Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Testata:Il Foglio - Il Giornale - Il Giorno - Informazione Corretta Autore: David Frum - Alan Dershowitz - Maria Giovanna Maglie - Andrew Breitbart - la redazione - Danielle Sussmann Titolo: «No Party - E’ meglio un liberal a difendere Israele - Grazie Mr President - Hamas non si schiera due opzioni terribili - La vittoria di Obama: la gioia di oggi, i dolori di domani»
Il FOGLIOdel 5 novembre 2008 pubblica un'analisi degli errori della campagna elettorale di John McCain, di David Frum:
Il presidente del paese era estremamente impopolare. Il suo partito era martellato dagli scandali. L’economia era in pessimo stato, la disoccupazione aumentava e i sondaggi indicavano un preoccupante livello di pessimismo nell’opinione pubblica. Il partito di sinistra all’opposizione si era unito dietro a uno sfidante carismatico e affascinante: il primo candidato che non fosse il solito maschio bianco. Davvero, non sembrava esserci nessuna speranza. America 2008? No, Francia 2007. Il trionfo di Nicolas Sarkozy su Ségolène Royal offriva a John McCain un modello chiaro e semplice da attuare per il rinnovamento del partito. Come George W. Bush, il presidente francese uscente, Jacques Chirac, era estremamente impopolare. Come John McCain, Nicolas Sarkozy apparteneva al partito di Chirac. E sempre come John McCain, Sarkozy si era ripetutamente scontrato con Chirac durante gli anni della sua presidenza. A differenza di McCain, Sarkozy ha sfruttato la propria storia politica per presentarsi come la vera forza del cambiamento in Francia. E ci è riuscito in due modi. Primo, ha offerto un’analisi semplice e chiara di cosa non andava in Francia e plausibili soluzioni per i problemi individuati. Secondo Sarkozy, l’economia francese era in difficoltà perché puniva il lavoro. Proponeva quindi una serie di importanti riforme, la più significativa delle quali era un taglio sui contributi sociali per ogni impiego che superasse le 35 ore di lavoro settimanali. Secondo, nei dibattiti con il candidato avversario, si è dimostrato più ferrato e più deciso sulle questioni che preoccupavano i francesi, comprese quelle considerate tabù dall’establishment francese, come la criminalità e l’immigrazione. I francesi sono stati convinti: il modo migliore per ottenere un vero cambiamento rispetto a Jacques Chirac era quello di votare per il candidato del partito di Jacques Chirac. Come dimostra questo esempio, il compito di McCain in queste elezioni non era affatto impossibile. Difficile sì; ma non certo impossibile. Se ora appare impossibile, la colpa è di McCain. E’ stato McCain a non saper offrire un coerente programma economico. E’ stato McCain a sostenere che i pilastri dell’economia erano “saldi” proprio nello stesso giorno in cui è crollata la Lehman Brothers. E’ stato Mc- Cain a non sapere difendere adeguatamente il proprio piano di assistenza sanitaria nei dibattiti diretti con Barack Obama. E’ stato McCain il responsabile di una campagna elettorale che ha privilegiato i colpi di scena e le tattiche anziché politica e strategia. Ma in realtà, nonostante i suoi gravi errori, non tutta la colpa può essere attribuita a McCain. E’ chiaro ormai da tempo, per esempio, che il lavoratore medio americano non ha tratto grandi vantaggi dall’economia di Bush. I salari reali sono ristagnati nel periodo 2000-2006, mentre i prezzi dei beni primari, come il cibo e la benzina, sono aumentati. Ma il partito repubblicano e il movimento conservatore hanno continuato a sostenere, malgrado l’evidenza dei fatti, che tutto andava bene, che l’economia era in ottimo stato e che ci pensava altrimenti era un “piagnucolone”. Se McCain avesse cercato di proporre una politica economica più innovativa non avrebbe mai ottenuto la candidatura repubblicana. Quando ha conquistato la nomination, si era