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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
23.08.2008 Nascondersi tra i civili, dividere la Nato, accerchiare Kabul
strategia e tattica di talebani e Al Qaeda in Afghanistan

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Marco Nese - Guido Olimpio - Guido Santevecchi - Ennio Caretto - Maurizio Molinari
Titolo: «Afghanistan , strage di civili Feriti tre militari italiani - I talebani e la «strategia del camaleonte» -L'obiettivo dei miliziani è dividere Europa e Usa - Inutili gli aerei Meglio pattuglie miste nei villaggi»
Cronaca di guerra dall'Afghanistan, sul CORRIERE della SERA del 23 agosto 2008.
Un attentato contro militari italiani,
la notizia che 4 dei parà francesi uccisi dai talebani sono stati uccisi mediante decapitazione, la presunta morte di 50 bambini e 19 donne a causa di un attacco areo americano (benché la notizia sia ancora incerta, è su di essa che viene costruito il titolo)

Ecco il testo:


Se la sono cavata con qualche livido e poche escoriazioni i tre militari italiani vittime di un attentato in Afghanistan. Il mezzo blindato sul quale viaggiavano ha assorbito bene l'urto dell'esplosione di un ordigno piazzato ai margini della strada. Il veicolo è rimbalzato ma non ha subito squarci, per cui all'interno i tre alpini hanno sofferto soltanto le conseguenze del forte contraccolpo. Uno dei tre appartiene al 9˚ Reggimento, basato all'Aquila, gli altri due dipendono dal 2˚ Reggimento genio guastatori di Trento. Nei giorni scorsi i militari avevano trovato molto materiale esplosivo, l'avevano accumulato in un fossato in una zona deserta e ieri andavano a distruggerlo, facendolo saltare in aria dopo aver aver messo in sicurezza l'area circostante. A circa 20 chilometri a nord della capitale afghana, il blindato sul quale viaggiavano i tre alpini, un Vm90, è stato investito dall'esplosione nella parte posteriore. Erano le 7 e 20 locali, le 4 e 50 in Italia.
Gli artificieri non hanno ancora concluso gli esami dei resti dell'ordigno e non sono in grado di dire se si è trattato di una bomba con un comando a distanza, o se nel terreno era nascosta una mina.
Dall'inizio di agosto sono morti in Afghanistan 41 soldati delle forze internazionali. Fra loro 3 polacchi uccisi mercoledì scorso e i 10 francesi che hanno perso la vita l'altro giorno durante una furiosa battaglia a Surobi, a est di Kabul. Secondo l'agenzia PeaceReporter
i 10 parà francesi non sono tutti morti combattendo, 4 di loro sono andati incontro a una sorte agghiacciante: i talebani li hanno decapitati ancora vivi. La stessa fine avrebbero fatto anche 2 dei 9 americani uccisi il 13 luglio scorso nella zona di Kunar.
I talebani dimostrano di controllare vaste aree del Paese e, soprattutto, sembrano essersi insediati attorno alla capitale Kabul, come se volessero stringerla d'assedio. Secondo alcuni osservatori, si è formata un'alleanza tra talebani, Al Qaeda e il gruppo Hezb-i-Islami guidato dell'ex signore della guerra, Hekmatyar, principale sospettato dell'agguato ai francesi.
La coalizione militare della Nato (Isaf) cerca di mettere in campo una controffensiva efficace. Le truppe americane, che attualmente contano 34 mila uomini, saranno presto rinforzate con altri 10 mila soldati. Anche il contingente britannico sarà irrobustito, i reparti ritirati dall'Iraq saranno dirottati in Afghanistan.
La guerra ai terroristi ha forse causato anche nuove vittime civili. Ieri, un attacco aereo nella provincia occidentale di Herat ha ucciso, secondo notizie per la verità contraddittorie del governo afghano, ben 76 persone, di cui 50 bambini e 19 donne. Ma il colonnello Rumi Nielson-Green, portavoce delle forze americane, smentisce la strage e afferma che le vittime sono 30, tutti talebani, fra cui «un importante leader». In un recente attacco aereo erano invece morti alcuni capi di Al Qaeda in Pakistan. Ad essi rende omaggio il numero 2 dell'organizzazione, Al Zawahiri, con un nuovo messaggio video.

