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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.11.2008 Gli insulti razzisti di Al Qaeda a Barack Obama
cronache e analisi

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Francesco Semprini - Maurizio Molinari - Alessandra Farkas - Guido Olimpio
Titolo: «Servo negro Al Zawahiri insulta Obama - Come osa citare Malcom X - E' da schiavisti dividere i buoni dai cattivi - Insulti e debolezze»
Da pagina 2 de La STAMPA del 20 novembre 2008, la cronaca di Francesco Semprini:

«Abeed al-beit», ovvero «schiavo negro di casa». L’ideologo Ayman al Zawahiri saluta con insulti razziali l’elezione di Barack Obama in un video-messaggio di 11 minuti pubblicato sui siti web islamisti, in cui contrappone il presidente eletto agli «esempi virtuosi di neri americani come Malcolm X». Il numero due di Al Qaeda vuole convincere arabi e musulmani che Obama non rappresenta un cambiamento nelle politiche statunitensi perché altro non è che un «servo dei bianchi» e un «alleato di Israele».
«L’America si è data un nuovo volto, ma il suo cuore pieno di odio, la mente avida e ingorda, lo spirito diabolico, assassino, dispotico e repressivo rimangono gli stessi», sferza il vice di Osama bin Laden. E ad Obama dice: «La nazione musulmana ha accolto con estrema amarezza il tuo ipocrita appoggio a Israele. Sei nato da padre musulmano ma hai scelto di stare dalla parte dei nemici dell’Ummah» (mondo islamico), per questo «sei uno schiavo negro di casa», come «Colin Powell e Condoleezza Rice».
In sovrimpressione scorrono alcuni passaggi dei discorsi di Malcom X, leader della lotta per i diritti civili degli afro-americani negli Anni Sessanta, in particolare quelli in cui definisce i neri che lavorano come domestici nelle case dei bianchi «servi peggiori» di quelli che sono nei campi. L’attacco era rivolto a quei leader afro-americani contrari alla lotta dura contro lo strapotere dei bianchi. Il medico egiziano appare solo in un fotogramma seguito da una serie di immagini, tra cui Obama in Israele con indosso la «kippah», il copricapo ebraico. Parla anche del futuro, Al Zawahiri, della scelta di inviare nuove truppe Usa in Afghanistan, una scelta destinata al fallimento, perché gli afghani «resisteranno».
«Sappiate - dice - che i cani dell’Afghanistan hanno trovato la carne dei vostri soldati deliziosa, quindi mandategliene migliaia su migliaia». Così come la stessa vittoria di Obama è «la dimostrazione del fallimento delle politiche di Bush e l’ammissione della sconfitta in Iraq». Il vice di Bin Laden esorta tutti gli islamici a combattere contro le forze americane e contro il governo iracheno a guida sciita per «neutralizzare l’avanzata criminale dei crociati col sacrificio dei vostri figli mujaheddin». Non fa riferimento a un obiettivo specifico ma avverte Obama che si appresta ad affrontare «una jihad enorme, figlia della rinascita dell’intero mondo islamico che tu e il tuo governo vi rifiutate di vedere e riconoscere». «Dichiarazioni vergognose pronunciate da un terrorista», le ha definite il portavoce del dipartimento di Stato Sean McCormack, mentre lo staff del presidente eletto non commenta.

Da pagina 3 del quotidiano torinese, l'intervista di Maurizio Molinari all'ex pantera nera Kathleen Neal Cleaver (che interpreta la lettera di Ahmadinejad a Obama come una possibilità che un nemico dell'America come l'Iran divenga un interlocutore: a questo proposito, ricordiamo che la Repubblica islamica continua a ingannare la comunità internazionale sul suo programma nucleare).

