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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Avvenire - L'Opinione - Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.07.2008 Patiboli a Teheran: protesta Shirin Ebadi
mentre il regime si infuria per l'accoglienza italiana a Maryam Rajavi

Testata:Avvenire - L'Opinione - Corriere della Sera
Autore: Lucia Capuzzi - Michael Sfaradi - la redazione
Titolo: ««Basta patiboli a Teheran» La Ebadi sfida il regime - Quanta indifferenza per 29 condannati impiccati a Teheran - L'Iran: «Gli italiani mafiosi accolgono i terroristi»»

Pubblichiamo alcuni articoli sull'Iran.

AVVENIRE riporta l'appello di Shirin Ebadi contro le esecuzioni capitali volute dal regime:

Teheran fermi il boia». Il giorno dopo una delle più drammati­che “esecuzioni di massa” de­gli ultimi anni, l’avvocatessa iraniana Shi­rin Ebadi, premio Nobel per la pace, ha ri­volto un disperato appello al suo Paese per­ché metta fine alle sentenze capitali.
  «La pena di morte deve essere abolita in tut­to il mondo», si legge in un comunicato dif­fuso dal Centro per la difesa dei diritti u­mani,
  l’associazione presieduta dalla com­battiva Ebadi. Un’istanza che, in realtà, ha ben poche probabilità di essere accolta. Per il regime degli ayatollah, il patibolo è un pre­zioso deterrente, oltre che contro la crimi­nalità, contro il dissenso interno, reale o pre­sunto
la componente più “aggressiva” verso l’oc­cidente – capeggiata da Ahmadinejad e il suo capo negoziatore per il nucleare Jalili – e quella più “moderata” – guidata dal mini­stro degli Esteri Mottaki e dal presidente del Parlamento Larijani. Allo stesso tempo, si fa ogni giorno più forte nel Paese il grido di protesta di quanti – soprattutto studenti, intellettuali, professionisti – vorrebbero maggior libertà. Richieste inaccettabili per il regime, che continua a rispondere col pu­gno di ferro. Dall’inizio dell’anno, il ricorso al boia si è intensificato.
  Nel solo mese di luglio, sono saliti sul pati­bolo 39 condannati. Una “mattanza” come quella di domenica, però, non si era anco­ra vista. Nel carcere di Evin, a Teheran – il cui nome ricorda torture ed esecuzioni som­marie prima all’epoca dello Scià e poi sot­to Khomeini – , all’alba, ora locale, sono sta­te impiccate, contemporaneamente, 29 per­sone. Dovevano essere 30, ma un detenuto è stato graziato in extremis.  «Erano delinquenti comuni, condannati per gravi delit­ti – ha precisato il procuratore di Teheran Said Mortazavi - come l’omicidio e il traffi­co di droga». Secondo il Centro per la dife­sa dei diritti umani di Shirin Ebadi, però, i prigionieri uccisi non avrebbero avuto un processo «equo», molti non si sarebbero nemmeno potuti in tribunale. La strage sembrerebbe, dunque, un monito genera­lizzato verso tutti i cittadini, una pubblica ostentazione di forza. Questo spieghereb­be anche perché sia stata fortemente pub­blicizzata dalle autorità nelle scorse setti­mane. Tanto che, fino all’ultimo, molti pen­savano che il macabro rito si sarebbe svol­to in pubblico – coi detenuti appesi alle gru, come spesso è accaduto – e non dentro il carcere fortezza.

Sulle impiccagioni a Teheran, da L'OPINIONE, un commento di Michael Sfaradi:

Erano 29 le persone che domenica 27 luglio sono state impiccate, nel piazzale antistante alla prigione Evin di Teheran in un clima di festa. Da quello che si è potuto vedere dalle immagini, le esecuzioni si sono svolte davanti ad una folla sorridente e soddisfatta, armata di videocamere e macchine fotografiche, pronte a riprendere il più macabro degli spettacoli. Il tutto si è consumato con lo stesso raccapricciante rituale di sempre, alle prime ore dell’alba i 29 condannati, cioè i morti che camminano, sono stati allineati e, uno alla volta, portati sul patibolo e lasciati penzolare con la corda al collo fino alla morte. Non possiamo immaginare ciò che hanno patito quelli che vedevano l’agonia di chi li precedeva, in ordine alfabetico, sapendo che lo stesso trattamento sarebbe stato riservato loro nel giro di pochi minuti. Lo strazio dell’attesa è stato così aggiunto a condanne davanti alle quali il silenzio del mondo è stato assordante. Quella di domenica è stata l’esecuzione più numerosa degli ultimi anni, e se consideriamo che il 2 gennaio scorso altre tredici persone fecero la stessa fine, è facile capire che ci troviamo davanti ad un chiaro segnale che la mano del regime sciita degli Ayatollah si sta facendo sempre più pesante e che il boia in Iran non rischia di rimanere disoccupato.

