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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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L'Opinione - L'Unità - Il Giornale Rassegna Stampa
04.09.2008 Tra Italia e Libia spunta il "terzo incomodo"
la Nato, con la quale eravamo già impegnati

Testata:L'Opinione - L'Unità - Il Giornale
Autore: Michael Sfaradi - Umberto De Giovannangeli - Luigi Bonanate - GMatt
Titolo: «Italia e Libia ritorno al passato - Ecco il vero patto Berlusconi-Gheddafi - Il prezzo imposto - L'Italia crede più alla Nato che ai proclami di Gheddafi»
Mentre Loretta Napoleoni, l'esperta di terrorismo che sostiene che del terrorismo non ci si deve preoccupare viene intervistata da LIBERAZIONE il 4 settembre 2008 (il quotidiano di Rifondazione segue l'esempio di AVVENIRE, si veda Informazione Corretta del 3 settembre), sembra che il patto Italia-Libia garantisca che dal nostro azioni non partiranno azioni contro un paese che è stato, e potrebbe tornare ad essere, sponsor del terrorismo.

Di seguito, alcuni articoli sull'argomento.

Da L'OPINIONE del 4 settembre 2008, un articolo di Michael Sfaradi:

Che l’accordo fra Italia e Libia sarebbe stato motivo di polemiche era chiaro fin dal primo momento perché nella fretta di concludere sono state prese in considerazioni solo le ragioni dell’ex colonia, dimenticandosi di tutti coloro che da tempo vantano crediti nei confronti del governo libico. E’ stata così persa una buona occasione per fare pulizia di ingiustizie fatte e subite da una parte e dall’altra. Da quando Berlusconi ha firmato l’accordo non passa giorno senza che la Presidenza del Consiglio non debba spiegare i punti dei vari passaggi di un trattato che più viene alla luce più dà la dimensione dell’errore fatto. Come se non bastasse l’agenzia di stampa libica Jana, con un tempismo inusuale per la mentalità araba, rivela che l’Italia si è impegnata, art. 4 del Trattato di Amicizia italo-libica, a non far usare le basi sul territorio italiano alla Nato o agli Usa in caso di attacco alla Libia. A questo punto è lecito chiedersi cosa c’entra una clausola militare in un accordo di questo tipo, e crescono i dubbi che dietro le quinte possano esseri scenari inquietanti.

La Libia, che negli ultimi decenni era stata la banca, la base e il rifugio del terrorismo internazionale, aveva dato segno di volersi riconciliare con il mondo mettendo in pratica alcuni atti formali, come ad esempio la rinuncia al nucleare e il risarcimento alle famiglie delle vittime del volo Pan Am 103 fatto esplodere sui cieli di Lockerbie dai suoi servizi segreti. Come mai in un momento che dovrebbe essere di pace e riconciliazione (nei prossimi giorni anche Condoleezza Rice sarà in Libia in visita ufficiale), teme un attacco da parte Usa o della Nato al punto da premunirsi inibendo loro l’uso delle basi italiane su un trattato bilaterale di amicizia? Anche se alla Nato si commenta, almeno per il momento con estrema tranquillità l’art 4 dell’accordo, da Bruxelles filtrano voci che mettono l’accento sul fatto che spesso le dichiarazioni di Gheddafi non sono esatte. Si fa notare però che uno stato ospite può teoricamente rifiutare l’uso di basi sul suo territorio, anche se una cosa del genere fino ad oggi non è mai accaduta. Non è forse il caso di rivalutare le ultime scelte in politica estera del governo italiano e porsi degli interrogativi che dovrebbero farci pensare seriamente ai passi futuri? Il “Colonnello” programma forse una nuova stagione di terrorismo internazionale foraggiato dai petrodollari libici? In tal caso, avrebbe senso dare seguito ad un trattato di amicizia con chi ha intenzione di tornare al passato? Palazzo Chigi in una nota precisa che: “L’accordo, come è ovvio, fa salvi tutti gli impegni assunti dal nostro Paese secondo i principi della legalità internazionale.”