Dietro le parole di Al Zawahiri c’è un suggeritore che conosce i testi di Malcolm X, ma applicare quei contenuti all’America di oggi è una caricatura farcita di razzismo». A parlare è Kathleen Neal Cleaver, 63 anni, studiosa del movimento abolizionista alla Emory University, ex Pantera Nera in esilio a Cuba negli Anni Sessanta e moglie di Eldridge Cleaver, il teorico dei musulmani neri scomparso nel 1998 che in prigione divenne un fervente seguace di Malcolm X. Per Kathleen Cleaver «Malcolm» è stato un maestro, un amico di famiglia e quando ha sentito il suo pensiero citato da Al Zawahiri ammette di «aver provato un brivido».
Perché crede che vi sia un suggeritore dietro le parole pronunciate dal vice di Bin Laden?
«Quando Al Zawahiri usa il termine "schiavo di casa" si riferisce a un preciso pensiero politico. Malcolm parlava di “schiavo di campo” e “schiavo di casa” spiegando che la differenza sta nei comportamenti che seguono all’incendio dell’abitazione del padrone: quello "di casa" tenta di salvare il padrone e si dispera per la perdita di affetti e proprietà, mentre quello "di campo" pensa a correre, scappa, coglie l’occasione per diventare libero senza neanche guardarsi indietro».
Dunque Ayman al Zawahiri adopera questa parabola di Malcolm X per accusare Barack Obama di essere un servo dei bianchi oppressori. Cosa pensa di questo paragone?
«Si tratta di una caricatura razzista, simile a quella del "Magic negro" che alcuni bianchi ancora usano per riferirsi ai neri che tentano di essere meno neri degli altri».
Perché parla di caricatura?
«Per il semplice fatto che Malcolm parlava di "cambiare il sistema" e di "sfida al capitalismo" in un’America molto diversa da quella in cui viviamo. All’epoca c’era il segregazionismo, le leggi che discriminavano i neri e i bianchi si opponevano ad ogni cambiamento. Malcolm non avrebbe mai preso in considerazione di candidarsi per il partito democratico perché era uno dei due maggiori centri di potere della nazione. Oggi invece il partito democratico ha assegnato la nomination a un afroamericano e Barack è stato eletto, con il voto in massa non solo dei neri ma anche dei bianchi. Al Qaeda sbaglia a usare l’espressione "schiavo di casa" perché oggi Obama è l’uomo più importante della casa americana. Gli "schiavi di casa" non ci sono più».
E dove vede il razzismo di Al Zawahiri?
«Nell’usare espressioni come "abd el-beit", schiavo di casa, che evocano l’epoca nella quale i predoni arabi catturavano i neri in Africa per venderli ai trafficanti di schiavi bianchi che li portavano in America attraversando l’Atlantico».
A quale pubblico tenta di rivolgersi Al Qaeda?
«Non certo a chi vive negli Stati Uniti. Noi americani abbiamo vissuto la segregazione, il razzismo, i linciaggi. Sappiamo bene cosa è avvenuto nel passato e quanto la situazione attuale sia differente. Forse Al Qaeda sta cercando un altro pubblico, fra i fondamentalisti del Medio Oriente per esaltarli, fare leva sul loro razzismo per combattere l’America. Mi viene anche in mente il fatto che Al Qaeda potrebbe aver paura di Obama...».
Paura di che cosa?
«Della possibilità che Obama stravolga gli equilibri, innovi i rapporti internazionali, sappia parlare agli attuali nemici dell’America trasformandoli in interlocutori. Non è forse vero che il presidente iraniano Ahmadinejad ha scritto una lettera di congratulazioni a Obama e che non era mai avvenuto qualcosa di simile da quasi trent’anni?».