ormai rinchiuso nell’eredità di Bush e non aveva più la possibilità di presentarsi come un Sarkozy. Allo stesso modo, se McCain avesse scelto come candidato alla vicepresidenza la persona che lui preferiva, alla convention di St. Paul si sarebbe ritrovato da solo. Eccessivamente legati alle vecchie politiche, i repubblicani non hanno saputo elaborare una nuova piattaforma per Mc- Cain. Ma che si fa quando una campagna elettorale basata sulla biografia del candidato risulta indietro nei sondaggi? Non rimane che attaccare l’avversario puntando il dito sulla sua biografia, molto meno eroica. Ed è proprio per questo che McCain ha finito per condurre la campagna più diffamatoria dell’epoca moderna. Ma questa tattica si è rivelata controproducente. Come Sarkozy, McCain aveva di fronte un avversario debole: un esponente della sinistra quasi completamente privo di esperienza. Ma, a differenza di Sarkozy, è stato McCain a sembrare meno calmo, meno freddo e meno deciso in ogni dibattito. McCain doveva convincere gli americani che Obama era la scelta più rischiosa. Ma alla fine della campagna elettorale, nonostante Bill Ayers, è stato Obama a conquistare il centro. A quanto pare, ci vorrà un altro candidato repubblicano – e un diverso Partito repubblicano – per riuscire a riconquistare il terreno perduto.
Sempre sul FOGLIO, Alan Dershowitz vede in Obama un sincero ed efficace sostenitore di Israele:
Ho iniziato la campagna elettorale sostenendo Hillary Clinton, il mio candidato preferito. Poi ho sostenuto Barack Obama, perché sarà un bene non soltanto per l’America ma anche per Israele e per il processo di pace arabo-israeliano. Non credo che i repubblicani abbiano davvero aiutato Israele. Mentre da un lato sono convinto che il cuore di George W. Bush sia sempre stato nel posto giusto, la realtà è che la guerra in Iraq è stato un disastro per Israele. Inoltre penso che la presidenza Obama aiuterà a riportare l’Europa su una posizione più a favore di Israele. L’elezione di un presidente liberal, progressista, pro Israele e nero manderà un messaggio molto potente all’Europa. Obama ha espresso un sostegno forte a Israele, al sionismo, alla soluzione dei due stati e al diritto dello stato ebraico a difendersi. Prima del tour europeo, a luglio il candidato democratico ha deciso di visitare Gerusalemme, dove è stato accolto con entusiasmo. E durante quel viaggio, incontrando leader israeliani e palestinesi, ha promesso l’impegno della sua presidenza nel processo di pace. Con Hamas, ha detto, non si tratta. Poi è contro il possesso di armi nucleari da parte dell’Iran. Preferisco vedere queste posizioni sostenute da un liberal piuttosto che da un altro conservatore. Alan Dershowitz (testo raccolto da Amy Rosenthal)
Sul GIORNALE Maria Giovanna Maglie è chiaramente perplessa sulla futura politica estera di Obama. auspica che ignori i cattivi consigli dei pacifisti, con l'evidente timore che gfaccia il contrario:
Signor Presidente, sempre sperando di essere fornita del necessario senso della realtà, dunque nella consapevolezza che a lei poco cale di quel che si chiacchiera e si pontifica da queste parti a proposito delle sue elezioni, qualche ruolo alla vecchia e depressa Europa le toccherà pur dare, e fingere o decidere, di ascoltare.
Tutti si sono appassionati alla campagna elettorale più lunga, ventuno mesi, e secondo me più noiosa della storia contemporanea degli Usa. Non solo ventuno mesi non servono, creano solo equivoci. Io sono mezza americana, per scelta ideale, esperienza di vita e lavoro, amore profondo per la vostra libertà, rispetto per la tempra d'acciaio della vostra democrazia; ho un po' di esperienza dello scorpione mediorientale, provo saturazione sufficiente per l'antiamericanismo peloso d'Europa, insomma sarei un buon consigliere. Potrebbe assumermi, e si troverebbe discretamente.
