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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Giornale - La Repubblica Rassegna Stampa
27.10.2008 Tzipi Livni ha rinunciato a formare il governo, elezioni in Israele il 17 febbraio
le cronache e le analisi di Davide Frattini, R.A. Segre e Amon Rubistein

Testata:Corriere della Sera - Il Giornale - La Repubblica
Autore: Davide Frattini - R.A. Segre - Alberto Stabile
Titolo: «Livni getta la spugna: «Basta ricatti» Elezioni in Israele il 17 febbraio - Il gran rifiuto del rabbino Ovadia lancia la corsa di Netanyahu - Gerusalemme, Tzipi Livni getta la spugna e Olmert torna in sella fino al voto - L´unica scelta da fare per uscir»

Dai quotidiani del 27 ottobre 2008, alcuni articoli sulla situazione politica interna in Israele.

Di seguito, dal CORRIERE della SERA, la cronaca di Davide Frattini:


GERUSALEMME — «Ci sono prezzi che possono essere pagati, ci sono prezzi che altri sono disposti a pagare. Io non sono pronta a farlo a spese del Paese, per diventare primo ministro ». Tzipi Livni ha chiuso i tentativi di formare una coalizione e ha aperto la campagna elettorale. Ieri pomeriggio si è incontrata con Shimon Peres, il presidente israeliano, ha ammesso il fallimento e ha chiesto di indire il voto anticipato al più presto. «Le elezioni non sono una tragedia», ha commentato Peres, che nei prossimi giorni si consulterà con i leader di partito per capire le loro posizioni.
Gli analisti politici hanno fissato come data probabile il 17 febbraio dell'anno prossimo. Fino ad allora Ehud Olmert, il premier dimissionario, coinvolto in uno scandalo per corruzione, resterebbe in carica. «Speriamo che il governo israeliano voglia mantenere vivo il processo di pace», ha commentato Saeb Erekat, consigliere di Abu Mazen. Il presidente palestinese ha continuato a incontrare Olmert in queste settimane e Condoleezza Rice, segretario di Stato americano, aveva detto di sperare ancora in un'intesa per la fine dell'anno.
Dopo l'annuncio, Livni si è presentata in televisione con gli slogan e la strategia che userà per convincere gli elettori. «La gente è stanca dei mercanteggiamenti politici. Quella dello Shas era estorsione. Se avessi pensato che ci fosse stata la possibilità di raggiungere un accordo usando più tempo, sarei andata avanti. Ma continuare avrebbe solo allungato il periodo di incertezza».
Il ministro degli Esteri si è presentata come la donna di principi: «Il premier è eletto per fare gli interessi dello Stato. Chiunque sia pronto a svendersi per ottenere quella carica non la merita».
Dopo il no dello Shas, Livni aveva tentato la strada di una coalizione ristretta (con i laburisti, i Pensionati, Meretz) e l'appoggio esterno dei partiti arabi. In ogni caso, Ehud Barak non sarebbe stato favorevole a un governo con il voto di solo 63 deputati (61 è il minimo necessario per sopravvivere). Anche Shaul Mofaz, arrivato secondo alle primarie di Kadima, non avrebbe sostenuto l'idea di una squadra risicata.
Lo Shas è stato attaccato dai commentatori, di destra e di sinistra. «Qualunque persona sia interessata al bene del Paese — scrive Sima Kadmon su
Yedioth Ahronoth — deve sperare che tra i partiti del prossimo governo non figurino gli ultraortodossi. Perché se c'è un Dio o almeno giustizia, questa volta devono pagare un prezzo».

E l'analisi di Frattini sul ruolo del partito religioso Shas:

