Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Due tentativi di depistaggio di Franco Cardini e di Loretta Napoleoni
Testata:Corriere della Sera - L'Unità Autore: Maria Luisa Agnese - Loretta Napoleni Titolo: «Se ci si indigna a intermittenza - Miscela esplosiva»
Sul CORRIERE della SERA del 28 novembre, in prima pagina e a pagina 9, troviamo un articolo di Maria Luisa Agnese, "Se ci si indigna a intermittenza". Vi si sostiene che gli ultimi attacchi terroristici in India avrebbero ricevuto una copertura mediatica non concessa a quelli che li hanno preceduti a causa della presenza di vittime occidentali, e dunque per una tendenza a discriminare tra vittime di "serie a" e vittime di "serie b". Ci sembra una tesi discutibile, sia perché in realtà la copertura mediatica degli attentati in India è sempre stata ampia, sia perché l'attacco a Mumbai, per dimensioni, efficienza e anche per il fatto che è stato intenzionalmente "globale", proprio perché rivolto contro la comunità internazionale presente in India, ha effettivamente caratteristiche senza precedenti, che giustificano un'attenzione particolare. Fin qui però, siamo nell'ambito dell'opinabile: il problema sollevato da Maria Luisa Agnese potrebbe ancora meritare di essere discusso. Sono invece le affermazioni dello storico Franco Cardini, raccolte dalla giornalista, a suscitare sconcerto, perché sono un inaccettabile tentativo di occultare la matrice islamico-integralista dell'attacco, e l'odio antioccidentale e antiebraico che ne costituisce il movente ideologico.
Cattolico e medievalista, gran conoscitore dell'universo musulmano Franco Cardini sostiene che il clima contro i cristiani negli ultimi anni è molto peggiorato e mette in guardia contro l'idea un po' edulcorata che abbiamo delle religioni in India che «non sono pacifiche ma piuttosto militari come il buddismo, o persecutorie come i sik e gli indù. Siamo di fronte a una religionizzazione della politica e il modo migliore per neutralizzarla è quello su cui ha insistito il Santo Padre, mai abbassare la guardia sul dialogo».
Se, come suggerisce l'insigne storico Cardini, l'origine dell'attacco a Mumbai dovesse essere rintracciata nella"religionizzazione della politica" cioè nei conflitti interreligiosi che coinvolgono, oltre che i musulmani, buddisti, sik e indù, perché i terroristi hanno selezionato americani e inglesi per ucciderli ? Perrché hanno assaltato un centro ebraico, prendendo in ostaggio chi si trovava al suo interno e poi uccidendolo ? A nostro avviso basterebbe questo goffo tentativo di negare l'evidenza dei fatti per squalificare il medievista Cardini, "gran conoscitore dell'universo musulmano". La storia, ci sembra, dovrebbe misurarsi con i fatti, non con le interpretazioni di comodo predilette da Cardini.
Mumbai è "l'ennesimo fallimento delle promesse di Bush: rendere il nostro mondo più sicuro", scrive Loretta Napoleoni sull' UNITA' (pagina 29, "Miscela esplosiva"). E' la stessa esperta di antiterrorismo che in un recente libro ha cercato di convincerci che la statistica dovrebbe indurci a non temere gli attentati, e dunque a non sostenere le politiche di contrasto al terrore. Ricapitolando: se i terroristi (grazie ai successi militari e di intelligence) non colpiscono, è la prova che si deve smettere di combatterli, perché non sono poi un grande pericolo. Se invece i terroristi, sfruttando le falle dell'intelligence e le limitazioni imposte alle azioni militari (quest'ultimo punto sarebbe particolarmente evidente nel caso di Mumbai se emergesse un coinvolgimento pakistano) riescono a colpire, è la prova che si deve smettere di combatterli, perché tutta la guerra al terrore è un fallimento. Sembrerebbe una presa in giro, se non fosse che l'argomento è terribilmente serio. E' questione di vita o di morte, sulla quale non possiamo permetterci di far uso della logica zoppicante di "esperti" come Loretta Napoleoni.