Mimetizzarsi tra la popolazione per provocafre vittime innocenti è una precisa strategia dei talebani. Ne scrive Guido Olimpio:

Quando i parà francesi sono caduti nella trappola di Surobi, le forze dell'Isaf si sono mosse per aiutarli.
E tra le unità mobilitate — secondo fonti americane — c'erano anche gli italiani. Un reparto misto, composto da nostri soldati e militari afghani, sarebbe intervenuto per bloccare una strada e sarebbe finito sotto il fuoco.
Almeno tre mezzi dell'esercito locale — sempre secondo questa ricostruzione — hanno subito danni, per i tiri di mitragliatrice e di razzi Rpg. Un incidente minore, forse sepolto nei bollettini quotidiani dell'Isaf, seguito dall'esplosione di ieri che ha coinvolto gli Alpini.
In meno di una settimana l'armata ribelle che comprende nuovi talebani, vecchi signori della guerra e qaedisti ha «toccato» più volte lo schieramento alleato. Uccidendo prima i 10 francesi, poi tre canadesi e altrettanti polacchi, quindi altri due elementi della coalizione. Una striscia di sangue chiusasi con il ferimento degli italiani.
Attacchi in apparenza casuali che perseguono però una strategia abbastanza chiara. Come ha osservato il ministro della Difesa francese Hervet Morin gli insorti vogliono esercitare pressioni sulle opinioni pubbliche occidentali affinché chiedano il ritiro dei contingenti. Mirano a uno stillicidio di caduti nella speranza che nei Parlamenti come nelle piazze cresca il partito del «tutti a casa». E sperano di fornire munizioni a coloro che in Europa si oppongono all'invio di rinforzi, chiesti a gran voce dal Pentagono.
E' l'ormai celebre fronte interno, a volte più delicato, per equilibri politici e sensibilità, di quello esterno. Un sondaggio condotto in Francia dimostra che il piano — come è avvenuto in Iraq — funziona: il 55 per cento degli intervistati ha chiesto il ritorno delle truppe. Un giudizio che risente del numero delle perdite.
In questi primi otto mesi l'alleanza ha perso 181 uomini, una tripla cifra che rischia di superare i 222 del 2007 se gli insorti continueranno a mantenere questo livello di attacchi.
Pur subendo la risposta Nato, che costa loro decine di morti a ogni scontro, i ribelli con il turbante sono convinti delle loro mosse. Un analista islamico, Muhami Al Dawla, «il difensore dello Stato», ha pubblicato un articolo su Internet per esaltare quella che definisce «la strategia del camaleonte» e per stabilire un parallelo con quanto avvenuto in Iraq.
Muhami sintetizza così i successi: 1) I militanti si mimetizzano con la popolazione. 2) Non ricevono ordini da un solo comandante. 3) Sono riusciti a infiltrare gli apparati di sicurezza.
Al Dawla potrebbe aver ragione. L'agguato al convoglio francese ha dimostrato che gli assalitori erano bene informati sulla composizione del reparto.
Con i primi tiri hanno eliminato un ufficiale e l'operatore radio rendendo caotica la risposta dei parà. Con il secondo attacco hanno inchiodato la retroguardia. Una manovra che richiama le trappole tese alle colonne sovietiche durante la guerra afghana.
Una conseguenza — dicono gli esperti — del coinvolgimento di veterani di quel conflitto al fianco delle reclute. Mujaheddin legati in qualche modo alla fazione Khalis e a quella del temuto Gulbuddin Hekmatyar.
Nascondendosi tra i civili i guerriglieri rendono più difficile il compito della Nato e accade che i blitz coinvolgano, con sempre maggior frequenza, degli innocenti. Ieri un'incursione di aerei Nato avrebbe causato 76 vittime, in gran parte donne e bambini.
Bombe che rubano vite inermi, distruggono il già ridotto consenso afghano, creano problemi a un governo non proprio popolare e fanno il gioco dei qaedisti. La teoria del domino auspicata dai talebani passa anche da questi errori.