Da pagina 3 del  CORRIERE della SERA, l'intervista alla scrittrice giornalista Rebecca Walker:

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK — «La distinzione tra negro buono
e negro cattivo è un prodotto antiquato ed obsoleto della cultura bianca e come tale non ci è mai appartenuto. Anche lo stereotipo perpetrato dalla
Capanna dello zio Tom è stato creato oltre un secolo fa da una scrittrice bianca e ricca, Harriet Beecher Stowe, che vedeva attraverso le lenti deformate del proprio privilegio».
Parla Rebecca Walker, la 39enne scrittrice e giornalista Americana autrice di bestseller come «Black, White and Jewish: Autobiography of a Shifting Self» e «Baby love: choosing motherhood after a lifetime of ambivalence».
«La distinzione tra schiavo addomesticato e schiavo della piantagione che ride se la casa brucia non fa parte del dibattito culturale contemporaneo americano da ormai tantissimo tempo», teorizza la Walker, figlia unica dell'autrice di «Il colore Viola» Alice Walker, «e comunque la sua genesi storica è da ricondurre alla nascita dello schiavismo ».
In che senso?
«Furono i proprietari di schiavi, già dal 17˚ secolo, a creare l'artificiale separazione dei neri in due gruppi, in base all'intramontabile teoria del dividi e conquista. Mettendo un gruppo contro l'altro, erano certi che l'antagonismo impedisse loro di unirsi e ribellarsi. Ma il motivo dello stereotipo era anche un altro».
Quale?
«Una volta stabilito il principio della superiorità razziale dei bianchi, i proprietari di schiavi crearono un'ulteriore frattura tra gli schiavi neri e quelli bianchi. Mi riferisco al sistema della servitù debitoria — l'indentured system
— che caratterizzò le origini dell'emigrazione europea e si differenzia dalla schiavitù per la natura contrattuale del rapporto di lavoro».
Schiavi bianchi contro schiavi neri insomma?
«Proprio così. E i proprietari, che usavano gli
indentured per mandare avanti le piantagioni visto che non volevano di certo sporcarsi le mani con i neri, conquistavano la fedeltà dei primi in virtù del privilegio della pelle che li faceva sentire superiori ai neri».
Anche se erano altrettanto poveri.
«Il fenomeno si è tramandato ai nostri giorni e oggi il proletariato bianco, illetterato e poverissimo, delle zone rurali si identifica e ha votato per il miliardario John McCain preferendolo ad Obama, inferiore in quanto nero».
Anche la spaccatura all'interno della comunità nera tra integrazionisti e nazionalisti è una creazione dei bianchi?
«Esisteva 30, 40 anni fa, durante la lotta per i diritti civili. Ma il fatto che il 96% della comunità afro-americana abbia votato per Obama dimostra senza ombra di dubbio che nessuno di noi lo considera un "negro di casa" o uno "venduto ai bianchi", che, lo ripeto, sono comunque categorie obsolete. Lo dimostra il fatto che persino Louis Farrakan gli ha dato l'endorsement ».
Il divario ideologico tra i seguaci di Malcolm X e Martin Luther King è stato colmato del tutto?
«Anche quel divario è una creazione dei media bianchi. Al contrario di quanto è stato scritto per anni, i due leader erano grandi amici e collaboratori. Oltre a nutrire un grande rispetto reciproco, hanno portato avanti una crociata molto simile. Dopo il suo viaggio alla Mecca Malcolm X si avvicinò moltissimo a King e verso la fine della sua vita i loro messaggi erano quasi identici».
Chi sono i loro eredi, oltre ad Obama?
«L'establishment bianco dei media è tornato a dividerli tra cattivi e arrabbiati — Al Sharpton e Jesse Jackson — e buoni: cioè Barack Obama. Ma per fortuna il Paese nella sua totalità ha rifiutato questa vile tattica».