Il Ministro degli Esteri Frattini ha aggiunto che questo trattato bilaterale, non può rimettere in discussione tutti i trattati internazionali degli ultimi 20 anni. Gheddafi lo sa? È stato messo in chiaro con le autorità libiche quello che per noi è ovvio e cioè che abbiamo degli impegni precedenti al trattato italo – libico che ci impongono a rispettare e a far rispettare la legalità internazionale anche con la forza? C’è un versetto del Corano che dice: “Solo Allah conosce quello che porterà il vento del domani” e… se portasse un attacco americano o della Nato alla Libia per questo o quel motivo? Potremmo ritrovarci, dopo aver sborsato una parte sostanziosa di quei 5 miliardi di Dollari, a sentirsi dire che tutto è annullato e che i danni del colonialismo debbono essere ridiscussi. L’Italia ha sempre avuto, nei confronti della Libia, comportamenti politici accondiscendenti, tali da arrivare in alcuni casi a sfiorare la complicità. Noi crediamo che quella stagione sia finita per sempre e speriamo che tutto questo non sia un ritorno al passato. Consapevoli che la Gran Bretagna, la Spagna, il Portogallo, Il Belgio, la Francia, l’Olanda, la Germania e tutte le nazioni colonialiste non arriveranno mai a pagare danni alle loro ex colonie, aspettiamo che Somalia ed Eritrea vengano, a questo punto giustamente, a presentarci il conto.

Da L'UNITA', la cronaca di Umberto De Giovannangeli:

«L’Italia non usa e non permette di usare i suoi territori per ogni aggressione contro la Libia...». Nonostante le smentite di Frattini, l’articolo 4 del patto di Berlusconi e Gheddafi (di cui l’Unità ha preso visione) non si presta a equivoci. Ma semmai provoca imbarazzo con la Nato.
IL CASO non è chiuso. Il giallo dell’«articolo 4» si arricchisce di un nuovo capitolo. Un capitolo dal titolo: il patto tra il Colonnello e il Cavaliere. Un «patto» che fa dire ad una fonte diplomatica di lungo corso che «quell’Accordo più che chiudere i contenziosi con il
passato, rischia di aprirne di nuovi». Non è questione di interpretazioni. Perché in diplomazia non solo le parole ma anche le virgole pesano. E tanto. Da Palazzo Chigi a Bruxelles (sede Nato) la parola d’ordine è: tranquillizzare. Ma fuori dall’ufficialità, a dominare è l’imbarazzo. E il nervosismo. Perché quell’articolo 4 non si presta ad equivoci. L’Unità ha avuto modo di prenderne visione. E la versione finale è la seguente: «Nel rispetto dei principi della legalità internazionale, l’Italia non usa e non permette di usare i suoi territori contro la Libia per ogni (eventuale, ndr.) aggressione contro la Libia, e la Libia non userà e non permetterà di usare il suo territorio per ogni atto ostile contro l’Italia». Fonti incrociate - libiche e italiane - confermano all’ Unità che ogni parola di questa formulazione finale è stata oggetto di trattative prolungate. A darne conto, sia pure in un modo più sfumato, è Hafed Gaddur, ambasciatore libico in Italia, uno dei principali negoziatori che ha «preparato il trattato insieme agli amici italiani». «Nessuno ha mai voluto cancellare i trattati internazionali» precedenti all’accordo tra Italia e Libia, ma Tripoli vuole «la garanzia» che non si ripeta quanto «successo in precedenza, quando è stata usata una base militare americana nel territorio italiano nell’aggressione del 1986», rileva il diplomatico libico. «Volevamo stare tranquilli che l’Italia non permetterà