L’annuncio dell’esecuzione è stato dato dalla televisione di Stato che non ha mancato di riferire che i condannati erano stati riconosciuti colpevoli di stupri, omicidi e traffico di stupefacenti. Quei pochi giornali e telegiornali italiani che hanno riportato la notizia lo hanno fatto usando poche parole, come se fosse un semplice bollettino da riportare al pubblico, con un linguaggio asettico e senza un commento che, vista la gravità della notizia, sarebbe stato, a nostro avviso, doveroso. Quegli stessi giornali e telegiornali che quando ci si avvicina ad una condanna a morte negli Stati Uniti ne scrivono ogni giorno e ci parlano del condannato, lo intervistano e ci raccontano tutti i particolari della sua vita fino a farlo diventare uno di famiglia. Dei cento iraniani impiccati dall’inizio dell’anno, ( c’è chi dice oltre duecento non si è riusciti mai ad avere una conta precisa ) invece, non sapremo mai nulla. Per onestà crediamo che chi è contro la pena di morte deve sempre manifestare il dissenso e la protesta, a prescindere dalla nazione dove questa condanna viene eseguita, si creerebbero, altrimenti, condannati di serie A da difendere fino all’ultimo istante, e di serie B di cui nessuno ricorderà la tragedia.

Considerando che nella Repubblica Islamica anche le conversioni, l’abbandono della fede islamica, l’apostasia, i comportamenti immorali e quelli vietati dal Corano sono puniti con la morte e che i tribunali sono molto simili a quelli della tristemente famosa “Santa Inquisizione”, che di santo non aveva nulla, siamo sicuri che in mezzo a quelle 29 persone impiccate a Teheran non ci fosse un oppositore al regime al quale è stata cucita addosso un’accusa buona per toglierlo di mezzo? Siamo sicuri che fra i condannati non ci fossero degli omosessuali che hanno pagato con la vita la loro scelta? Perché quando si tratta di condanne eseguite in certe nazioni non si riesce mai a sapere i nomi dei condannati, il loro sesso e la loro età? Francamente parlando ci risulta difficile mettere a tacere la nostra coscienza davanti a sentenze capitali, soprattutto quando chi rischia la vita sono persone cadute fra gli ingranaggi della giustizia iraniana, cinese o di altre nazioni asiatiche o africane, dove il giustizialismo e l’esempio alle masse conta più dei diritti del singolo.

Il CORRIERE della SERA pubblica un articolo sulle reazioni di Teheran all'accoglienza italiana Maryam Rajavi, del Consiglio Nazionale di Resistenza Iraniana:

TEHERAN — «Regime mafioso». Così il quotidiano di Teheran Kayhan ha definito ieri il governo di Silvio Berlusconi. Per il giornale iraniano — diretto da Hossein Shariatmadari, consigliere dell'ayatollah Ali Khamenei — le istituzioni italiane sarebbero «colpevoli» di aver accolto Maryam Rajavi, la leader del Consiglio Nazionale di Resistenza Iraniana (braccio politico dei Mujaheddin del Popolo) che la scorsa settimana ha avuto una serie di colloqui a Roma con alcuni deputati e con il sindaco Alemanno. L'editoriale attacca in particolare la petizione di una decina di parlamentari per la rimozione dei Mujaheddin del Popolo dall'elenco europeo delle organizzazioni terroriste: «Il regime mafioso italiano sostiene un piccolo gruppo terrorista, mentre nemmeno gli Usa, che li sostengono di nascosto, hanno il coraggio di toglierli da quell'elenco».
Leader Maryam Rajavi guida il Consiglio Nazionale di Resistenza Iraniana, braccio politico dei Mujaheddin del Popolo. Da qualche tempo in Europa si discute se cancellarli dalle organizzazioni terroristiche

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