva scelto il genocidio, nel silenzio sostanziale anche degli Alleati. In questo scenario, il discorso di Pio XII agli operai rivela nella parte conclusiva - anche se mancano riferimenti specifici - l’intenzione del Papa a «cancellare» una sorta di diffuso preconcetto nei confronti della Chiesa e del Papa in particolare: «Una propaganda di spirito antireligioso va spargendo in mezzo al popolo, soprattutto nel ceto operaio, che il Papa ha voluto la guerra, che il Papa mantiene la guerra e fornisce il denaro per continuarla, che il Papa non fa nulla per la pace.
Mai forse non fu lanciata una calunnia più mostruosa e assurda di questa!. Chi non sa, chi non vede, chi non può accertarsi che nessuno più di noi si è insistentemente opposto, in tutti i modi consentiti, allo scatenarsi e poi al proseguire della guerra, che nessuno più di noi ha continuamente invocato e ammonito: pace, pace, pace!, che nessuno più di noi ha cercato di mitigare gli orrori?».Pio XII aveva ragione a ricordare il suo incessante sforzo a sostegno della pace. Lo aveva fatto fin dal suo sofferto primo radiomessaggio alla vigilia della guerra: «Nulla è perduto con la pace, tutto è perduto con la guerra... Che gli uomini inizino a negoziare di nuovo». Di fronte alla crescente tragedia che insanguinava il mondo, il Papa nel Natale del 1942 aveva condannato fermamente i regimi totalitari ed aveva espresso anche un esplicito riferimento alla sorte di «centinaia di migliaia di persone, le quali senza veruna colpa, talora solo per ragioni di nazionalità o di stirpe sono destinate alla morte o a progressivo deperimento».
Non era denunciato esplicitamente il genocidio degli ebrei (del quale si avevano nel 1943 informazioni sempre più esaurienti), ma i leader nazisti non avevano equivocato sulle parole di Pacelli: «È un capolavoro di travisamento clericale della concezione del mondo nazionalsocialista».Nel discorso di Pentecoste di 65 anni fa manca in effetti ogni riferimento alla tragedia della Shoah. E probabilmente il silenzio (che non fu solo di Pio XII) era allora una strada obbligata. Ma c’è una significativa affermazione che sembra tener conto della intricata e complicata situazione internazionale e invita ad andare oltre gli aspetti contingenti. Disse infatti il Papa: «La Chiesa non teme la luce della verità, né per il passato, né per il presente, né per il futuro.
Quando le circostanze dei tempi e le passioni umane permetteranno o richiederanno la pubblicazione di documenti, non ancora resi di pubblica ragione, concernenti la costante azione pacificatrice della Santa Sede, non timida dei rifiuti e delle resistenze durante questa immane guerra, apparirà in luce più che meridiana la stoltezza di tali accuse».L’affermazione vale anche per la Shoah? Queste parole di 65 anni fa, esplicite e anche orgogliose, esprimono l’attesa della verità. Ha dichiarato nei giorni scorsi Benedetto XVI: «Pio XII spesso agì in modo silenzioso e discreto perché, alla luce delle situazioni di quella complessa fase storica, intuì che solo così si poteva evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei».
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