Pubblichiamo due articoli sul rapporto tra islam e libertà di espressione.
Riguardano due notizie: il Concorso per umoristi musulmani lanciato dal Consiglio centrale dei musulmani tedeschi, per "abbattere a colpi di barzellette e sketch l’immagine di religione priva di sense of humour, diventata stereotipo diffuso dopo le proteste seguite alla pubblicazione delle caricature di Maometto sui giornali danesi" e la cancellazione da parte della Random House dell'uscita americana di un romanzo storico su Aisha, moglie favorita di Maometto; cancellazione che ha spinto il Wall Street Journal a denunciare lo stato di sudditanza dell'editoria occidentale verso l'islam.
La seconda notizia, ci sembra, permette di giudicare la prima. Iniziative come quella del "Consiglio centrale dei musulmani tedeschi" possono anche essere positive e lodevoli, purché non contribuiscano a liquidare come "stereotipi" problemi che sono invece reali.
Questo avviene, per esempio, quando, come fa il giornalista della STAMPA Alessandro Alviani, si sostiene che "l’immagine di religione priva di sense of humour" dell'islam è uno: "stereotipo che ha finito per contagiare la stessa Germania: alcune settimane fa a Berlino una mostra venne interrotta, dopo che un gruppo d’estremisti aveva fatto irruzione per rimuovere un quadro irriverente sulla «Kaaba», santuario cubico della Mecca".
Una mostra chiusa in seguito all'azione violenta di un gruppo di fanatici non è un caso di diffusione degli stereotipi negativi sull'islam, ma un caso di diffusione della minaccia del fondamentalismo islamico, e dell'autocensura, concreta limitazione della libertà di espressione, che questa minaccia induce.
Dovrebbe essere evidente.
Da La STAMPA del 9 agosto 2008
Quando è troppo è troppo. Stanchi di vedersi bollare come musoni pronti a scattare in piedi alla sola parola «vignetta», i musulmani tedeschi passano alla controffensiva, imbracciando armi inattese come il sorriso. Nasce così l’idea d’uno «Zelig» in salsa islamica, il «Muslim Comedy Contest». Obiettivo: abbattere a colpi di barzellette e sketch l’immagine di religione priva di sense of humour, diventata stereotipo diffuso dopo le proteste seguite alla pubblicazione delle caricature di Maometto sui giornali danesi. Stereotipo che ha finito per contagiare la stessa Germania: alcune settimane fa a Berlino una mostra venne interrotta, dopo che un gruppo d’estremisti aveva fatto irruzione per rimuovere un quadro irriverente sulla «Kaaba», santuario cubico della Mecca. «È possibile essere seguaci di Maometto e spiritosi nello stesso tempo?», si chiedono i tedeschi. La risposta arriva ora dal Consiglio centrale dei musulmani tedeschi, che ha lanciato il «Concorso per umoristi musulmani». Fino al 10 ottobre chi vuole può riversare su «Waymo», una sorta di «YouTube» in chiave musulmana, video, barzellette, cartoni animati o canzoni umoristiche che abbiano a che fare con l’Islam. In palio «ricchi premi», promette lo spot sul web.
Quindi, contrariamente alla vulgata comune, che la vede imbronciata e permalosa, la religione di Maometto vuole dimostrare di saper ridere. Persino di saper ridere di se stessa, come già avviene in «Little mosque on the prairie» (La piccola moschea nella prateria), sitcom canadese centrata sui malintesi di cui è vittima una famiglia islamica trapiantata nel Nord America.
Per scoprire la vena umoristica islamica non serve andare così lontano. Francoforte sul Meno, ieri sera. Al Museo delle culture del mondo è stata inaugurata una mostra che raccoglie decine di vignette apparse sulla stampa turca. Quella che dà il nome all’esposizione («Il naso del sultano») venne realizzata da un anonimo per sbeffeggiare il sultano Abdul-Hamid II, vissuto a cavallo tra ’800 e ’900, così ossessionato dalle straordinarie dimensioni delle sue narici da proibire l’uso della parola naso. Tra i bersagli dell’humour turco anche temi spinosi, come violenza domestica o velo. Ecco una giovane in bikini che, nonostante le si avvicini uno squalo, continua a camminare indisturbata in mezzo al mare, salvo poi fuggire via impaurita, non appena la presunta pinna si rivela per quel che è: la punta d’un «velo-turbante» indossato da una donna che nuota sott’acqua.