l’uso di queste basi», aggiunge l’ambasciatore. Attorno all’articolo 4 del Trattato, le diplomazie italiana e libica hanno negoziato a lungo. Con Roma che voleva limitarsi ad escludere «atti ostili» dell’Italia contro Tripoli e i libici che invece insistevano per comprendere il riferimento a terzi, ovvero alla Nato e agli Stati Uniti. Per convincere i negoziatori italiani ad inserire l’articolo 4 nel Trattato, ha rivelato il leader libico, Muammar Gheddafi, «abbiamo detto che la questione altrimenti non sarebbe stata chiusa e che noi non avremmo mai perdonato l’Italia per quello che aveva fatto contro di noi».
Il ministro degli Esteri Franco Frattini dichiara che l’Italia non mette in discussione i trattati internazionali «e noi non abbiamo dubbi su questo», afferma da Bruxelles il portavoce della Nato James Appathurai. Precisando però che «non abbiamo ancora parlato con la delegazione italiana». «Dalle dichiarazioni rese alla stampa dal ministro Frattini, abbiamo inteso che l’Italia continuerà a rispettare i trattati internazionali e non abbiamo alcun dubbio su questo», aggiunge il portavoce. «Ma non abbiamo ancora avuto la possibilità di avere chiarimenti dagli italiani», ribadisce.
Le dichiarazioni italiane parlano di rispetto «degli impegni internazionali» e «dei principi della legalità internazionale». Ebbene, spiegano fonti Nato, almeno in teoria rientra nei legittimi diritti di uno Stato membro dell’Alleanza opporsi all’impiego di basi sul proprio territorio per determinati scopi. Il problema, in questo caso, sarebbe esclusivamente di natura politica. «La Nato - spiegano al quartier generale dell’Alleanza a Bruxelles - per lo più non possiede l’intera base in uno Stato membro, ma ha proprie istallazioni su quella esistente del Paese ospite». Inoltre è chiaro, proseguono, «che se uno Stato membro decide di usare basi poste sul territorio di un altro alleato per un’azione militare, informa il Paese ospite». Non si tratta di una richiesta formale di autorizzazione (soprattutto, ironizzano ancora alcuni diplomatici, se si sta parlando degli Stati Uniti che non si sognerebbero mai di «chiedere il permesso»).
Tuttavia, dicono, una volta informato «lo Stato ospite può benissimo rifiutare l’impiego della base». Dunque, in teoria, l’Italia potrebbe opporsi all’utilizzo di basi Nato per un fantomatico attacco alla Libia, se mai questo dovesse concretizzarsi. Un punto però è chiaro, dicono all’Alleanza: un fatto del genere, e cioè un rifiuto da parte del Paese ospite, alla Nato fino ad oggi non si è mai visto. E politicamente sarebbe altamente problematico. Resta il fatto che nell’articolo 4 non c’è alcun riferimento diretto agli accordi internazionali da rispettare (da parte italiana). Una omissione, riflettono le fonti Nato, che segna, oggettivamente, un punto a favore del leader libico.
Sul tema interviene anche Massimo D’Alema. «Credo che innanzitutto si debba dire che la Nato è un’alleanza difensiva e non ha nei suoi programmi di aggredire nessun Paese», afferma l’ex titolare della Farnesina. D’Alema, tra l’altro, ha tenuto a sottolineare: «Quest’ accordo con la Libia era stato negoziato da noi, me ne ero occupato personalmente e a lungo». Un accordo la cui traccia «è quella che avevamo predisposto: non prevede clausole segrete. Credo, almeno per quanto ne so io», ha aggiunto. Ma una traccia può essere «forzata». Così è stato.

