Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Sfida tra laici e ortodossi alle elezioni municipali di Gerusalemme ma la sinistra israeliana, contrariamente a quanto pensa Alberto Stabile, appoggia il candidato ortodosso
Testata:La Repubblica - Il Foglio Autore: Alberto Stabile - la redazione Titolo: «Il miliardario laico e l'ultraortodosso sfida per il cuore di Gerusalemme -Gerusalemme. I sondaggi lo danno vincente, ma è proprio quello a intimorire Nir Barkat, l’imprenditore laico che – se le rilevazioni non mentono – stasera diventerà il nuovo sindac»
Sapremo domani se Gerusalemme avrà o un sindaco laico, dopo anni di dominio politico da parte degli ortodossi.
La REPUBBLICA dell'11 novembre 2008 pubblica a pagina 17 un articolo di Alberto Stabile sulle elezioni municipali della capitale di Israele, "Il miliardario laico e l'ultraortodosso sfida per il cuore di Gerusalemme". Sostiene Stabile che la sinistra israeliana sarebbe schierata con il candidato laico e sionista Nir Barkat, contro quello ortodosso, Meir Porush. In realtà, venerdì 7 novembre il quotidiano Ha'aretz, influente voce della sinistra intellettuale israeliana, si è schierato con Porush, contribuendo probabilmente a spostare dei voti in suo favore. Il corrispondente di REPUBBLICA non se ne è evidentemente accorto.
Ecco il testo dell'articolo:
GERUSALEMME - A prima vista sembra il trionfo dell´antipolitica. In realtà le elezioni amministrative che si tengono oggi in quasi tutte le grandi città israeliane costituiscono il banco di prova dei maggiori partiti in vista delle elezioni generali fissate per il prossimo 10 febbraio. Perché dagli esiti del voto che vedrà oggi mobilitati oltre 4 milioni e 700 mila cittadini, 639 candidati sindaci e 1597 liste dipende il controllo del territorio e la possibilità per ciascuno dei grandi contendenti di «arruolare» in futuro il maggior numero di sostenitori. Detto questo, bisogna aggiungere che mai come quest´anno le maggiori formazioni politiche sono sembrate, estranee, indifferenti alla dimensione locale dello scontro. E questo per due motivi. Uno, economico: soldi da spendere i partiti ne hanno pochi e hanno deciso di riservarli alla lunga campagna elettorale che culminerà a febbraio. L´altro motivo è la diretta conseguenza del sistema politico basato sulle primarie, in virtù del quale sono scomparse le "sezioni locali" dei partiti per far posto agli "elenchi dei cittadini elettori". Il che però non significa che non si facciano accordi sottobanco tra i vari gruppi. Si spiega così che, per esempio, a Gerusalemme, la sinistra non abbia un proprio candidato sindaco, ma sia il Partito laburista che Meretz, le due bandiere in crisi della socialdemocrazia israeliana, chiedano più o meno nascostamente al proprio elettorato di appoggiare la candidatura di Nir Barkat, un miliardario, indipendente, che ha volteggiato lungo tutto l´arco politico prima di elaborare una propria piattaforma nazionalista, di destra. Perché a Gerusalemme, diversamente che a Tel Aviv, ad Haifa o a Ber Sheva, lo scontro non è tra diversi programmi di sviluppo della città ma tra l´elettorato strettamente ultra-ortodosso, che costituisce un terzo della popolazione, e quello laico, o religioso ma con una connotazione liberale. E poiché Barkat è un laico, la sinistra ha deciso di appoggiarlo anche se vuole ampliare gli insediamenti ebraici sorti nella zona araba e, per alleggerire il traffico, ha in mente di costruire un tunnel sotto il Monte Sion che provocherebbe molto probabilmente una terza intifada. Il grande oppositore di Barkat è l´attuale vice sindaco, Meir Porush, deputato alla Knesset nelle fila del Partito della Torà Unita, il partito degli ebrei ultraortodossi ashkenaziti. Il viso avvolto in una gigantesca barba bianca, l´immagine di Porush, ancorché bonaria, è l´antitesi della modernità. Discendente da una famiglia gerosolimitana che vanta tre generazioni di politici e amministratori, Purush pur appartenendo alla teocrazia cittadina, ha fama di moderato, rispettoso dello status quo. In veste di outsider, concorre anche l´oligarca russo-israeliano Arkadi Gaydamak, nei guai con la giustizia francese per un presunto traffico d´armi. Gaydamak, che si dice abbia sofferto notevoli perdite dal collasso finanziario di Wall Street, ha corteggiato l´elettorato arabo di Gerusalemme est (oltre duecentomila abitanti) arrivando a promettere anche la cessazione delle demolizioni delle case abusive e un programma di sviluppo per i negletti quartieri arabi. Gaydamk ha riscosso la simpatia del premier palestinese, Salam Fayad ma, anche quest´anno, alla vigilia delle elezioni è arrivato l´ordine di non si sa bene quale comitato di al Fatah alla popolazione di Gerusalemme est di boicottare le elezioni.