GERUSALEMME — Un rabbino di 88 anni, il consiglio dei saggi della Torah e 350 milioni (in shekels, poco più di 70 mila euro) da negoziare. Venerdì, prima del tramonto di Shabbat e del tramonto sulle trattative, i leader del partito ultraortodosso Shas hanno chiamato Tzipi Livni, dalla casa di Ovadia Yosef, il capo spirituale. Volevano capire se quella differenza negli aiuti alle famiglie si poteva colmare e soprattutto ricevere una promessa: Gerusalemme non verrà mai divisa, neppure in un futuro accordo con i palestinesi. I politici discutevano ancora, il rabbino Yosef aveva già preso la sua decisione: «Sembra che il Santo, Benedetto Egli Sia, le ha indurito il cuore. Vuol dire che non entreremo nel governo».
Il cuore indurito è quello che alcuni alleati di Kadima adesso chiamano intransigenza eccessiva. Eppure l'ex avvocato e agente del Mossad ha scelto di lanciare un ultimatum e di darsi ancora 48 ore — avrebbe avuto una decina di giorni — perché è convinta di poter battere Benjamin Netanyahu. Soprattutto se fra tre mesi avrà mantenuto l'immagine pulita e non corrotta che si è costruita durante le primarie che l'hanno portata alla guida di Kadima. Il sondaggista Kalman Geyer l'ha rassicurata. «Posso battere Bibi», ripete lei.
Netanyahu è accusato dai consiglieri del ministro degli Esteri di aver comprato in anticipo l'appoggio dello Shas. Il leader del Likud avrebbe promesso ai religiosi le sovvenzioni che lui stesso aveva tagliato, quand'era ministro delle Finanze con Ariel Sharon. «Tre politici hanno giocato bene nelle scorse settimane — commenta Ben Caspit su Maariv —. Netanyahu, Eli Yishai, presidente dello Shas, e Shaul Mofaz, battuto da Livni alle primarie di Kadima. Bibi ha dimostrato calma stoica, ha imparato le lezioni del passato e ha lottato per impedire che Tzipi formasse un governo o Ehud Olmert portasse avanti i negoziati con i palestinesi».
Caspit è convinto che Mofaz finga di cooperare con la compagna di partito, in realtà stia lavorando per sé. «Staremo a vedere se nei prossimi giorni — continua l'analista — non salta fuori qualcuno con una lista di sessantuno deputati pronti a votare Mofaz. Dodici del Likud, Avigdor Lieberman (la destra ultranazionalista, ndr), qualcuno tra i Pensionati, da otto a dieci parlamentari di Kadima. Chiunque voglia fermare Olmert dal firmare una "svendita- trattato di pace"».
Il più preoccupato sembra essere Ehud Barak. I laburisti rischiano di diventare il terzo o quarto partito e perdere il ruolo di formazione leader dell'opposizione. Il soldato più decorato della storia d'Israele è accusato dai suoi di aver sbagliato strategia. Avrebbe tirato troppo in lungo i negoziati con Livni, prima di accettare l'accordo di coalizione, sprecando tempo prezioso.
Chi non si sarebbe aspettato di aprire oggi la sessione invernale della Knesset è Ehud Olmert. Da primo ministro a pieno titolo. I biglietti d'invito, con la scaletta del programma, erano stati stampati senza nomi, solo le cariche. Il premier dimissionario, coinvolto in uno scandalo per corruzione, dovrebbe rimanere al suo posto fino alle elezioni. E i suoi consiglieri hanno fatto sapere che intende spingere perché le trattative con i palestinesi e quelle indirette con la Siria vadano avanti.

R.A Segre, nella sua analisi pubblicata dal GIORNALE, sostiene che la rinuncia di Tzipi Livni rafforzi fino alle elezioni il ruolo del premier in carica Olmert:

