Testata: L'Opinione Data: 09 settembre 2008 Pagina: 0 Autore: Dimitri Buffa Titolo: «Il ritratto della Tunisia di oggi»
Da L'OPINIONE del 9 settembre 2008:
“Italia au maut”. “Italia o morte”. Non si tratta della riedizione riveduta e scorretta di uno slogan del risorgimento mazzinian-garibaldino. Questo motto lo urlano oggi i ragazzi tunisini. Disperati per la mancanza di prospettive e di lavoro, in un paese che pure cresce al ritmo del 5% annuo a livello di pil, ma che difficilmente riesce a redistribuire questa ricchezza in massima parte dovuta ai massicci investimenti provenienti dal Dubai e dagli Emirati Arabi Uniti. Soldi che sono attirati dal particolare regime di favore fiscale accordato agli arabi ricchi dal governo di Ben Alì, attuale padre padrone della Tunisia, già delfino del predecessore Habib Bourghiba, da lui deposto nel 1989, il 7 novembre, con l’aiuto dei servizi segreti italiani e americani. Un golpe bianco approntato perché Bourghiba era vecchio e malato e perché si temeva che gli estremisti islamici alla Gannouchi potessero prendere il potere. Il regime di Ben Alì, pur non potendo definirsi democratico secondo uno standard europeo e occidentale, e pur avendo avuto qualche menzione al demerito per avere violato i diritti umani di alcuni terroristi islamici ed estremisti dei Fratelli Mussulmani, è sicuramente il più libero di tutto il Nord Africa a pari merito solo con quello marocchino. L’uno e l’altro sono due stati di polizia, nel senso che ci sono moltissime “aras”, cioè guardie, per strada e questo è dovuto alla ragionevole paura del contagio salafita algerino e alla non entusiasmante situazione generale del mondo arabo.
Si diceva degli investimenti dei paesi arabi più ricchi: portano un po’ di lavoro stagionale o pluriennale ai giovani tunisini ma di certo la ricchezza che entra finisce nelle tantissime banche (Tunisi ne è piena come dei propri gatti randagi bellissimi) e non viene redistribuita tra la popolazione. Se non in minima parte. Per questo i giovani vorrebbero emigrare e Ben Alì cerca di convincerli, se proprio lo devono fare, a dirigersi verso l’Europa. Per altro avere visti per viaggiare è un miraggio e la gioventù tunisina vede l’Italia attraverso la lente delle televisioni Rai e Mediaset nonché tramite la conoscenza dei tanti turisti nostrani che con pochi soldi fanno vacanze bellissime in un paese paradisiaco dove c’è tutto: il deserto, il mare, la montagna, le zone termali, la città cosmopolita, i monumenti dei Fenici che costruirono Cartagine. La vita è bella e a buon mercato per gli europei a Tunisi. Ma è ancora più meravigliosa nel sud, in quella che loro chiamano “Al Tunus al amiqa”, la Tunisi profonda, cioè nella “Ouat” (oasi) del deserto sahariano tunisino, da Douz a Thouzeur, da Sabiria a Tataouine. Quasi ogni albergo di Tunisi organizza per pochi dinari escursioni nel deserto dove è possibile dormire in tenda, vedere le stelle cadenti che sembrano fuochi d’artificio, viaggiare a dorso di cammello o con la “carritta” trainata dall’asino e svegliarsi la mattina mentre il cammelliere impasta il pane e lo cuoce sotto la sabbia (“hubs al mella”).