Decisamente tabù invece le rappresentazioni satiriche di Maometto, già costate la «fatwa» ai vignettisti danesi. Su questo punto si preferisce un «umorismo riguardoso», come l’ha definito per il quotidiano «Welt» il segretario del «Consiglio musulmani tedeschi», Aiman Mazyek, nato ad Aquisgrana da padre siriano e madre tedesca. «L’umorismo funziona anche senza offensive rotture dei tabù», spiega Mazyek. Il che non significa bandire l’humour. Anzi, ricorda, il profeta sorrideva volentieri con i seguaci, tanto che gli viene attribuita la massima: «il sorriso è una “sadaqa”», ossia dono non richiesto.
E quale sarebbe lo scherzo a prova d’Islam per vincere la gara? Un esempio arriva dallo stesso Mazyek. Un giorno, racconta, Maometto mangiava datteri con l’amico Abu Bakr. Invece di lasciare davanti a sé i noccioli, secondo l’usanza, Abu Bakr posò i suoi vicino a Maometto, così che, dopo un po’, davanti al profeta si era creato un mucchietto di noccioli, mentre l’amico non ne aveva neanche uno. «Profeta, oggi avevi davvero molta fame», disse Abu Bakr. Al che Maometto rispose: «Anche tu: hai mangiato i datteri con tutto il nocciolo»!
Da LIBERO :
L’islam tiene di fatto in ostaggio l’editoria occidentale: la denuncia è stata lanciata dalle pagine del Wall Street Journal. La Random House, la più grande casa editrice in lingua inglese al mondo, ha cancellato l’uscita negli Usa di un romanzo storico nel quale si narrano retroscena piccanti sulla moglie favorita del profeta Maometto: i responsabili del settore editoriale dell’azienda temono che la pubblicazione possa offendere la sensibilità di alcuni esponenti della comunità islamica e accendere gli animi dei fondamentalisti. Il libro, scritto dalla giornalista Sherry Jones e intitolato “The Jewel of Medina” (Il gioiello di Medina) sarebbe dovuto uscire in America il 12 agosto. La trama ruota attorno alla vita di Aisha, che secondo la tradizione islamica sposò Maometto a soli 6 anni quando lui ne aveva 50, diventando la sua terza moglie e “la prediletta” dell’harem. Secondo alcuni critici che hanno letto il romanzo in anteprima, però, la Jones (che da anni si documenta sulla vita di Aisha) avrebbe abbandonato la strada della fedeltà alla tradizione, lasciando correre troppo la penna nella stesura del romanzo: il risultato sarebbe una storia inventata, potenzialmente «offensiva» per il mondo islamico e infarcita «senza ritegno» di amore, intrighi e lussuria.
Insomma, nel libro se ne combinano di tutti i colori, e questo potrebbe urtare lo spirito molto conservatore del mondo islamico.
Per la stesura di questo e di un altro libro, l’autrice aveva firmato con la Random House un contratto da 100mila dollari. L’editore, tramite un portavoce, ha dichiarato che la decisione di rimandare la pubblicazione a tempo indeterminato è stata presa dopo la distribuzione in anteprima di alcune copie del volume: alcuni responsabili dell’azienda avrebbero ricevuto l’avvertimento, da fonti svariate e autorevoli, che questo libro avrebbe potuto rivelarsi offensivo per la comunità islamica e spingere ad atti di violenza alcuni gruppi isolati.
Una vicenda analoga era avvenuta anni fa con gli ormai celebri “Versetti Satanici” di Salman Rushdie, la cui pubblicazione provocò all’autore anglo-indiano non pochi problemi. Ma in generale tutta la libera espressione dell’Occidente è finita sotto assedio. Nei giorni scorsi, sette associazioni musulmane in Danimarca hanno deciso di fare ricorso alla Corte suprema per far condannare i responsabili del quotidiano danese Jyllands-Posten, che aveva pubblicato 12 controverse caricature di Maometto. Una delle vignette, la più criticata, raffigurava il profeta dell’islam con un turbante a forma di bomba con la miccia accesa. «Noi riteniamo che i musulmani siano stati trattati ingiustamente, ed è per questo che vogliamo portare questo caso davanti all’Alta Corte», ha detto il portavoce della Det Islamisk Trossamfund, una delle sette associazioni querelanti. Il rappresentante ha detto che i gruppi vogliono che l’ex direttore del giornale, Carsten Juste, e il responsabile delle pagine culturali, Fleming Rose, siano condannati «alla pena più pesante possibile».
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