Non ascolti, mi raccomando, le prediche del pacifismo, gli sventolatori di bandiere arcobaleno, i piagnoni dei diritti civili che si lamentano solo quando la prigione è quella sacrosanta di Guantanamo, non quando è quella infame di Evin, Teheran, dove la gente sparisce per sempre. A proposito di Evin, le segnalo che una cittadina americana è in isolamento da due settimane con un pretesto volgare, altro che libere visite di avvocati. Sono certa che ne esigerà l'immediata liberazione e la farà rientrare negli Stati Uniti.
Tiri dritto, la prego, abbia il coraggio di continuare la guerra al terrorismo. Lei certo non crede alle monumentali sciocchezze dei buffoni, eletti ad artisti da premio Oscar, alla Michael Moore, ci mancherebbe, o gli elettori non l'avrebbero scelta. Ieri sera ho rivisto qualche brano sparso del suo filmaccio sull'11 Settembre, e ancora una volta mi sono indignata e ho sofferto per l'offesa ai morti, agli eroi di quel giorno maledetto, agli esseri umani che andavano a lavorare, che avevano preso un aereo, attaccati e massacrati in tempo di pace. L'America non si batte, eppure per qualche settimana a noi, ospiti per metà, per metà cittadini, parve che la depressione, la paura, le luci spente di Broadway ci avrebbero, vi avrebbero, sovrastato. Sbagliavamo a deprimerci, per fortuna.
Il presidente degli Stati Uniti non dimentica mai il peso e la ferita di quel giorno, altrimenti non sarebbe il comandante in capo, non ne sarebbe degno. Non ritira vilmente le truppe dall'Irak, dando dignità alle calunnie sull'operato della Casa Bianca, al contrario continua nell'opera intrapresa dal generale Petraeus, chiede conto all'Europa del suo disimpegno e del suo scetticismo, chiede un impegno rinnovato per terminare l'opera di ricostruzione di quel povero Paese. L’Irak non è stato occupato in nome del petrolio, a George W. Bush va restituito l'onore di quella decisione coraggiosa, anche se sui tempi e i sacrifici che sarebbe costata ha sbagliato, e lo sta pagando anche troppo caro. La sconfitta di Saddam Hussein ha spezzato un ciclo nel quale il terrorismo si sentiva protagonista di un'offensiva senza contrasti.
Non basta, restano il pericolo micidiale dell'Iran e della Siria. Asse del male era, asse del male resta, anche se ha perso un pezzo importante. Alle volte un bel bombardamento su qualche obiettivo strategico, scelto con attenzione, ottiene risultati inaspettati, pazienza se le costerà qualcosa nel consenso dei pavidi.
Israele deve restare il suo punto di riferimento, perché è come un diamante nella roccia, spesso difficile da amare, ma sempre degno di essere amato. È il nostro avamposto, l'Occidente che presidia il mondo arabo. Che qualche moderato ce l'ha sul serio, come lo straordinario re del Marocco, uno che è discendente diretto di Maometto, eppure ha avuto il coraggio di togliere il velo dai libri di scuola e dagli uffici pubblici, di chiudere le moschee dove si fa scuola di terrorismo, di eliminare la preghiera che diventa scusa per non lavorare. L'Iran cerca di farlo fuori, glielo avranno detto.
Infine, la prego, si guardi da quel carrozzone malefico e antisemita che si chiama Onu. Ha combinato fin troppi guai negli ultimi anni. Grazie per la sua attenzione.
Il GIORNALE pubblica anche a pagina 11 un articolo di Andrew Breitbart, ripreso dal quotidiano The WashingtonTimes, che difende l'eredità politca dell'amministrazione Bush, che ha rafforzato la democrazia nel mondo.
Agli articoli di corretta informazione pubblicati dall'edizione cartacea del quotidiano, fa da contraltare, purtroppo, qualche svarione sul sito web.