A proposito di moneta locale, un dinaro è circa seicento centesimi di euro e un pasto in un buon ristorante non supera i venti dinari a testa. Poi i turisti possono andare da una parte all’altra non solo di Tunisi ma anche di tutta la Tunisia semplicemente prendendo un taxi. Che per tragitti entro i 40 chilometri non prende più di dieci dinari. E per i tragitti extra cittadini ci sono anche i taxi collettivi dove in cinque o sei pagando cinque dinari a testa si può andare a Bizerta piuttosto che a Cairuan, Sfax, Douz eccetera. Ciò nonostante i giovani tunisini sognano l’Italia “atta al maut”, fino alla morte e per andarci non esitano a farsi imbarcare dai trafficanti di uomini della vicina Libia, cosa che impensierisce non poco l’attuale capo di stato e il suo governo. Oltretutto nel 2009 ci saranno le elezioni libere e Ben Alì, dopo un iniziale rifiuto, ha “accettato” di candidarsi e “tutti lo ringraziano”, come ricordano le migliaia di cartelli a quasi ogni angolo di strada o di esercizio pubblico. Per non parlare dei giornali che per “tradizione” ogni giorno pubblicano la sua immagine in alto a sinistra, in apertura. Il suo partito, “al dusturi”, cioè la costituzione, è lo stesso con cui Bourghiba prese e tenne il potere per quasi 40 anni, dopo avere guidato le rivolte anti francesi degli anni ’50. Ben Alì è invece durato venti anni ma se sarà rieletto probabilmente se ne farà altrettanti, perché alternative anche democratiche non ne esistono e questo lo riconoscono anche i suoi nemici.
Cioè gli uomini dell’opposizione socialista e comunista che ironizzano sottovoce per le strade, come ai tempi del fascismo in Italia, su tutta la corte dei miracoli del raiss. A iniziare dalla moglie che da giovane faceva la “allaqa”, cioè la parrucchiera. La Tunisia vuole tanto essere occidentale e mediterranea ma il modello di sviluppo è ancora molto socialistoide, essendo stato questo paese per anni nell’orbita dei non allineati. Gli intellettuali più importanti hanno tutti studiato nei paesi dell’est e quelli attuali sono tutti un po’ impregnati di islamismo. Che in Tunisia non viene visto bene. Come non vengono visti bene gli ostentamenti di veli, burqa e altre cose del genere. In teoria la legge li proibisce negli uffici pubblici e nelle scuole, ma ultimamente si chiude un occhio. Peraltro la Università religiosa non è più dentro la storica moschea Zaituna (dell’olivo,ndr) dopo che proprio Bourghiba chiuse quel tipo di insegnamento coranico permettendo solo quello storico universitario. Bourghiba è anche l’uomo che ruppe per primo nel mondo arabo il tabù del mese di Ramadan bevendo davanti a fotografi e televisioni un “asir burtugal” (succo d’arancio e pronunciando la famosa frase secondo cui “durante il ramadan si deve continuare a vivere, produrre e lavorare”. E quindi chi non ce la faceva a stare fino al tramonto senza bere o mangiare poteva fare come lui.
Peraltro la Tunis Air, le linee aere tunisine che fanno dieci volte i profitti di Alitalia e che di certo non sono in perdita, a bordo durante il Ramadan servono anche gli alcolici a chi li chiede. Ultimamente Ben Alì ha benedetto la nascita di un nuovo canale radiofonico religioso, che proprio “Zaituna” come l’antica moschea “murlaqa” (chiusa) da Bourghiba si chiama. Questa radio trasmette l’esegesi del Corano autorizzata da Ben Alì, secondo il punto di vista dei moderati e insegna anche a salmodiarlo agli imam. Solo nel sud profondo del paese sono permesse alcune madrase religiose, che più che altro sono “zauie”, cioè conventi e dove, anche se sembra di trovarsi in Afghanistan per i vestiti indossati da uomini e donne, in realtà nessuno è fondamentalista ma semplicemente ognuno è attaccato alle tradizioni del deserto. D’altronde c’è chi dice che come l’arabo è la lingua dei sinonimi (“al arabya ya lurat al mutaraddifat”), così l’islam è “una fede nata nel deserto” (“Al Islam ya din al sahra”). Già perché Sahara vuol dire per l’appunto deserto e il governo centrale non è così ottuso da impedire a chi è nato e vissuto in quel posto di conservare le proprie tradizioni religiose ed esistenziali. Paradossalmente in quelle zone arretrate i giovani hanno un po’ il mito di Tunis (“al hasima”, la capitale) ma non dell’Italia come i loro coetanei tunisini. E se è vero che c’è sempre chi è più a Sud di un altro, va anche segnalato il caso delle decine di europei, americani e canadesi che si sono venuti a godere la propria pensione proprio nella Tunisia desertica, in paesi come Sabiria, comprandosi per poco una casetta prospiciente all’oasi locale e vivendo di turismo del deserto. Magari adattandosi a fare da carovaniere a chi viene dall’Europa.
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