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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Avvenire - Il Messaggero Rassegna Stampa
27.11.2008 Impiccagioni a Teheran
per qualcuno è un orrore, per qualcun' altro è "fermezza"

Testata:Corriere della Sera - Avvenire - Il Messaggero
Autore: Cecilia Zecchinelli - Nicole Neveh - Siavush Randjabar-Daemi
Titolo: «Il marito tentò di violentare la figlia Lei lo uccide, impiccata in Iran - Orrore a Teheran: dieci impiccati in un solo giorno - Teheran, uccise il marito che stuprava la figlia, impiccata»

Il 27 novembre 2008  i quotidiani danno notizia di impiccagioni in Iran,di una delle quali è stata vittima  una donna che uccise il marito "temporaneo" per impedirgli di violentare la figlia.
Quest'ultimo è il caso più evidente di violazione dei diritti umani, ma occorre ricordare che i processi della Repubblica islamica non offrono nessuna garanzia di equità e di giustizia .

La consapevolezza di questa realtà è presente nelle cronache del CORRIERE della SERA e di AVVENIRE, mentre manca in quella di Siavush Randjabar-Daemi pubblicata dal MESSAGGERO.

Da pagina 17 del Corriere della SERA, l'articolo di Cecilia Zecchinelli "Il marito tentò di violentare la figlia Lei lo uccide, impiccata in Iran":

Una storia alla Tarantino, un horror alla Stephen King, sembrerebbe: invece è solo una delle verissime, terribili vicende iraniane al femminile. Fatemeh Haghighat Pajol, 50 anni, è stata impiccata ieri all'alba nella celebre quanto lugubre prigione di Evin a Teheran, per omicidio. Sette anni fa aveva ucciso (e secondo l'accusa fatto a pezzi) il marito «temporaneo». Sposato cioè secondo un matrimonio «sigheh», unione legale a tempo determinato prevista dal diritto islamico sciita, spesso usato per mascherare la prostituzione (il «marito» deve pagare una «dote»), o scelto dai giovani per evitare spese, testimoni, permessi famigliari e quant'altro comporta un vero sposalizio.
Non si sa perché Fatemeh avesse sposato quell'uomo, non pare fosse una prostituta. Ma si sa perché ha ucciso: per impedire, come ha dichiarato inutilmente ai giudici, che violentasse una delle due figlie, che allora aveva 14 anni. E che diventata grande si è mobilitata con organizzazioni dei diritti umani, femministe, intellettuali per la liberazione della madre. Invano. Con altri nove condannati (tutti uomini), Fatemeh ieri mattina è stata ammazzata. E il macabro conteggio delle esecuzioni porta la quota degli ultimi dieci giorni, nella Repubblica Islamica, a 18.
«Il governo di Ahmadinejad non è solo una minaccia per la sicurezza del mondo, ma per il suo stesso popolo. E per le donne in particolare, che sono la cartina di tornasole dei regimi», commenta Sergio D'Elia, segretario dell'associazione Nessuno Tocchi Caino per l'abolizione della pena di morte nel mondo. «La situazione in Iran resta di una gravità assoluta — continua D'Elia —, lapidazioni quest'anno non ci sono state ma nuove condanne sono state inflitte, il regime dei mullah continua ad agire come boia della sua gente. Eppure l'Occidente non considera la Repubblica Islamica parte del problema ma la vede come possibile soluzione nella regione, una mancanza di consapevolezza che costituisce un errore gravissimo».
In settembre, l'organizzazione Human Rights Watch (Hrw) aveva denunciato il deciso peggioramento per la tutela dei diritti umani e le libertà civili avvenuto in Iran dal 2005, anno in cui salì al potere il presidente Mahmoud Ahmadinejad. Durante il suo mandato «il numero delle condanne a morte è quadruplicato », dichiara Hrw. E secondo Amnesty International la macabra classifica per numero di esecuzioni ha visto nel 2007 l'Iran al secondo posto: con 317 casi, il Paese degli Ayatollah è stato battuto solo dalla Cina.