Nell'articolo "Pioggia di razzi da Gaza contro Israele", si legge di "soldati di Tel Aviv". La capitale di Israele, ricordiamo, è Gerusalemme.
Segnaliamo anche dal GIORNO l'articolo "Hamas non si schiera: due opzioni terribili". E' il commento alle elezioni americane del portavoce di Hamas, Fawzi Barhoom. Speriamo abbia ragione lui.
Pessimista sulla politica di Obama è il commento scritto da Danielle Sussmann per Informazione Corretta:
Anselma Dall’Olio, al tg1, ha affermato di aver votato per Obama perché ha imparato dalla madre a votare l’alternanza. Poco credibile. La realtà è molto più concreta. Nel 2004, ancor prima del voto, sapevo che avrebbe vinto di nuovo ed in larga maggioranza Bush, malgrado i sondaggi favorevoli a Kerry. Un conoscente del Texas (con cui ero in contatto allora), addentro al sistema elettorale, conosceva il preciso numero delle schede elettorali a favore di Bush – le schede, negli Stati Uniti, vengono richieste dall’elettore a seconda della sua preferenza – per cui esortava a non dare retta ai sondaggi e ai media, soprattutto, italiani. Sono andata a dormire alle 4 del mattino, sull’onda della vittoria di Obama sul 14% di schede spogliate negli Stati che contavano. Di fatto, sia Anselma Dall’Olio che i presenti nello studio ed in diretta sapevano già che il vincitore era Obama. McCain si è prodigato fino all’ultimo, per assicurarsi una continuità e legittimità futura anche a favore dei suoi eredi politici. La vittoria plebiscitaria di Obama dimostra l’insussistenza della surreale ipotesi/sorpresa fondata su elettori Democratici che non sarebbero più andati a votare per Obama a causa dei dubbi provocati dagli ultimi interventi di McCain. La crisi economica è sì il fattore scatenante della vittoria di Obama, ma per le cause taciute, non per quelle note. Attribuita in toto, erroneamente, all’amministrazione Bush – mentre è dovuta a speculazioni al ribasso, all’inside trading e agli speculativi Hegde Funds (ad altissimo rischio, peraltro) che hanno fatto la fortuna di George Soros con cui ha abbattuto le economie di sei Stati negli anni ’90, assicurando tra l’altro la doppia presidenza Clinton – è stata una cinica strategia elettorale sulla quale è stato fondato il successo del voto Democratico. Troppo tardi se ne sono accorti in casa Repubblicana, questo è il più grave peccato dell’amministrazione Bush. Forse, i Repubblicani, rigorosamente fedeli ai principi dei Padri Fondatori, non hanno voluto credere che si arrivasse all’uso di una politica finanziaria suicida negli Stati Uniti sull’onda dei disastri speculativi alle Borse estere degli anni ‘90. L’affondo è arrivato proprio mentre la stella di McCain era in netta ascesa. Troppo tardi, e a danno fatto, è arrivata la determinazione a voler cambiare il sistema liberista delle piazze finanziarie. E’ evidente che alcuni grandi capitali e la MidClass di casa Repubblicana hanno sacrificato McCain a causa di questo grave errore dell’amministrazione Bush che andava regolato al primo mandato. Malgrado McCain abbia avuto un ruolo rilevante nel fallimento dell’ormai illecita Lehman Brothers, dimostrando così la sua ferma intenzione di stabilire regole etiche e di trasparenza nel mercato borsistico, non gli è stata data fiducia, perché con la crisi economica aumentava l’elaborazione mediatica mitizzante e salvifica di Obama. Di Obama conosciamo l’inesperienza in tutti i campi, perché da Governatore ha lavorato solo un anno. L’unico dato concreto del suo impegno ci viene dal suo voto contrario al Senato sulla risoluzione che intendeva annoverare la Guardia Repubblicana Iraniana tra le organizzazioni terroristiche. Sommato alle sue dichiarazioni in campagna elettorale sulla sua disponibilità a voler