Alle 14 ora israeliana, dopo la riunione settimanale del governo presieduta dal premier dimissionario Olmert, il suo ministro degli esteri Tzipi Livni, leader del partito Kadima si è recata dal presidente Shimon Peres per restituirgli il mandato di costituire un nuovo governo. Teoricamente - ma improbabilmente - Peres dispone di 48 ore per dare l’incarico ad un’altra personalità politica. Di conseguenza, come del resto preannunciato dalla Livni stessa, l’elettorato sarà chiamato entro tre mesi a votare per una nuova legislatura.
A questo punto tre sono le questioni che si pongono. La prima è che Olmert resta per ancora alcuni mesi alla testa di una coalizione frantumata con pieni poteri e senza il controllo del Parlamento. Era quello a cui mirava quando tre mesi fa Barak, capo del partito laburista, lo aveva obbligato a dare le dimissioni da leader di Kadima. Abile politico, accusato di corruzione ad oggi non provata ma diventato capro espiatorio per gli errori dei suoi predecessori a causa della mancata vittoria contro Hezbollah nella seconda guerra del Libano, è riuscito (come spesso spiegato da questo giornale) a ottenere il tempo per tentare di portare a buon fine negoziati che potrebbero giustificarlo - se non davanti agli elettori - almeno davanti la storia. Non è detto che non ci riesca raggiungendo un accordo di principio con il presidente palestinese Abbas e dopo le elezioni presidenziali americane con la Siria. Le sue recenti dichiarazioni in favore del ritorno di Israele alle frontiere del 1967 con qualche scambio territoriale e con un sito a Gerusalemme per installarvi la capitale di uno stato palestinese con frontiere ancora non definite sono altrettanti «messaggi al nemico». Messaggi di cui il prossimo governo dovrà tener conto anche se Olmert lasciasse definitivamente la politica.
La seconda questione concerno il futuro politico della signora Livni. Prima donna ad ambire il ruolo che prima di lei solo Golda Meir aveva osato assumere, il fallimento del mandato governativo non è un successo per questa avvocatessa che all’infuori della sua fama di incorruttibilità non vanta lunga esperienza politica. Deve ora affrontare la concorrenza all’interno del suo partito dell’ex ministro della difesa di Sharon, Mofaz, più accetto ai coloni e agli israeliani di origine orientale. Rifiutando di piegarsi al ricatto dei religiosi ortodossi ha allargato il suo sostegno nell'elettorato laico diviso però fra destra e sinistra dalla questione di Gerusalemme .
Sulla terza questione , vitale per Israele nessuno ha controllo: dipende da chi sarà il presidente degli Stati Uniti; dall’impatto della recessione mondiale sull'economia locale; e da come interpreteranno e cercheranno di sfruttare queste elezioni Hamas a Gaza, Hezbollah nel Libano e la Siria. Solo una cosa è certa in esse si parlerà molto del pericolo nucleare dell’Iran ma non si farà nulla contro di esso.

Intervistato da Alberto Stabile per La REPUBBLICA 
Amon Rubistein, "politilogo, giurista, fondatore del partito liberale Shinui" sostiene l'inevitabilità della scelta di Livni: 

GERUSALEMME - Tzipi Livni è stata precipitosa nel gettare la spugna o era impossibile anche in questo caso sottrarsi al destino delle elezioni anticipate che sistematicamente ricorre nella vita politica israeliana da vent´anni a questa parte? Amon Rubistein, politilogo, giurista, fondatore del partito liberale Shinui non ha dubbi: «Non c´era scampo - dice al telefono - da questa difficile decisione, a meno di mettere in discussione il futuro del paese».
Si spieghi meglio...
«In primo luogo il partito ultraortodosso sefardita Shas, che rappresenta il 10% della Knesset, aveva la pretesa di cambiare totalmente il bilancio dello Stato, contrariamente alla regola secondo cui la maggioranza deve governare. Volevano rimettere in bilancio gli assegni famigliari maggiorati per le famiglie numerose ed è provato che questo provoca un forte aumento della povertà in Israele. Incrementare il numero delle persone che non lavorano equivale a provocare l´aumento dei poveri e questa è una cosa inaccettabile, che mette in pericolo il nostro futuro».
Lei pensa che Tzipi Livni abbia fatto degli errori e quale può essere adesso lo sbocco della crisi?
«Ho sentito, ma ritengo che in un sistema democratico non avessimo altra scelta se non nuove elezioni. Si deve ricordare che Kadima si è presentato sulla scena politica guidato da Sharon e con un programma di disimpegno unilaterale da Gaza. Oggi sia Sharon sia il disimpegno non ci sono più, mentre il Labor si è presentato alle elezioni con la leadership di Amir Perez e non quella dell´attuale leader Ehud Barak. Ritengo sarebbe opportuno un governo formato da Likud, Labor e Kadima, tutti insieme».
Lei non teme che i tre partiti si paralizzino a vicenda?
«Oggi hanno molto più cose in comune di una volta, quando in effetti Labor e Likud si paralizzavano a vicenda. Penso che anche il Likud sia stato costretto ad accettare la formula di due Stati per due popoli. Il sogno di uno Stato d´Israele dal mare al Giordano è un sogno vano».

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