Da pagina 22 di AVVENIRE, l'articolo di Nicole Neveh "Orrore a Teheran: dieci impiccati in un solo giorno" 

T eheran non solo non ferma il boia, ma adesso passa anche alle esecuzioni di massa. Sor­do ai richiami indignati provenienti da tutto il mondo, il regime iraniano va avanti con la pena di morte. E nel senso peggiore. Ieri dieci per­sone, fra le quali una donna, tutte accusate di omi­cidio, sono state impiccate nella prigione di Evin, nella capitale. Lo ha confermato all’agenzia Fars il magistrato incaricato dell’applicazione delle pene, identificato come «giudice Sabe­ri ». Il giudice ha aggiunto che fra le persone messe a morte vi era una donna di 50 anni condan­nata per «aver ucciso suo marito e aver tagliato il corpo in piccoli pezzi». Ha però omesso di preci­sare che la donna, Fatemeh Pajouh – che aveva contratto con l’uomo un matrimonio provvi­sorio, “contratto” previsto dall’i­slam sciita, limitato nel tempo e spesso imposto alle donne – aveva ucciso il marito poiché questi aveva violentato la figlia di 14 anni a­vuta da un matrimonio precedente. Cosa che costi­tuirebbe un’attenuante un qualsiasi Paese demo­cratico. Ma non in Iran, dove Fatemeh è stata ucci­sa nonostante avesse spiegato le ragioni del suo ge­sto durante gli interrogatori e nonostante la sua e­secuzione fosse stata rinviata diverse volte a causa delle pressanti proteste internazionali.
  Dopo il trionfo della Rivoluzione Iraniana, nel 1979, il regime dei mullah ha definito oltre cento reati pu­niti con la pena di morte. Tra questi, l’omicidio, il traffico di droga, lo spionaggio, ma anche l’omoses­sualità, l’adulterio e la blasfemia contro l’islam. Di recente il Parlamento ha approvato una legge che
aggiunge alla lista anche il delitto di «alterare l’opi­nione pubblica», una misura duramente criticata dai gruppi a difesa dei diritti umani a causa della sua ambiguità.
  Secondo Human rights watch (Hrw), durante il man­dato di Ahmadinejad (al potere dal 2005), il nume­ro delle condanne a morte «è quadruplicato», arri­vando quest’anno a quota 216. Il che sistema l’Iran al secondo posto dopo la Cina (317 esecuzioni) nel­la classifica dell’orrore. Molti analisti evidenziano però che la mano pesante di Ahmadinejad sulle e­secuzioni capitali servirebbe a nascondere la sua cre­scente debolezza politica interna a soli sette mesi dalle presiden­ziali (nelle quali si gioca il suo se­condo mandato). Un modo, in­somma, per fare la voce grossa in un Paese sempre meno di­sposto a seguirlo nella sua “stra­tegia” isolazionista, corredata da dichiarazioni deliranti sulla can­cellazione dello Stato di Israele e da prese di posizioni “irremovi­bili” sul controverso programma nucleare, puntualmente ammorbidite, se non addi­rittura smentite, il giorno dopo. Proprio all’inizio del mese, Ahmadinejad ha ricevuto uno dei più pesan­ti attacchi alla sua autorità quando gran parte del suo stesso schieramento conservatore gli ha voltato le spalle rimuovendo con un voto di sfiducia a lar­ghissima maggioranza, il ministro dell’Interno Ali Kordan, sostituito ieri da Sadegh Mahsuli, vicino al presidente ma eletto con una maggioranza risica­tissima. Un ulteriore segnale di malcontento (è il de­cimo ministro del governo a lasciare il governo da quando Ahmadinejad ne ha assunto la guida) che si somma alle preoccupazioni per un’inflazione ormai al 30%. Un fallimento politico che neanche il più tur­pe maquillage estremista riuscirà a nascondere.

A pagina 16 del MESSAGGERO, nell'articolo "Teheran, uccise il marito che stuprava la figlia, impiccata" Siavush Randjabar-Daemi esordisce scrivendo che

Il sistema giudiziario iraniano sta procedendo con fermezza nell'applicazione della pena capitale.

Un esempio di questa "fermezza" lo si riscontra nel caso di Fatemeh Hagjighat-Pajooh presentato in modo falsato:

una donna che avrebbe confessato di aver ucciso e squarciato un uomo con cui aveva contratto un sigheh, un matrimonio temporaneo. 

Solo a questo punto Daemi ci informa che

A Fatemeh non è bastata l'attenuante dello stupro che il consorte provvisorio avrebbe effettuato ai danni della sua figlia quattrodicenne.

Il resto dell'articolo è una discussione di possibili riforme del sistema giudiziario iraniano, dall'introduzione della distinzione tra omicidio volontario e omicidio colposo, alla possibilità di rendere il perdono da parte dei famigliari delle vittime gratuito o scontato per non abbienti ( attualmente si può ottenerlo, avendo così salva la vita, pagando un riscatto di 43.000 euro), all'abolizione delle pene superiori ai 5 anni di detenzione per gli imputati minorenni.
La legittimità di un sistema che, come quello iraniano, è irrispettoso dei diritti umani ed è al servizio di un regime criminale, non è mai messa in discussione.

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