incontrare Ahmadinejad – poi ritrattato a favore di moderati (sic) iraniani – senza pre-condizioni, abbiamo la direzione nella quale intende muoversi il neo presidente. Sull’impreparazione di Obama, viene replicato che Obama ha dei consiglieri eccezionali. Chi sono? Sono i guru che scatenano da decenni i campus universitari e l’intelligentia dell’élite Democratica nell’odio viscerale ad Israele. Sono Carter e Brezinsky. Di fatto, è il loro ritorno. Sono loro che tirano le fila dei grandi quotidiani Liberal che dominano il pensiero radical chic europeo filo arabo. La Borsa stamani risponde male alla vittoria di Obama, dopo due giorni in ottima tendenza. E’ un brutto segnale che va nel senso del detto: “chi di spada ferisce, di spada perisce”? Tutto farebbe pensare che i Repubblicani impediranno alla “sporca” vittoria elettorale Democratica il decollo del trinomio Obama-Carter-Brezinsky in aggiunta ad un Congresso a maggioranza Democratica, costringendoli a scendere a pragmatiche alleanze. Attendo faville anche dai Clinton. Barack, il Benedetto, viene salutato festosamente dalle folle musulmane e terzomondiste. Così abbiamo, che coincidenza!, due Benedetti ai più alti vertici nello stesso periodo temporale. Obama si insedierà alla Casa Bianca il prossimo gennaio 2009. Nel frattempo, sarà presente al primo grande appuntamento internazionale: il G-8 insieme a Bush. Vi parteciperà poi Bush, considerata la posizione di appeasement di Obama verso la Russia? Che faranno i generali USA che ancora guidano sul terreno l’esercito in Afghanistan ed in Iraq? Intanto. Israele ieri ha condotto un raid a Gaza, uccidendo sei palestinesi di Hamas, per distruggere un tunnel – non per il contrabbando d’armi, basti vedere il luogo – scavato per la continuativa strategia di rapimento di soldati israeliani al confine. Tra stanotte e stamani, una pioggia di razzi (20) da Gaza contro Sderot e Ashkelon ha salutato la vittoria di Obama. Nessun ferito per fortuna, ma choc tra i residenti. Dopo due anni di silenzio, ieri si è fatto risentire Mohammed Deif il leader del braccio armato di Hamas, il pluriricercato terrorista responsabile della strage di decine di israeliani, incitando a continuare la guerra di distruzione di Israele. L’Iran, oggi, ha denunciato la presenza di elicotteri americani troppo vicini al suo confine. Da due giorni Hitzballah si dichiara contraria ai confini della Linea Blu tracciata dalle Nazioni Unite dopo il ritiro unilaterale di Israele dal Libano ed accettato, va sottolineato, all’unamità dai paesi confinanti. Improvvisamente, ieri, il Bahrein ha detto di voler ripristinare l’ufficio del boicottaggio contro Israle. Eccome, se costoro sapevano della vittoria di Obama! Quanti capitali arabi ed islamici hanno concorso alla crisi economica americana per far eleggere Obama?! Il prossimo aprile vedrà l’onta di Durban 2, da cui fin’ora si sono astenuti gli Stati Uniti insieme ad Israele ed al Canada. Se la vittoria di McCain era proiettata ad un periodo difficile da risolvere, i tempi di Obama si pronosticano terribili. Il peggio è già in atto, il prevedibile lo pagheremo tutto noi europei e pare anche l’Asia: sia economicamente che per un aumento conflittuale nel Mediterraneo, se non addirittura una guerra con effetto domino. Sempre che non accada il miracolo di un risveglio tempista americano e di uno storico ribaltamento anche da parte di un elettorato tradito. Intanto, le nostre piazze mediatiche e politiche esultano da stanotte per il populista Benedetto messia dell’islam, dei suoi amici e dei parassiti. E sempre più ci accorgiamo di quale danno esercitino i media grazie all’ignoranza, ormai inconsapevole, delle masse.
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