Da Londra arriva l'allarme sull'accerchiamento di Kabul da parte dei talebani:

LONDRA — La battaglia durata un giorno a meno di 50 chilometri da Kabul che lunedì è costata la vita a dieci soldati francesi; ora l'agguato alla pattuglia italiana. I talebani stanno stringendo il cerchio intorno alla capitale. «È sempre difficile distinguere tra voci e fatti in Afghanistan, ma i nostri uomini sul campo ci hanno avvertito da settimane che i comandanti ribelli finora trincerati al Sud si aspettano un ordine di attacco al Nord, una battaglia per Kabul», ha detto al Corriere Paul Burton, direttore dell'Analisi Politica per il Senlis Council, un gruppo indipendente con base a Londra che ha costituito una fitta rete di contatti tra la gente afghana.
Secondo Burton «i leader occidentali hanno negato troppo a lungo l'evidenza della reale forza dei talebani e della loro capacità di portare rapidamente la minaccia fino a Kabul, con spostamenti di miliziani dal Sud, dall'Ovest e dall'Est».
Le fonti del Senlis Council riferiscono che la provincia di Wardak, a tre quarti d'ora di auto da Kabul, è controllata per oltre la metà dai guerriglieri: «E in quella provincia c'è la valle di Tangi, dove fanno tappa i terroristi suicidi arrivati dal Pakistan. Lì si riorganizzano e aspettano il segnale per lanciarsi nell'azione kamikaze».
Percorrendo la strada da Kabul alla valle di Tangi si incontrano decine di crateri creati dalle esplosioni di
Il rapporto La prima pagina del rapporto del gruppo di ricerca Senlis sull'Afghanistan, disponibile su Internet. Gli analisti temono un ulteriore aumento della violenza per la primavera 2009, prima del voto
trappole esplosive rudimentali come quella in cui è incappato il blindato italiano ieri.
Ai bordi della striscia d'asfalto si vedono gli scheletri dei mezzi distrutti. «Sono un monito alla popolazione, il segno che il governo e le forze della Nato sono impotenti, non controllano il territorio ». I talebani hanno un piano politico- militare.
«In base alla Costituzione il mandato presidenziale di Hamid Karzai scade il 22 maggio del 2009 e le elezioni debbono tenersi tra i 30 e i 60 giorni prima: la primavera dell'anno prossimo sarà decisiva, perché un peggioramento ulteriore della sicurezza svuoterebbe il voto di significato », spiega il rapporto preparato dal Senlis Council sotto il titolo Decision Point.
L'accerchiamento su tre lati di Kabul, che potrebbe trasformarsi in assedio, fa parte del piano. «Basta ricordare quello che successe durante la guerra contro i sovietici, quando Kabul era circondata dai mujaheddin: i talebani stanno riproducendo quella strategia», dice Haroun Mir, che a quei tempi era un luogotenente del mitico comandante Ahmad Shah Massoud. Mir avverte anche che si è saldata un'alleanza tra talebani, uomini di Al Qaeda e il gruppo del vecchio signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar per tagliare le linee logistiche della Nato. Dall'inizio di quest'anno sono caduti 178 soldati della coalizione internazionale costituita da circa 80 mila uomini di 40 Paesi e quasi 4 mila afghani, da una parte e dal-l'altra della barricata. Che cosa potrebbe e dovrebbe fare la Nato? «Una sola cosa è certa: qualunque cosa stiamo facendo in Afghanistan, non sta funzionando, perché il 2008 è l'anno più sanguinoso da quando è stato abbattuto il regime dei talebani e gli attacchi stanno aumentando di numero e diventando sempre più coordinati», osserva il Senlis Council, ricordando le azioni spettacolari nel cuore della capitale, come l'attentato del 14 gennaio contro l'Hotel Serena, il primo albergo di lusso costruito dopo la liberazione della città; il tentativo di assassinare Karzai durante una parata il 27 aprile e l'assalto suicida contro l'ambasciata indiana che il 7 luglio ha fatto 60 morti. Se continuerà così «la domanda non sarà più se i talebani torneranno a Kabul, ma quando e come».