Ecco la cronaca del FOGLIO, da pagina 2 dell'inserto (" A Gerusalemme /2" ):
Gerusalemme. I sondaggi lo danno vincente, ma è proprio quello a intimorire Nir Barkat, l’imprenditore laico che – se le rilevazioni non mentono – stasera diventerà il nuovo sindaco di Gerusalemme. Ci aveva provato anche cinque anni fa, Barkat. La sfida con Uri Lupolianski, il candidato ultraortodosso che alla fine lo staccò di nove punti alle urne, sulla carta era più complicata. Gli aspiranti sindaci che si richiamavano all’area laica erano molti più di oggi. Adesso sono due: il candidato della lista Foglia verde, Dan Birron, e il milionario di origini russe Arcadi Gaydamak. E’ il suo movimento, Giustizia sociale, la vera incognita di questa tornata elettorale: se, come lui spera, dovesse riuscire a far convergere sulla sua candidatura parte dell’elettorato laico della capitale, il sogno di Barkat potrebbe infrangersi per la seconda volta. Barkat lo sa e nella sua campagna contro l’ultraortodosso Meir Porush, sostenuto dagli haredi di United Torah Judaism, ha cercato – soprattutto nelle ultime settimane – di ampliare la sua base di consenso. Visto che la sinistra laica era più o meno convintamente tutta con lui, ha rivolto i suoi sforzi verso destra, promettendo come il rivale che “Gerusalemme resterà unita” e andando pure oltre. Nemmeno Porush, infatti, se l’è sentita di annunciare un progetto come quello di Anata, un sobborgo di Gerusalemme est, dove Barkat ha promesso la prossima costruzione di “un nuovo quartiere ebraico per giovani coppie e studenti” in mezzo ai principali insediamenti arabi della capitale. La mossa ha portato a Barkat il sostegno di alcuni rabbini influenti (ma i più sono rimasti legati a Porush), come Moshe Loewenthal, capo della numerosa comunità di Har Nof, il quale nei giorni scorsi ha spiegato ai suoi di preferire il candidato laico alle solite conventicole ultraortodosse più attente allo status quo che alla difesa dei diritti degli ebrei di Gerusalemme. Più o meno lo stesso ragionamento, uguale e contrario, che hanno fatto in molti a sinistra, dai socialdemocratici di Meretz agli editorialisti liberal di Haaretz: “Meglio un haredi responsabile che un falco laico di destra”, ha scritto il quotidiano israeliano di lingua inglese per giustificare l’inusuale endorsement al candidato sindaco ufficiale degli ultraortodossi. L’ortodossia in città Altrettanto paradossalmente, la preferenza del conservatore Jerusalem Post è invece andata a Barkat perché – spiegava un paio di giorni fa il giornale nell’editoriale di sostegno al candidato laico – “non si può dare il proprio voto a un partito che dice ai bambini di non fare il militare e che da cento anni si oppone all’idea dello stato ebraico perché ‘così vuole l’Onnipotente’”. In una situazione così confusa non c’è da stupirsi che anche i voti di Gaydamak (presumibilmente non molti) possano fare la differenza. I sondaggi dicono che Barkat dovrebbe raccogliere il 46 per cento delle preferenze, mentre Porush non dovrebbe andare oltre il 38. Con una differenza: l’elettorato ultraortodosso, che in larghissima parte rimarrà fedele al candidato di Utj, difficilmente diserta le urne; quello laico, speranza dell’imprenditore laico specializzato nell’hi-tech, da anni invece si distingue più che altro per il proprio assenteismo. Le ragioni di questo progressivo disinteresse per la politica dell’intellighenzia laica di Gerusalemme sono numerose. La principale, messa in luce anche da un sondaggio pubblicato ieri da tutti i giornali israeliani, è la tendenza a spostarsi a Tel Aviv in cerca di migliori opportunità culturali e lavorative. Lo studio, condotto dagli istituti The Marker e Ha’ir, dice infatti quel che un po’ tutti i candidati alla poltrona di sindaco andavano ripetendo da mesi: che Gerusalemme è una città che sta morendo e che, tra le principali quindici del paese, è di gran lunga quella in cui si vive peggio. Per questioni di sicurezza, certamente, ma anche per il clima di intolleranza che il prevalere delle fazioni ultraortodosse ha favorito negli anni: non a caso gli strappi alla regola della chiusura dei negozi al sabato, un tempo assai elastica, sono sempre più rari. Secondo il Jerusalem Post continuare ad affidare una città a un sindaco confessionale come sarebbe Meir Porush non farebbe che “accrescere l’impoverimento economico e culturale della capitale” per la quale la politica nazionale – eccetto i negoziati con i palestinesi – mostra sempre più disinteresse. Che Likud, Avoda e Kadima non abbiano presentato loro candidati alla guida della città, in questo senso, è indicativo. Come è indicativo che – mentre ieri Ehud Olmert ribadiva che “parte di Gerusalemme debba essere ceduta” – nella capitale a sfidarsi c’è un super ricco che vorrebbe allargarla e un rabbino che lascerebbe volentieri tutto com’è.