Ecco il testo:
Gli americani mangiano il tacchino nel giorno del Ringraziamento incollati ai teleschermi dove la Cnn manda inonda le immagini agghiaccianti dell’attacco terrorista aMumbai. Ironia della sorte vuole che la presidenza di George W. Bush si chiuda con il sangue che scorre lungo le strade di uno dei centri finanziari del villaggio globale, con una tragedia, insomma, proprio come era iniziata. Ma le similitudini con l’11 settembre sono poche altre: attacchi simultanei, ben coordinati e nulla più. Il misterioso gruppo che si fa chiamare Mujahedeen Deccan è infatti profondamente diverso dai «martiri di al Qaeda» che hanno terrorizzato il mondo negli ultimi anni. Composto da giovanissimi ilcommandonon ha nessuna intenzione di finire in mille pezzi, al contrario i semi- adolescenti che intravediamo sui teleschermi imbracciano il fucile o lanciano bombe contro le forze dell’ordine. Anche gli obiettivi esulano da quelli tanto cari alla vecchia guardia di Al Qaeda e cioèmezzi di trasporto da utilizzarecome bombe. Si tratta di bersagli difficili da gestire proprio perché la missione non è suicida ma da scontro armato. La dinamica da commandoricorda invece l’attacco di Monaco, durante i giochi olimpici degli anni ‘70. E la presenza degli ostaggi, accessori scomodi per chi vuoledistruggerema importantissimi per chi intende fare propaganda, sembra avvallare questo paragone. Ci troviamo di fronte ad una fusione tra terrorismo vecchio e nuovo, una miscela molto esplosiva. Il cambio della tecnica, che abbandonato il martirio torna a essere di guerriglia, ha preso tutti, inclusa la sicurezza indiana, in contropiede. Questo è il primo errore dell’anti- terrorismo: credere che ci sia una modalità unica o dei modelli prefissati, che insomma esista un manuale delle tattiche terroriste. Il terrorismo è asimmetrico e chi fa uso di questa tattica ingigantisce la propria forza terrorizzando la gente, queste le uniche generalizzazioni possibili. E infatti un commando di alcune decine di ragazzi tiene sotto scacco una città di 20 milioni di abitanti con una forza di polizia che conta più di 40 mila unità. Ecco un esempio di guerra asimmetrica. Per paralizzare questa megalopoli è bastato colpire due alberghi a cinque stelle frequentati dagli occidentali e dalle elite indiane, un ristorante alla moda, una stazione pullulantedi gente eunospedale nel cuore finanziario della città, tutti simboli dell’India moderna, economia emergente che fa parte del nuovo club dei potenti, il G20. Prendere il nemico di sorpresa, scriveva Sun Zu, il grande stratega cinese, è vincere metà della battaglia. A Mumbai più che di sorpresa bisognerebbe parlare di sbigottimento. Le autorità sono rimaste letteralmente attonite e con loro il resto delmondo. Ma se il secondo conosce poco la realtà conflittuale indiana e quindi guarda ai tragici eventi di Mumbai come un fenomeno nuovo, il primo sa benissimo che da dodicimesi a questa parte l’attività terroristica in India è aumentata esponenzialmente. Una miriade di gruppi nuovi, tra cui anche alcuni di matrice Hindu, dilania il Paese. La «Milizia Islamica», quello più agguerrito, compare un anno fa quando lancia una serie di esplosioni nell’Uttar Pradesh. A maggio rivendica le esplosioni a Jaipur, il motivo: l’appoggio indiano a Washington. Il messaggio arriva accompagnato da una minaccia: colpiremo i centri turistici del Paese.Aluglio il gruppo torna alla ribalta con un attacco contro la città di Ahmedabad, dove muoiono 45 persone, ed a settembre colpisconoaNuovaDelhi lasciando20 cadaveri sul selciato. Un altro gruppo che si fa chiamare «Forze di sicurezza