Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Israele festeggia il suo bronzo olimpico il maratoneta iracheno escluso da Pechino si allena per Londra 2012
Testata:Il Riformista - Il Foglio Autore: Anna Momigliano - Giulio Meotti Titolo: «A Israele basta un bronzo per festeggiare - Ahmed si allena per Londra 2012, lo fa per i suoi 27 parenti ammazzati»
Gli articoli che seguono riguardano la partecipazione alle Olimpiadi di due paesi mediorentali, Israele e Iraq. Due democrazie, una consolidata e l'altra nascente, entrambe nel mirino del terrorismo fondamentalista.
Da Il RIFORMISTA del 21 agosto 2008:
Olmert avrebbe poche ragioni per essere felice: la sua carriera politica è quasi finita, Hamas continua a lanciare razzi sul Negev, e come se non bastasse la Siria cerca di addossare a Israele (doppio salto carpiato con avvitamento) la colpa della crisi nel Caucaso. Eppure ieri il premier israeliano ha detto di avere «le lacrime agli occhi per la gioia». Il motivo di tanta commozione? Una medaglia di bronzo. La prima portata a casa da Israele nei giochi di Pechino. Conquistata nel windsurf da Shahar Zubari. Ora, Zubari si merita tutti gli elogi del mondo: 22 anni ancora da compiere e già medaglia di bronzo negli ultimi mondiali in Nuova Zelanda, il ragazzo è senza dubbio una delle giovani promesse dello sport israeliano (molti lo danno come un atleta ancora in fase ascendente). Senza contare che, anche se è nato a Eilat, è di origine yemenita, un'etnia considerata un po' svantaggiata, e quindi la sua vittoria ha tutto il sapore della rivincita sociale. Però resta sempre una medaglia di bronzo. Già, ma andatelo a spiegare agli israeliani, che sono andati in brodo di giuggiole. Appena arrivata la notizia, i festeggiamenti sono cominciati nel mercato centrale di Tel Aviv, dove pare si trovasse per caso qualche suo parente che poi avrebbe coinvolto massaie e negozianti. Sui siti internet delle principali testate in ebraico, la notizia ha ricevuto più rilievo delle minacce di Hamas (ormai ci avranno fatto il callo?) e la successione alla guida del partito Kadima (pare che Olmert abbia designato come suo delfino il ministro dell'Interno Meir Sheetreit). Ma cos'è tutto questo davanti a una medaglia di bronzo? L'entusiasmo, che a un occhio italiano potrebbe sembrare eccessivo, si spiega facilmente se si pensa che (uno) gli israeliani sono molto patriottici, dunque celebrano molto volentieri ogni motivo d'orgoglio bianco-e-blu; (due) gli israeliani amano molto fare festa e dunque colgono volentieri qualsiasi occasione da celebrare tout court; e (tre) che Israele non ha una grande storia olimpica e dunque una medaglia di bronzo nel windsurf merita una certa attenzione. Fatta eccezione per la pallacanestro, la tradizione sportiva dello Stato ebraico lascia a desiderare. Finora, Zubari compreso, Israele ha portato a casa solo sette medaglie in tutta la storia delle Olimpiadi. Di queste, una sola d'oro, conquistata ad Atene da Gal Friedman sempre nel windsurf. Friedman, classe 1975, in patria è un vero eroe: non solo ha vinto il primo oro, ma ha anche vinto la prima medaglia israeliana tout court, quando ha ottenuto il bronzo ad Atlanta nel 1996. Fino ad allora, nulla. Gli altri campioni olimpionici si contano sulle dita di una mano: Yael Arad (argento nel judo 1996), Oren Smadja (bronzo nel judo 1996), Michael Kolganov (bronzo nel kayak 2000) e Arik Ze'evi (bronzo nel judo 2004). Resta da chiedersi come mai Israele - terra di combattenti e pionieri: insomma ragazzotti sani - non ottenga molti successi sportivi. «Ma il fatto è che, contrariamente a quello che possono pensare gli italiani, noi non siamo affatto un popolo sportivo!» spiega Daniela Tchetchik, ex nuotatrice di punta nel panorama nazionale israeliano. «Credo sia soprattutto una questione di educazione. Fino a pochi anni fa la preparazione fisica era tutta rivolta al servizio militare, non all'atletica. Io per esempio frequentavo un liceo con migliaia di alunni, ma solamente tre facevano sport agonistico» dice l'ex atleta, che non a caso ha appeso costume e occhialetti al muro in nome di una vita normale, gli studi (e il servizio militare). Solo recentemente le cose sono cominciate a cambiare: lo sport è diventato parte integrante della vita israeliana solo nella seconda metà degli anni Novanta. In gran parte, fu proprio la medaglia di Friedman ad Atlanta a favorire il cambiamento. Oggi gli israeliani si augurano che il nuovo campione del windsurf ricalchi le sue orme, aggiungendo al bronzo di ieri un oro nelle prossime olimpiadi: «Shahar Zubari sarà il nuovo Gal Friedman!» è lo slogan sulle bocche di tutti. Solo che Friedman aveva dalla sua un nome che è tutto un portafortuna: Gal in ebraico significa «buona onda».