Per  l'analista Vincent Cannistraro talebani e Al Qaeda vogliono dividere la Nato:

WASHINGTON — «I vertici politici e militari dei talebani e di Al Qaeda hanno elaborato un piano per dividere la Nato in Afghanistan: attaccano piccoli contingenti europei, o li prendono a bersaglio dei loro attentati. In questo modo sperano di impedire alla Francia, all'Italia, eccetera, di mandare altre truppe in appoggio a quelle americane, e forse di indurle a ritirare quelle già sul posto. Vogliono che gli alleati ci abbandonino nella sostanza, se non nella forma ». L'ex direttore dell'antiterrorismo della Cia Vincent Cannistraro ammonisce che questa strategia s'intensificherà nei mesi a venire, e che se la Nato si disunisse rischierebbe la sconfitta: «L'unica risposta possibile alla sfida dei talebani e di Al Qaeda è un maggior impegno non solo militare ma anche civile ed economico dell'Europa e degli Stati Uniti in Afghanistan». Cannistraro, che fu capo della Cia in Italia negli anni Ottanta, spera che la Nato possa vincere «sotto la guida del successore di Bush».
Il Pentagono non era al corrente del piano nemico?
«A quanto mi risulta, è stato colto di sorpresa. Ha incominciato a rendersi conto del pericolo quando ha visto che alcuni leader di Al Qaeda in Iraq e in altre parti del mondo andavano in Afghanistan con i loro uomini. Adesso il quadro è chiaro: il nemico usa formazioni di circa 200 uomini bene addestrati contro i convogli o le pattuglie, soprattutto europei, e se del caso usa uomini bomba o dissemina le strade di esplosivi secondo il modello iracheno».
Non è possibile prevenirlo?
«So che il Pentagono sta pianificando una contro-strategia, ma non ne conosco i particolari e comunque non l'ha ancora attuata. Per il momento, reagisce bombardando le formazioni o i covi nemici, quando li identifica. Ma è un'arma a doppio taglio, perché i bombardamenti fanno vittime tra i civili e ci alienano la popolazione afghana. Credo che la nuova strategia venga discussa a livello politico nella Nato, dovrebbe rafforzarne l'unità. Devo però sottolineare che Washington è molto preoccupata: in particolare teme che Sarkozy venga messo in difficoltà dall'opposizione».
È necessario aumentare le truppe americane ed europee?
«Sì, sebbene inevitabilmente ciò farà salire il numero dei nostri caduti: ormai, muoiono più nostri e vostri soldati in Afghanistan che in Iraq. Ma devono essere in prevalenza corpi speciali, esperti nella guerriglia. Il nemico va colpito nei suoi santuari in Pakistan, alle frontiere. Mi dicono che stia già accadendo: sebbene tutti neghino, il governo pachistano ci ha autorizzato a farlo. Per lo più compiamo incursioni con i droni, gli aerei automatici, ma ci sono stati anche scontri a fuoco sul terreno».
Lei pensa che il prossimo presidente americano risolverà le crisi irachena e afghana?
«Precisiamo. La nostra presenza militare in Iraq è destinata a ridursi enormemente entro il 2011, abbiamo appena concluso l'accordo. E questo ci consentirà di concentrarci sull'Afghanistan. Entrambi i candidati alla Casa Bianca, il democratico Obama e il repubblicano McCain, sono pronti a un massiccio intervento, entrambi sollecitano la Nato a spalleggiarli più decisamente».

Per l'analista Robert Kaplan, intervistato per La STAMPA da Maurizio Molinari, "anziché adoperare gli aerei la Nato farebbe meglio a ricorrere a pattuglie miste con gli afghani per dare la caccia ai taleban".
Ecco il testo completo.