islamiche» indiane uccide 80 persone nella città di Assam appena un mese fa. La lista non si esaurisce qui, ma bastano questi attentati per illustrare il dilagare della violenza politica in India. Ilmondose ne è accorto solo ora perché tra imorti e gli ostaggi ci sono stranieri, occidentali, gente che a Mumbai fa affari o è in vacanza. Fino a quando amorire erano gli indiani la notizia non arrivava sui nostri quotidiani, figuriamoci al pranzo del giorno del Ringraziamento americano. Separare l’occidente dall’oriente,comefacevamoanni fa, è sbagliato. Se l’occidente avesse prestato attenzione a cosa succedeva nel subcontinente indiano forse la sicurezza ai due alberghi diMumbai sarebbe stata migliore. In nessun Paese dove l’attività terrorista è cosi frequente ci si può permettere di lasciare che la gente entri ed esca dalle hall degli alberghi senza essere controllata. Che senso ha togliermi le scarpe a Fiumicino prima di imbarcarmi su un volo per Mumbai quando chiunque può arrivare al mio tavolo e puntarmi una pistola addosso mentre faccio colazione in uno degli alberghi più costosi del mondo? Gli ostaggi italiani sicuramente si stanno ponendo questa scomoda domanda. Separare l’oriente dall’occidente è anche sbagliato. Pensare che la violenza indiana e pachistana possa essere contenuta all’interno dei confini nazionali, che sia una faccenda nazionale, che quindi esuli dalla politica estera dei due paesi, è riduttivo e pericoloso.Unlegame tra la partecipazione indiana al G20 due settimane fa e l’attacco di Mumbai esiste, anche se nessuno ha ancora collegato i due eventi. I ragazzi del commando di Mumbai selezionano gli ostaggi, o almeno cercano di farlo nei limiti del possibile date le circostanze; vogliono americani e inglesi,nongli interessano le altre nazionalità anche se qualche sfortunato nostro connazionale finisce tra gli ostaggi. Il messaggio questa volta è al mondo, non all’India. Si vuole punire la classe politica per essere entrata nel club dei potenti, i nemici lontani, nella dizione della vecchia al Qaeda. La gravità dell’attacco sta nel lessico politico, che per la prima volta dall’11 settembre torna alla ribalta, perchénon più oscurato dal martirio dei terroristi o divulgato da vecchie icone. I ragazzi sono giovanimamanipolano imedia,comesolo i giovani sanno fare. L’attacco parte poche oreprima delle celebrazioni del giorno del Ringraziamento negli Usa, la festa più importante, quandoil personale delle agenzie stampa è ridotto all’osso e l’America si prepara aun fine settimana godereccio davanti alla tv che trasmette le più importati partite di football dell’anno. L’impatto mediatico è massimo, l’analisi minima. Si sceglie Mumbai, teatro di decine di attacchi negli ultimi anni,ma anche cuore del movimento indipendentista. È a Mumbai che nel 1942il MahatmaGandhi firma la dichiarazione «andatevene dall’India» contro gli inglesi. Città storica e allo stesso tempo simbolo dell’India del G20. Bollywood, la celeberrima industria del cinema indiana ha sede a Mumbai, anche la BancaNazionale Indiana è aMumbai. Questa è una megalopoli che ospita 6.500 industrie, quattro piazze affari dove tutte le contraddizioni della moderna India sono visibili. I quartieri dove vivono i poveri, i mendicanti, gli storpi confinano con quelli dei ricchi, dove la borghesia nascente indiana vive nell’agio che un tempo solo gli inglesi potevano permettersi. Questo fine novembre gli americani hanno poco da ringraziare. La tragedia diMumbai ha messo a nudo l’ennesimo fallimento delle promesse di Bush: rendere il nostro mondo più sicuro
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