Il commento di Luigi Bonanate:

La cosa più simpatica della politica estera italiana è proprio la simpatia che vuole sprigionare: il nostro paese (quello stesso che si abbarbica testardamente all’asta della bandiera della compagnia di bandiera) vuole andare d’amore e d’accordo con tutto il mondo. Berlusconi è tanto amico di Putin ma anche di Saakashvili; va d’accordissimo con la Cina ma anche con gli Stati Uniti, con Israele e un po’ anche con al Fatah
Il premier la pensa come la Merkel ma anche come Medvedev, come Sarkozy e magari, chi sa, anche con Zapatero... Più o meno, rimane fuori Chavez, ma se andasse a trovarlo in Sardegna la prossima estate...
La diplomazia del sorriso è quanto ci sia di più desiderabile al mondo; ma se fosse già in atto dovremmo allora dirci che abbiamo dormito a lungo e ci siamo svegliati in un altro mondo, nel quale pare che i trattati ormai non valgano più nulla e le bugie si possono dire senza alcun imbarazzo, mentre sono essi che creano il diritto della società internazionale, cioè qualche cosa di importantissimo e che non può mai mancare: immaginate se la vita di uno stato non fosse regolata dal diritto... L’importanza dei trattati, quasi sacrale nella storia della diplomazia mondiale, è tale che la loro efficacia viene fatta dipendere da alcune condizioni formali che tutti i paesi osservano - salvo, forse, ora che il nostro Governo dovrà presentare al Parlamento il testo del trattato.
Su che cosa verterà la discussione parlamentare questa volta? Se le cose stanno come si mormora (e ci sono autorevolissime conferme), il prezzo che Gheddafi avrebbe chiesto per regolamentare il flusso dei clandestini verso le nostre coste sarebbe la promessa che l’Italia non userà e non concederà mai a nessun paese il suo territorio per farne la base di attacchi militari contro la Libia. La Nato ha già tracciato un limite dicendosi convinta che l’Italia non verrà meno ai suoi pregressi impegni internazionali che, in caso di eventi bellici o di gravi tensioni in area, potrebbero però anche costringerla a concedere basi agli alleati storici, magari contro le aspettative della Libia o di paesi del circondario. E tra i suoi alleati, l’Italia conta anche gli Stati Uniti e Israele, per non fare che due nomi, che grandissima simpatia e fiducia nei confronti di Gheddafi (che poi siede su un giacimento di petrolio: ecco un’attrattiva non irrilevante per gli Usa) non hanno mai avuto. L’Italia potrebbe dunque trovarsi in contraddizione con se stessa a causa della banale ricerca del consenso massimo possibile, del sorriso a tutti i costi, della ricerca dell’applauso. Non è Berlusconi, del resto, che ha frenato i bollenti spiriti di Putin (così almeno ci ha fatto sapere lui stesso)? Riuscirà la politica estera italiana (sovente telefonica) a restar fedele a tutti i suoi impegni?
Berlusconi è giunto al suo ormai famoso trattato con Gheddafi grazie all’idea di uno scambio: un’autostrada contro il controllo dei clandestini. L’Italia prenderebbe due piccioni con una fava: si laverebbe la coscienza (per l’ennesima volta) per il passato colonialistico, e farebbe anche un piacere al Papa che la scorsa settimana si è espresso al riguardo in termini del tutto anti-maroniani. Forse né Berlusconi né Frattini ricordano (e hanno ragione: non erano ancora in politica quei tempi) che almeno due (o forse tre) volte Andreotti andò a promettere a Gheddafi, sotto la tenda sulla sabbia, lui nel suo impacciato doppiopetto e il leader libico in caffetano e turbante, la costruzione di un ospedale a titolo di risarcimento morale. Li avesse fatti costruire davvero, ora potremmo andare tutti in Libia a farci curare. Con le autostrade la musica è la stessa: già nella sua precedente esperienza governativa Berlusconi ne aveva promessa una, ma non mi pare proprio che sia mai andato a inaugurarla.
Forse è per questo che Gheddafi questa volta ha alzato il prezzo e Berlusconi (che può permetterselo) ha pagato. Ha tuttavia tenuto un comportamento che si potrebbe definire di dispregio delle istituzioni. Le ragioni sono due. La prima riguarda l’iter formativo dei trattati così come è stabilito dalla Costituzione italiana, che non permette a nessuno (ripeto: nessuno; solo i dittatori compiono atti con valore di legge senza consultazioni) di prendere decisioni che impegnano l’intero paese nei confronti di uno o altri Stati senza una procedura democratica che prevede, in primo luogo, una preparazione consistente in contatti tra plenipotenziari (così si diceva una volta) che si consultano e predispongono le carte per una successiva trattativa politica. Questa fase si raggiunge quando un governo ha maturato una politica, discussa e condivisa, non semplicemente voluta da un Presidente e/o da un ministro. Mi piacerebbe sapere quanti al Ministero degli esteri erano al corrente di ciò che Berlusconi sarebbe andato a trattare... Ma credo di conoscere anche la risposta! Non siamo, più, oltretutto, in tempi di trattati segreti, e la nostra Costituzione aggiunge che la validità di un trattato è condizionata non soltanto alla ratifica del Presidente della Repubblica ma a una autorizzazione politica, ovvero a una pubblica discussione parlamentare. Di che cosa parleranno in Parlamento: di autostrade, o di lealtà atlantica, di ricordi del colonialismo o di monumenti di ripulire, di petrolio o di calcio?
Di questo passo, il cammino della nostra politica estera rischia di inciamparsi da solo nelle sue contraddittorie scelte dettate dalle estemporanee risoluzioni berlusconiane che, ogni tanto, decide di dare una sistemata a un qualche capitolo del nostro sciamannato modo di vivere. Purtroppo, per il nostro paese, questa non è neppure una storia nuova. Berlusconi forse non lo sa, ma quando arrivò il giorno dell’approvazione della legge di ratifica del trattato con cui l’Italia entrava nella Nato (restiamo dunque in argomento), De Gasperi ne chiese l’approvazione senza neppur rivelare ai parlamentari il contenuto (allora rimasto segreto) del trattato stesso! Nonostante l’intervento di Togliatti, che denunciò la ferita alla democrazia che quella procedura implicava, ovviamente il trattato fu approvato al buio. Forse anche l’attuale governo preferirebbe simili vie spicce.

Il GIORNALE a pagina 14 sottolinea le dichiarazioni di fiducia verso l'Italia che provengono dalla NATO

Il ministro Frattini -ha dichiarato ieri James Appathurai, portavoce dell'Alleanza Atlantica  - ha ssicurato che l'Italia rispetterà tutti gli impegni e obblighi internazionali, e noi non abbiamo alcun dubbio in proposito

Speriamo si tratti di una fiducia ben riposta:

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