Anziché adoperare gli aerei la Nato farebbe meglio a ricorrere a pattuglie miste con gli afghani per dare la caccia ai taleban». Parla senza mezzi termini Robert Kaplan, l’inviato di «Atlantic Monthly» i cui libri, da «Imperial Grunts» a «Hog Pilots», raccontano cosa avviene nelle basi Usa nel mondo. Entrato nelle fila del «Center for New American Security» come stratega militare Kaplan è tornato di recente da Afghanistan e Pakistan.
I taleban mettono in difficoltà la Nato con le imboscate e gli Usa reagiscono usando l’aviazione in raid che causano numerose vittime civili come è avvenuto a Herat. Come evitare questa spirale?
«Seguendo il metodo applicato dal generale David Petraeus in Iraq».
Di cosa si tratta?
«Di formare pattuglia miste con soldati americani - o Nato nel caso afghano - e truppe locali, posizionarle nei villaggi e creare rapporti positivi con i leader locali. In questa maniera Petraeus è riuscito a scardinare la presenza di Al Qaeda nelle aree sunnite dove si sentiva più forte. Da fine mese Petraeus prenderà la guida del comando centrale, ovvero di tutte le truppe stazionate nel Grande Medio Oriente, e sarà dunque responsabile anche dell’Afghanistan. Teniamo gli occhi aperti su che cosa farà in Afghanistan».
Perché è scettico sull’uso della forza aerea?
«Quanto avvenuto nella provincia di Herat, con l’alto bilancio di vittime civili, dimostra che sebbene l’arma aerea sia divenuta sempre più precisa non riesce a risolvere il problema causato dal fatto che i terroristi si nascondono dietro i civili, nei luoghi affollati, sperando di essere ataccati perché consapevoli che più vittime la Nato provoca più sarà facile reclutare, trovare rifornimenti e rafforzarsi. E’ una trappola e il metodo per evitarla sono le pattuglie miste di Petraeus in Iraq...»
...anche se comportano un maggior rischio di perdite di vite?
«Certo, impiegare pochi soldati in piccoli villaggi li espone a rischi maggiori. Ma maggiori sono anche le possibilità di prevenire le infiltrazioni dei terroristi perché la presenza dei soldati consente di creare rapporti favorevoli con i capi clan».
Quanto conta il ruolo delle forze armate afghane?
«Non troppo, il problema delle truppe di Kabul è che pur se fossero meglio armate non sarebbero più credibili. Sono percepite come ostili e corrotte dai civili. Solo un profondo mutamento politico a Kabul potrebbe ridargli credibilità. Ma serve tempo».
E se la Nato mandasse più truppe in Afghanistan?
«Servirebbe a poco. L’invio di rinforzi in Iraq ha funzionato perché affiancato da sviluppi politici: più solidi accordi fra i leader locali, il coinvolgimento delle tribù sunnite, il rafforzamento della credibilità del governo centrale. Anche se la Nato raddoppiasse il contingente non potrebbe rimediare alle carenze delle autorità di Kabul».
Dopo le dimissioni del presidente Pervez Musharraf possiamo aspettarci maggiore cooperazione contro i taleban dal Pakistan?
«Non credo. Il nuovo governo è diviso, vulnerabile, incerto. Non appare in grado di riportare ordine nei servizi segreti, bloccando quegli elementi che di fatto aiutano i taleban a ricevere sostegni e rifornimenti nelle aree tribali lungo il confine afghano. Anche se fa male dirlo la realtà è che la democrazia pakistana è per sua stessa natura incapace di controllare il territorio nazionale».
Insomma, più soldati della Nato non servono, Kabul perde credibilità e Islamabad è in mano ad un governo debole. E’ uno scenario nel complesso favorevole ai taleban che stanno portando gli attacchi verso Kabul...
«Per questo la migliore opzione, militare e politica, è David Petraeus».

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