Da Il FOGLIO:
Lo chiamano il “maratoneta iracheno”. Non si trova a Pechino, bloccato da una decisione del Comitato olimpico che ha dimezzato il numero degli atleti di Baghdad ammessi alla competizione. Sogna Londra 2012. E intanto corre. Anche per dimenticare. Corre sempre Mahmoud Kamil Ahmed. Nonostante i terroristi sunniti abbiano ucciso 27 membri della sua famiglia. Si trovava al Cairo ad allenarsi un anno fa quando i sicari circondarono la sua casa a Diyala, la provincia in prevalenza sunnita ma dove vive anche una notevole comunità di sciiti e curdi. Lì molta gente è sparita per sempre senza lasciare traccia, gettata nel fiume Diyala o sepolta nei palmeti. Perché guidava il camion dei rifiuti. Perché indossava abiti non consoni alla sharia. Uccisero tutti, compresa la madre di Ahmed, e poi il padre e i due fratelli. Soltanto un mese fa Ahmed ha potuto rendere omaggio alla tomba di famiglia. Campione iracheno nei cinquemila metri, Ahmed era considerato “non islamico” perché indossa gli shorts. Per così poco, altri atleti iracheni sono stati giustiziati. Come l’allenatore e i due tennisti nel quartiere di Saidiya, Baghdad, “colpevoli” di indossare i pantaloncini corti. Divieto che i tre non hanno rispettato, perdendo la vita in una vera e propria esecuzione rituale. Dopo aver lasciato i propri vestiti in lavanderia, Rashid, Atem e Odah stavano per risalire in auto quando un gruppo armato li ha assaliti, freddandoli. Sono oltre 70 gli atleti uccisi in questi cinque anni. Il diciannovenne Mannar Mudhafar, campione della squadra di calcio Zawra, è stato trovato con un proiettile alla nuca nelle strade della capitale. Stessa sorte per la cestista Samira Kubaisy, accusata di vestire in modo “non islamico”. Il primo a pagare con la vita era stato Ghanim Ghudayer, membro del Comitato olimpico. Poi Mohammed Sahib, l’allenatore della squadra olimpica di lotta libera. Per così poco, come un viaggio in Giordania, gli atleti di taekwondo sono stati ammazzati in mezzo al deserto. Sono stati sepolti nella città santa sciita di Najaf. Alcuni sopravvissuti di quella strage le Olimpiadi le hanno dovute vedere in televisione, come Ahmed. “La mia famiglia era considerata apostata dall’islam” dice il maratoneta. Quando seppe degli scontri nella sua zona, Ahmed telefonò a casa nel villaggio di Mahbobiya. Non rispose nessuno. “Il mio villaggio era sotto assedio di al Qaida, ho iniziato a preoccuparmi quando ho cercato altri amici e non li ho raggiunti”. I killer sono entrati in azione alle tre del pomeriggio, quando gli Ahmed si riparavano dal caldo di luglio. Per evitare che qualcuno fuggisse, hanno dato fuoco ai campi intorno alle case. Al tramonto, uno sceicco cercò di recupare i corpi per seppellirli, come vuole l’islam. Alcuni giorni dopo, gli stessi killer incappucciati costrinsero la famiglia dello sceicco a fuggire. Aveva osato troppo. Anche il migliore amico di Ahmed, Abdul Khaliq Dawood, ha perso sei fratelli. I due oggi corrono insieme. “Guardare le Olimpiadi in televisione mi dà la forza per voler partecipare nel 2012. Mi allenerò fino ad allora”. Ahmed vuole un oro. Per i vivi e per i morti.