Dalla prima pagina del CORRIERE, l'analisi di Guido Olimpio:

A l  Qaeda ha paura del «cow boy in guanti neri». Teme che l'entusiasmo suscitato dall'elezione di Obama anche sotto certi minareti possa tenere lontane nuove reclute. Vede crescere il dissenso tra i suoi ranghi. E allora dipinge il neopresidente come lo Zio Tom, lo «schiavo del cortile» da contrapporre allo «schiavo dei campi» che se la casa del padrone va in fiamme prega perché sia distrutta.
Consapevole di scivolare nel razzismo più bieco e su posizioni contrarie ai principi di Maometto, Al Zawahiri prova a mettersi al riparo copiando i discorsi di Malcolm X ma in realtà assomiglia agli incappucciati del Ku Klux Klan.
I contenuti dell'audio che ha messo fine a un lungo silenzio sono in linea con le prediche. In passato il dottore egiziano si è profuso in analisi sulle discriminazioni patite dai nativi-americani e dalle persone di colore. Ha toccato queste corde nella speranza di suscitare rivolte nei ghetti contro il «potere bianco». Per questo citava le posizioni estreme di Malcolm X, ricordava i massacri degli indiani.
Ora che hanno eletto Obama si è trovato spiazzato così come i simpatizzanti che amano manifestarsi su Internet. Capi e seguaci hanno atteso qualche giorno prima di esprimersi. Indecisi, hanno studiato le prime mosse, si sono affidati a rapidi commenti. Erano chiaramente combattuti tra il denigrare il neopresidente o usare le sue origini — come qualcuno ha fatto — per dire che forse «è uno di noi». Poi è arrivato il verdetto di Al Zawahiri, ancora una volta nel ruolo di custode di un'ortodossia qaedista messa sempre più in discussione.
E' solo un caso ma il messaggio coincide con una nuova — e annunciata — contestazione venuta dall'Egitto. Lo sceicco Fadhel, uno degli ideologi della Jihad, lo ha accusato di essere un codardo al soldo dei servizi segreti sudanesi e di aver danneggiato la causa musulmana. Un affronto doppiamente pesante perché viene dall'interno dell'arena integralista e da un uomo dal passato che non si può discutere. Contrasti che si sommano a un quadro militare con gli estremisti in difficoltà in Iraq e impegnati severamente in Afghanistan. Due conflitti gravi ma regionali.
Per Al Qaeda, in questa cornice, Obama è un pericoloso avversario, meno prevedibile rispetto a George Bush e deciso a rilanciare l'offensiva proprio nei santuari afghano-pachistani.
Per un movimento che tende a presentare la propria lotta come un atto di autodifesa l'emergere di una politica meno ideologica è una minaccia. Così come lo sono quanti nel mondo islamico, pur non bruciando d'amore per l'America, vogliono sottrarsi al ricatto dello scontro.
A Bin Laden piace «bianco o nero», le sfumature non si addicono a chi vuole dividere. Nell'insulto a quello che considerano uno «schiavo» c'è l'insicurezza di misurarsi con qualcosa di inedito, di sfumato anche se poi Obama potrà essere duro quanto il predecessore. Negli anni post-11 settembre hanno pesato tanto i comportamenti quanto la «tradizione orale» con gli islamisti abili nel vincere la guerra di propaganda. Obama può rovesciare questa trama.
Ecco perché i terroristi dovevano segnare questo momento. Se avessero potuto lo avrebbero fatto con una strage. In alternativa sono ricorsi alla sfida verbale. E Al Zawahiri ha sfoderato l'insulto razziale.
Un messaggio rivolto più ai suoi confusi guerrieri piuttosto che all'avversario. Non vi fidate — è il senso dell'appello — non abbiamo un vero afro-americano bensì un «negro di casa». Docile, mansueto, che non vuol cambiare le cose.
Posizioni che non sono prerogative degli islamisti, ma trovano accoglienza anche in ambienti occidentali, dove Obama è presentato come il burattino in mano «alle solite lobby». Una visione che mescola cinismo, pregiudizio e razzismo.
Al Zawahiri insiste su quest'ultimo tasto perché non può fare altrimenti. Al Qaeda si nutre di odio e spera che il nemico cada, come è avvenuto troppo spesso in questi anni, nelle sue trappole.

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